L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

La testa del clown

 di Irina Sorokina

Bregenz, nelle sue rappresentazioni su palcoscenico galleggiante, è per definizione il luogo di allestimenti grandiosi, spettacolari, anche eccessivi, ma nel caso di questo Rigoletto firmato da Philipp Stölzl il rischio è che un'atmosfera circense inclini nella pagliacciata e metta troppo in ombra le prove, davvero encomiabili di  Yngve Søberg, ottimo protagonista, Ekaterina Sadovnikova, eccellente Gilda, e dell'abile concertatore  Daniele Squen.

Bregenz, 23 luglio 2019 - Negli anni passati il Bregenzer Festspiele ha presentato allestimenti giganteschi e spettacolari tra cui alcuni, come Tosca, Aida, Andrea Chénier, Die Zauberflöte sono rimasti indimenticabili. Tutti risalgono all’”era” di David Pountney che ha vestito i panni di direttore artistico a cominciare dal 2003 e ha terminato il suo mandato nel 2014. Tuttavia mai e poi mai sul palcoscenico galleggiante è apparso un allestimento simile al nuovissimo Rigoletto che, per quanto riguarda la grandiosità, l’azzardo e i soldi spesi (circa 8 milioni di euro), ha superato ogni immaginazione. A mettere in scena l’opera verdiana è stato chiamato Philipp Stölzl, un noto regista, e il risultato è stato tanto impressionante quanto discutibile.

La scenografia creata da Stölzl e Heike Volmer all’inizio non sembrava nemmeno adatta a un’opera lirica. Il numeroso pubblico è stato subito invitato ad assistere a uno spettacolo circense; prima ancora di poter capito qualcosa, una banda travestita da clown e giocolieri ha deliziato le orecchie da qualche pezzo popolare tra cui "Dein ist mein ganzes Herz" ("Tu che m’hai preso il cuor") di Lehàr (!) e poi ha marciato allegramente prima davanti alla platea e poi sul pontile, dove attraccano le navi con gli spettatori provenienti dalle città diverse da Bregenz, suonando la "Pira" dal Trovatore un po’ mutilata e quindi la musica d’apertura di Rigoletto. Nel frattempo gli occhi degli spettatori hanno potuto fissare una testa gigantesca di clown sorretta da una gru, posta al entro del palcoscenico galleggiante. Ed ecco l’inizio dello spettacolo, del tutto inaspettato: un uomo vivacissimo salito sull’estremità della testa, anche lui vestito da circense, ha parlato a velocità stratosferica in più lingue, l’italiano compreso, invitando il gentile pubblico a divertirsi e scattare tante fotografie. Povero Rigoletto, veniva a dire, ma non si poteva certo indovinare come sarebbe questa versione lacustre del famoso titolo verdiano.

A Bregenz amano le cifre e noi ne citiamo alcune: il palcoscenico galleggiante pesa 140 tonnellate, la testa è alta 14 metri, mentre le mani raggiungono 9 metri. 46 ditte diverse hanno contribuito alla creazione del miracolo scenico supertecnologico chiamato Rigoletto al Bregenzer Festspiele.

La testa enorme del clown, posizionata al centro di un palcoscenico che somigliava leggermente a un colletto, è stata affiancata da due enormi mani, anch’esse mobili, una chiusa che nascondeva la casa del buffone e l’altra che teneva una mongolfiera. Strada facendo si sono scoperte le cose o, meglio dire, i trucchi, sempre più sorprendenti se non scioccanti: la testa, attaccata a una gru, girava, apriva gli occhi, la bocca rideva, il volto cambiava espressione da un sorriso sardonico a uno stupore sincero e a una sofferenza insopportabile. Si colorava di rosso acceso, blu celeste, turchese abbagliante. Strada facendo, perdeva gli occhi, il naso e i denti e tutto quel rimaneva d’essa era un cranio spaventoso.

