L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Die Fledermaus alla Wiener Volksoper

L'irresistibile leggerezza del vizio

 di Andrea R. G. Pedrotti

Die Fledermaus alla Volksoper di Vienna si trova nel suo ambiente naturale e il pubblico lo saluta con gioiosa, ma non inconsapevole, spensieratezza.

VIENNA, 25 aprile 2016 - Quando si immagina qualcosa non basta mai il semplice racconto: questo può essere utile, forse, a recepire passivamente una nozione. Com’è noto, o almeno dovrebbe esserlo, l’uomo è un animale dall’animo confusamente ordinato e banalmente complesso. L’immagine non basta nella banalizzazione pseudoculturale della seconda metà dell’Ottocento (non viennese, s'intende), che ha voluto trasformare la patina come se rappresentasse il tutto, senza tener conto che l’immagine bidimensionale altro non è che la componente meno importante, se non superflua. Non bastano panciotti, stivaletti dai dorati bottoni, cilindri, marsine, orologi da taschino e alcune componenti d’arredo prese dal magazzino di qualche antiquario per raccontare una storia. Servono lo spirito, la suggestione, l’atmosfera, la partecipazione, la curiosità, la voglia, la gioiosità.

L’operetta viennese fra tutte è una delle forme d’immagine più strutturalmente complessa che si conosca e, troppo spesso, viene svilita. Per fortuna siamo a Vienna e non altrove e solo nella città delle fiabe può esser narrata con la semplicità della spensierata fanciullezza che alberga nel rigore dell’animo dei suoi abitanti.

Alla Volksoper Wien va in scena ancora una volta l’immortalità di Die Fledermaus; immortale perché rappresenta uomini trapassati, ma la cui forma mentis non conosce senilità, orgogliosa del passato, conscia del presente e proiettata verso il futuro. Die Fledermaus è uno straordinario campionario d’umanità, che si rivela in sfumature sempre nuove, che solo l’estroso genio di uno dei più grandi compositori di tutti i tempi – Johann Strauss jr. – avrebbe saputo sintetizzare su un pentagramma con tale maestria. Maestria che lo rese, non a caso, uno degli uomini più osannati e celebri del XIX secolo. Strauss fu un figlio di Vienna e nelle sue musiche c’è tutta Vienna.

Ottima la caratterizzazione dei personaggi di questo autentica ode alla purezza del vizio, un vero e proprio decalogo di soave immoralità con l’esposizione di tutte le pulsioni (principalmente legate all’erotismo e al bene voluttuario) che contraddistinguevano la borghesia della Vienna fin de siècle, o che, perlomeno, l’Austria Felix ammetteva, celandole elegantemente.

Se possiamo vogliamo ricercare un denominatore comune fra i protagonisti maschili di questa operetta, è la fedeltà inattaccabile e orgogliosa al loro patologico asservimento al feromone femminile. Il bello è che, tra l’altro, non fanno assolutamente nulla per opporre resistenza innanzi a questa vezzosa debolezza. Gabriel von Eisenstein (l’unico personaggio maschile privo di qualche titolo, nobiliare, professionale o accademico) non è in grado di porre freno all’attrazione per l’elemento muliebre, compreso quello della moglie Rosalinde, anche se solamente durante il corteggiamento verso quest’ultima quando la crede una sconosciuta dama ungherese. È il fascino del proibito, della trasgressione, in contrapposizione con la routine quotidiana. I viennesi, si sa, non sono moderati, amano gli estremi senza riserve. Eros e Thanatos sono sempre e comunque coloro che guidano l’animo dell’ex capitale imperiale.

Eisestein fa una questione d’onore il recarsi in carcere con frac e cilindro, in segno di sfida davanti all’oppressione della società, mentre sa benissimo che, su invito dell’amico doctor Falke, si sta recando a un festino in maschera, attratto dalla presenza del corpo di ballo femminile dell’opera nazionale: bravo Meherzad Montazeri a trasmettere tutto questo, grazie a un’eccellente prova attoriale e una buona resa vocale.

Un altro esempio del bell’animo soavemente vizioso, permaloso e vendicativo è il doctor Falke, il quale inscena tutto l’intreccio, coinvolgendo le carceri nazionali, nobili stranieri e persone d’ogni ceto, per vendicare la burla subita da Gabriel, che gli fatto guadagnare il perpetuo scherno dell’intera città. Ovviamente tutti seguiteranno a canzonarlo, ma almeno sarà in compagnia. Concentrato sul consumare il suo proposito è forse il personaggio che meno si occupa dell’universo femminile, anche se non ignora sicuramente le fanciulle presenti. Günther Haumer interpreta bene il ruolo del deus ex machina, presentando al pubblico, inoltre, i brani aggiuntivi del secondo atto.

