L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Per un Nuovo mondo

di Roberta Pedrotti

Riccardo Muti e l'Orchestra giovanile Luigi Cherubini entusiasmano il pubblico con un concerto in collaborazione fra BolognaFestival e Ravenna Festival. Il valore musicale non si disgiunge, soprattutto oggi, da importanti spunti di riflessione. 

BOLOGNA 9 ottobre 2020 - Il Paladozza è tutto esaurito e facilmente lo sarebbe anche se tutti i posti disponibili fossero occupabili. Anche così, però, siamo in un migliaio, a dimostrazione che le regole non solo in contraddizione con la musica: la fila scorre ordinata, si misura la temperatura a tutti e tutti ci disinfettiamo le mani, prima di sederci distanziati e con mascherina. Difficile immaginare qualcosa di più sicuro, a meno di non essere anacoreti o stiliti.

E poiché la natura del genere umano è di animale sociale e gli eremiti sono eccezioni, la condivisione della musica è una dimensione irrinunciabile della nostra esistenza. Questo è quel che dobbiamo preservare, è un simbolo di tutti gli scopi per cui ci ostiniamo a rimanere in vita. 

Il programma, dedicato alla memoria Mario Messinis recentemente scomparso, si ispira all'ultimo concerto diretto da Gustav Mahler, a New York nel 1911. Quello era tutto dedicato all'Italia, con la Quarta di Mendelssohn (l'Italiana, appunto) e pagine di Sinigaglia, Martucci, Bossi e Busoni. Questo con gli stessi pezzi di Bossi (anche se degli Intermezzi goldoniani allora eseguiti integralmente qui abbiamo solo la Serenatina) e Busoni, mentre al sostanzioso Secondo concerto per pianoforte di Martucci si sostituisce il più agile Notturno. I ricordi del tedesco Mendelssohn in viaggio nella Penisola cedono il passo, poi, alle suggestioni raccolte da Dvořák oltreoceano. Così, da un lato i tre italiani in programma rappresentano anche un legame con la sede del concerto (Martucci, Bossi e Busoni furoni direttori del Conservatorio di Bologna), dall'altro si collega l'Austria-Ungheria di Mahler e Dvořák al Nuovo mondo dove il maestro boemo tenne il suo ultimo concerto. E, nell'annotare temi folklorici e nativi americani, il ceco doveva aver ben presente l'attenzione alla musica popolare delle sue terre, doveva riconoscere strutture modali maturate da un capo all'altro del globo; dire che la musica unisce è un luogo comune, però, sì, diciamolo: la musica unisce, aiuta a comprendere, a riflettere, a dialogare.

Riccardo Muti doma l'acustica del palazzetto con tutta l'autorevolezza di cui è capace, guida i “suoi” ragazzi dell'Orchestra giovanile Luigi Cherubini con gesto quantomai essenziale, la mano sinistra spesso ferma, o minimale nel amplificare l'espressione delle indicazioni nette e sobrie della destra. Il lavoro minuzioso di preparazione, l'intesa perfetta raggiunta non ha bisogno di nulla di più, né di foga né di concessioni spettacolari. Nemmeno nella sinfonia di Dvořák, che pure di tentazioni eclatanti ne offrirebbe. E invece lo spirito trascinante, i richiami tematici d'indubbio effetto vanno a braccetto con il controllo minuzioso che si concretizza, per esempio, nella spazialità dell'incipit del quarto movimento: i primi accordi perentori ma non brutali, il primo crescendo, il vuoto repentino e fulmineo prima che le fanfare (a proposito: complimenti agli ottoni) rispondano dal fondo e si inneschi definitivamente un meccanismo destinato, però, a richiudersi in se stesso, a raccogliere il divampare dell'Allegro con fuoco in una fiammella razionale destinata a durare. Non delude le aspettative nemmeno lo spirito cameristico del vellutato Notturno di Martucci o dei diafani pizzicati della Serenatina di Marco Enrico Bossi, né tantomeno quella Berceuse élégiaque di Busoni che Muti vuole, con una breve introduzione, dedicare in maniera particolare a Mario Messinis. Sì, perché è musica di commiato e memoria, composta per la morte della madre, ma è anche musica che guarda avanti, che ai Berliner ai tempi parve “disgustosa” e ineseguibile con quel suo riverberare l'idea dei rintocchi funebri in una sospensione tonale, un vagare in un'atmosfera rarefatta che potremmo anche collocare nel secondo dopoguerra, oltre trent'anni dopo l'effettiva stesura. Come richiesto da Muti, al termine non si applaude, e poco male se invece poi il pubblico sbotta in un irrituale entusiasmo dopo il primo movimento della sinfonia Dal Nuovo Mondo. Va bene, si faceva duecento anni fa e oggi è disdicevole, ma non dispiace pensare che destino un istintivo abbraccio e battimani, anche fuori tempo, lo studio accanito di questi ragazzi, i loro occhi lucidi e i loro sorrisi mentre suonano senza poter condividere un leggio ma con la determinazione caparbia a continuare a far musica insieme.

Lo ripete alla fine, fra applausi scrosianti e interminabili, anche Riccardo Muti. Con il consueto spirito strappa sincere risate, ma dice in modo diretto e senza mezzi termini ciò che bisogna continuare a ripetere: Mens sana in corpore sano, la salute si può salvaguardare senza sacrificare la cultura, che è il nostro tesoro più importante.


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