La fantasia non è certo mancata a Philipp Stölzl: quasi ogni nota della partitura verdiana è stata accompagnata da uno spostamento, una trovata, un trucco. Il primo dialogo tra il Duca e Borsa veniva ambientato dentro la bocca; la testa sprofondava fino al naso nel lago mentre Rigoletto intonava "Maledizione", la mano destra si apriva per far scivolare Gilda verso il padre, "Cortigiani vil razza dannata" terminava con la caduta nel la go di Costanza di uomini in rosso, servitori e complici del Duca. Non è stato possibile a staccare gli occhi dall’azione in pieno stile blockbuster cinematografico e, come sempre accade a Bregenz, gli occhi degli spettatori sono stati costretti a girare in continuazione mentre la bocca si apriva con i diversi ah!

La fantasia non è certo mancata a Kathi Maurer, che ha disegnato una grande quantità di costumi dai colori sgargianti, e ai light designer, lo stesso Stölzl e Georg Veit, autori di una serie di effetti speciali.

Come al solito, le performance sul palcoscenico lacustre sono garantite da più artisti e molto spesso tra di loro ci sono i cantanti di tutto il rispetto. Quest’anno abbiamo letto i nomi di Scott Hendricks, Vladimir Stoyanov, Franco Vassallo nel ruolo di Rigoletto, Stephen Costello, Sergey Romanovsky, Pavel Valuzhin in quello del Duca di Mantova, Hila Fahima, Melissa Pétit, Ekaterina Sadovnikova in quello di Gilda. Abbiamo ascoltato Yngve Søberg - Rigoletto, Pavel Valuzhin - il Duca di Mantova, Ekaterina Sadovnikova – Gilda, un cast internazionale composto da cantanti provenienti da Norvegia, Bielorussia e Russia e il risultato, anche se con qualche riserva, ha superato le aspettative.

Già nel 2012 proclamato come “un talento vocale eccezionale”, apparso a Firenze nel ruolo del buffone verdiano sotto la direzione di Fabio Luisi, Søberg non ha fatto altro che confermare queste parole. E’ in possesso di una voce sorprendentemente bella, morbida, pastosa, un po’ chiara; vanta una linea di canto splendida e carezzevole e un accento impeccabile. Ha cantato la difficilissima parte con una grande musicalità e uno slancio estremo, dimostrando una perfetta comprensione dello stile verdiano. Il suo canto andava sempre migliorandosi nel corso della recita, dimostrandosi baritono verdiano per eccellenza.

Il tenore Pavel Valuzhin deve ancora crescere per quanto riguarda la tecnica; sbavature, come gli acuti faticosi e l’intonazione calante, sono state parecchie e la pronuncia sarebbe da migliorare. Molte imprecisioni nella stretta dell'introduzione; "Questa quella" e "La donna è mobile" sono risultati “sporchi”, se così si può dire, soprattutto nell’ultimo pezzo celeberrimo il si finale è stato pressappoco terribile; è andata meglio "Parmi veder le lagrime" grazie a un buon legato. Tuttavia, un bel timbro, un centro stabile e un buon accento hanno salvato il tenore, come anche una certa spavalderia del canto l’ha aiutato a disegnare il personaggio quanto immorale tanto attraente, anche se un po’ rozzo. Un elogio va anche alla sua prontezza nel mettersi in gioco e cantare un’aria disteso su un’amaca posta a livello delle sopracciglia della testa.