Rosalinde è l’unico personaggio femminile a trattenere a fatica le sue pulsioni erotiche, nei confronti di Alfred, capace di annientare qualsiasi freno inibitorio della donna con il suo canto. Rosalinde è simile al Gabriel von Eisestein: si appella alla moralità, è gelosa, molto attenta al suo buon nome, ma è cosciente del suo esser fatta di carne, ossa e debolezze. Elisabeth Flechl palesa grande esperienza nel repertorio e forma una bella coppia con il marito.

Migliore del cast sicuramente l’Adele di Elisabeth Schwarz, soprano dalla notevole verve scenica e dalla fisicità adattissima al ruolo. La cameriera dei von Eisestein, è certamente la domestica che noi tutti vorremmo per casa, anche se per le pulizie sarebbe consigliabile assumere altro personale, vista la dedizione al lavoro della giovane. In questa produzione Adele è un personaggio provocante, proprio perché non è mai volgare, infatti non mostra mai nulla, ma è perennemente ammiccante e seducente, in ossequio alla tentazione provocatoria tipica delle donne (sentimentali e non) nell’atto di puntare la preda. A tratti sembra essere l’amante del padrone, lanciando avance, ma infuriandosi, nel momento in cui Gabriel ne proponga a sua volta. Questa è un’altra situazione molto amata dai viennesi, che si riverbera nel loro walzer, ossia due razionali e inattaccabili certezze in completa opposizione fra loro, che lasciano spazio alla fantasia e all’immaginazione.

Molto brava anche Martina Mikeliċ nel rendere l’ambiguità del principe Orlosfky, come bravo è Vincent Scirrmacher (Alfred) nel avvincere Rosalinde, ma riscoprendosi, al termine, amante di Ida, qui interpretata da una incontenibile Klaudia Nagy. Non è da meno l’entusiasticamente vizioso Frank di Kurt Schreibmayer.

Completavano il cast il balbuziente doctor Bild di Christian Descher, l’applauditissimo e spassoso Frosch di Boris Ede e, da ultimo, il maggiordomo del principe Orlofscky (Iwan) affidato a Mamuka Nikolaishvíli.

Prevedibilmente eccellenti gli interventi del Wiener Staatsballet, specialmente nell’interpretazione della Polka Schnell di Johann Strauss, Unter Donner und Blitz. Grazie alla presenza del corpo di ballo della Staatsoper la suggestione viennese è al massimo, poiché abbiamo innanzi le autentiche avvenenti ospiti del principe Orlofsky.

L’impianto scenico e registico del primo quadro ricalca quello dell’edizione della Wiener Staatsoper, firmata da Otto Schenk nel 1979 e che segnò il ritorno del capolavoro al massimo teatro nazionale. Medesime espunzioni e molte similitudini nella mimica.

Arefici visivi di una produzione che ha visto, fra gli altri, quale indiscusso protagonista sul palco un tasso alcolemico ben oltre la soglia d’attenzione sono stati Heinz Zedink (dalla produzione originale di Evelyn Frank), con le scene di Pantelis Dessyllas e i costumi (che potevano essere saggiamente scambiati fra i personaggi, in base alla fisicità degli interpreti: per esempio sono quasi identici quello di Adele e Rosalinde nel secondo atto) di Doris Engl e le belle coreografie di Lili Clemente e Susanne Kirnbauer.

A dirigere il buon coro della Volksoper Wien era Thomas Böttcher.

Molto abile Alfred Eschwé, fin dalla celeberrima ouverture, a rendere il fascino della partitura. I tempi scelti sono particolarmente serrati, tranne quando la linea musicale, d’improvviso, vira verso l’intenso languore e il tempo di walzer è perfettamente fedele all’ideale viennese della sospensione e dell’assenza de facto della terza battuta. Bravissimo anche nel prosieguo ad accompagnare i cantanti e conferire sicurezza e precisione a tutti gli interventi.

Tale subbuglio ormonale non poteva lasciar dormienti le vivaci endorfine del pubblico viennese, il quale insiste con il suo ostentato difetto, quasi completamente sconosciuto ai teatri d’Italia: andare a vedere uno spettacolo semplicemente per divertirsi.

L’operetta è rappresentazione di una città unica; Die Fledermaus venne scritta nel 1874 risollevare l’umore borghesia dopo il crollo delle borse del 1873, perché con il gioco e la fantasia si sopravvive e sono risorse da preservare tutta la vita, non cose di cui vergognarsi fin dall’infanzia, al contrario dell’ostentazione e della pesantezza - intesa come tediosità. Questo Vienna lo insegna ancora al mondo.

Da segnalare la presenza di un agile e completo programma di sala, comprendente bei saggi in tedesco e la trama dell’operetta, scritta anche in italiano.


 

 

 
 
 

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