L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

max emanuel cencic

Il pretesto di Orlando

 di Francesco Lora

Al Festival di Pentecoste di Salisburgo, Max Emanuel Cenčić, George Petrou e Armonia Atenea hanno dato alta prova tecnica di sé. Ma il programma del concerto, ispirato a un tema ariostesco, si dimostra in verità piuttosto casuale nelle scelte e nell’ordine.

SALISBURGO, 5 giugno 2017 – Due spettacoli dominanti nel concluso Festival di Pentecoste, che ha evocato a Salisburgo le brume della Scozia: l’Ariodante di Händel e La donna del lago di Rossini. Attinenza con il primo titolo operistico, piuttosto che con il tema dell’intera rassegna, ha avuto il concerto mattutino del lunedì di Pentecoste nel Mozarteum: dall’Orlando furioso di Ludovico Ariosto è tratto il soggetto dell’opera händeliana, e intorno al paladino Orlando è stato costituito un programma vocale e strumentale. Come spesso accade quando gli interpreti sono eccellenti, brevi parole possono bastare a darne conto.

La voce era quella sempre rimarchevole del controtenore Max Emanuel Cenčić: estesa fino a tutto il registro sopranile, risonante fino a saturare la sala dorata, accorata e rotonda nel canto patetico, flessibile nelle agilità furenti o tempestose; perfettibile giusto nella prosodia italiana, preso atto della frettolosa dizione e della fonetica tagliente. La direzione era invece quella di George Petrou alla testa dell’orchestra Armonia Atenea: come di rado accade nei gruppi strumentali con strumenti originali, da loro si è ascoltato un suono ricco, latino, fiorito, mosso con tanta naturalezza di fraseggio quanta sollecitudine al temperamento.

L’occasione è nondimeno esemplare per riflettere su una debole costruzione di programma. Programma che in primo luogo ha appena visto la carrozza tornare zucca: giusto l’anno scorso è stato celebrato nel mondo il cinquecentesimo anno della prima edizione dell’Orlando furioso, anche attraverso iniziative musicali; e nessuna idea più di questa poteva sembrare, nel 2017, bisognosa di un rinfrescante anno sabbatico. A maggior ragione poiché le musiche presentate a Salisburgo non hanno avuto carattere di novità, bensì di selezione prevedibile da partiture ben note e non sempre nel loro più alto luogo di connotazione.

Facevano bella figura di sé tre arie di prua dall’Orlando di Vivaldi (Venezia 1727; e dal titolo si tolga, una buona volta, il posticcio «furioso»): «Nel profondo cieco mondo», «Sol da te, mio dolce amore» e «Sorge l’irato nembo». Piuttosto casuale, però, la scelta d’arie dall’omonima opera di Händel (Londra 1733), ove per giunta la differenza stilistica, rispetto a Vivaldi, da una parte offre un saggio di varietà, dall’altra fa sospettare che la giustapposizione dei due compositori sia avvenuta, anche qui, soltanto in nome della loro celebrità contemporanea, senza avere preventivamente ponderato la loro antitesi di poetiche.

Si ascoltano così «Fammi combattere | mostri e tifei», «Cielo, se tu il consenti» e «Già l’ebro mio ciglio», ma non è presa in considerazione la sortita «Non fu già men forte Alcide», ancor più accattivante nella danzante condotta melodica, né tantomeno la scena conclusiva dell’atto II, vero cuore drammatico e vero culmine musicale dell’opera. Una terza dimensione stilistica è convocata con le arie «Ombre amene» e «Vanne, felice rio» dall’Angelica di Nicola Porpora (Napoli 1720), a loro volta non tra le più rappresentative di quella festa teatrale e isolate in coda alla prima parte del concerto anziché collocate ad arte.

Tutta vivaldiana la musica strumentale: il Concerto per due violini RV 522, il Concerto per fagotto RV 484 e la Sonata RV 63. Solo quest’ultima partecipava davvero al tema ariostesco, trattandosi di un brano ispirato alla “Follia” di Corelli; ma è un passo falso: si tratta appunto di una sonata per due violini soli e basso continuo, non di una composizione da eseguire a piena orchestra e con le viole relegate a un paradossale silenzio. Un bis, va da sé, è ben gradito: ma quando attacca «Si cadrò, ma sorgerà», dall’Arminio di Händel (soggetto storico e romano), si ha conferma che quello di Orlando era soltanto un pretesto.

foto Marco Borrelli


 

 

 
 
 

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