A Ekaterina Sadovnikova vanno parole d’ammirazione sincera. Ha disegnato una Gilda molto credibile, ingenua e forte, nonostante il concetto registico che l’ha costretta a indossare i panni di una eroina ideale un po’ stupidina, con un vestitino azzurro e chioma cotonata da bambola, senza parlare delle eleganti scarpette da starlette. E’ stata ridicolizzata parecchio, povera figlia del buffone: ciò nonostante, il soprano russo è riuscito ad apparire sul tanto difficile palcoscenico lacustre mantenendo dignità. Ha sfoggiato una voce molto bella e fresca, dall’emissione morbidissima e dalla tecnica cristallina e ha cantato in modo sublime. Ammiriamo non soltanto la sua arte, ma anche il grande coraggio con cui la cantante si è inserita nel gioco imposto dallo scenografo e dal regista ed è diventata una vera acrobata da circo. L’hanno fatta scivolare dalla mano gigantesca che nasconde la casa di Rigoletto, salire sulla mongolfiera da dove ha intonato "Caro nome" senza fare una piega, l’hanno trasportata dalla cesta della mongolfiera dentro la bocca della testa del clown per via di una fune e alla fine l’hanno messa in grande sacco appeso, da dove l’ha tirata giù il padre disperato, e in tutto questo lei non ha nemmeno perso le scarpette rosse scintillanti. Grandissima prova di professionalità e coraggio.

Molto buoni sono stati i due bassi, Miklós Sebestyén – Sparafucile che ha conquistato il pubblico con facilità grazie a una voce vellutata e a note gravi davvero ottime, e Kostas Smoriginas – il conte Monterone che ha sfoggiato una voce profonda e dignitosa. Katrin Wunsam è stata una Maddalena piccante dalla voce seducente.

Molto partecipi ed espressivi sono stati tutti i comprimari, Wolfgang Stefan Schweiger - Marullo, Paul Schweinester – Borsa, Jorge Eleazar – il conte di Ceprano, Léonie Renaud – la Contessa di Ceprano, David Kerber – un paggio.

Sul podio, nascosto sotto le tribune del pubblico, dentro il Festspielhaus, il direttore Daniele Squen ha diretto i Wiener Symphoniker con mano sicura e in condizioni ben definite in cui non è possibile avere il contatto diretto con gli interpreti impegnati nel canto, coll’archetto e in ardui movimenti scenici. Ne è uscito vincitore offrendo una lettura dinamica e passionale, ma anche molto sensibile e piena di un lirismo in grado di emozionare il pubblico. Mai una piega, un attimo di sensazione di pericolo, sempre insieme agli artisti e al loro servizio. Un successo pienamente meritato, come quello, inevitabile, del magnifico coro composto dagli artisti del Prager Philarmoniker Chor, preparati da Lukaš Vasilek, una presenza costante a Bregenz insieme con il Bregenzer Festspiele Chor sotto la guida di Benjamin Lack. La loro interpretazione di "Zitti, zitti" e "Scorrendo uniti remota viaè stata magistrale.

Una buona parola va alla simpatica banda formata dai ragazzi del Vorarlberger Landeskonservatorium, che, travestiti da circensi, hanno aperto lo spettacolo. E, come sempre, una buona parte di successo è stata dovuta allo stupefacente ensemble di acrobati del Wired Aerial Theatre, affiancato dalle incredibili comparse del Bregenzer Festspiele.

Per concludere, un simpatico ricordo. Nell’ormai lontano 2008, secondo anno della famosa Tosca che fece da set al film Quantum of solace, un gruppo di teenager stava ascoltando musica da fuori, nelle immediate vicinanze del palcoscenico lacustre. Dopo le spiegazioni riguardanti l’opera da parte di un signore distinto, i ragazzi dichiararono che “Scarpia is a very bad boy”. Come dare torto a loro? Per quanto riguarda il nuovo Rigoletto, pure il Duca di Mantova “is a very bad boy” e tutta la messa in scena è, senza dubbio, “too much”. Una grande, spettacolare, costosa e super tecnologica “pagliacciata” dove alla musica di Verdi, alla fine, è stato assegnato un ruolo abbastanza modesto. Del resto, questa cosa è tipica per tutti i “blockbuster” creati apposta per il palcoscenico galleggiante del Bregenzer Festspiele, l’unico al mondo. Il pubblico non si è dimostrato tanto convinto: applausi si, ma di una breve durata.

foto Felix Castle e Karl Forster


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