L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Didascalie originali: il presente è servito

di Francesco Lora

Il regista Sven-Eric Bechtolf e il direttore John Eliot Gardiner, al Teatro del Maggio Musicale Fiorentino, presentano Falstaff di Verdi nella sua essenza genuina di commedia. Locandina illuminata da Nicola Alaimo, Simone Piazzola, Ailyn Pérez e Sara Mingardo in particolare.

FIRENZE, 21 novembre 2021 – Chi ha qualche lustro di militanza melomane sulla groppa sa quale raffinata indagine caratteriale, quali grandiosi coups de théâtre e quale minuta lezione iconografica, nei teatri italiani, si siano regolarmente accompagnati al Falstaff di Verdi, dalla regìa di Giorgio Strehler a quelle, tra le altre, di Pier Luigi Pizzi e Luca Ronconi: letture teatrali architettate in grande per la meraviglia di teatri ruggenti, interpreti eletti e pubblici scaltriti. Il nuovo allestimento al Teatro del Maggio Musicale Fiorentino, con sei recite dal 19 novembre al 5 dicembre, non insidierà quei ricordi ma si pone al servizio del presente. Regìa di Sven-Eric Bechtolf, scene di Julian Crouch, costumi di Kevin Pollard, luci di Axel Brok e video di Josh Higgason: l’impostazione visiva rimane fedele alle didascalie originali e all’ambientazione elisabettiana, le strutture sono spesso ridotte a impraticabili sagome bidimensionali calate dall’alto, nulla di ardito azzardano la pacifica idea drammaturgica e una macchina scenica a riposo. Una disattenzione inquietante: quando, nel finale del’atto II, Sir John è fatto capitombolare nel Tamigi dalla finestra, nessuno schizzo d’acqua risponde dal basso, e si teme che le allegre comari l’abbiano piuttosto voluto assassinare sul selciato. Si sta qui dando conto, per il resto, di uno spettacolo dove un autentico, alacre lavoro con gli attori procura sempre l’affiatamento di squadra, il gesto e l’accento giusto, la chiara intelligibilità di ogni situazione e di ogni parola: il pubblico segue vigile e ride di gusto al cospetto di una commedia lustrata nella sua essenza genuina. Avrà tempo, questo pubblico, se giovane, per incrociare Falstaff in letture più doviziose all’occhio o più sbilanciate nel concetto: sin d’ora, però, a Firenze, amerà il capolavoro verdiano in quanto tale.

L’intenzione del regista è condivisa col concertatore. John Eliot Gardiner presenta un Falstaff radicalmente ristudiato sulla partitura e a scanso d’ogni sedimento di tradizione: con la bacchetta disegna scherzi, scatti, sguardi; colora sobriamente e più con improvvisi tagli di luce che con ricercati amalgami timbrici; antepone insomma l’asciutto ritmo della commedia alla tentazione – nemmeno illegittima: l’autore sa lusingare – di compiacimento sinfonico. Ciò non toglie che a Gardiner garbi un mondo dar sfogo all’Orchestra del MMF, al suo metallo e al suo temperamento, dando così qualche grattacapo al cantante, attore e conversatore il quale se la trovi guizzare in lapilli tra palcoscenico e platea. Nulla teme Nicola Alaimo nella parte protagonistica, da lui resa più che mai esplosiva, umorale, furiosa, sanguigna, poco filosoficamente stemperata e di concretezza assai mediterranea. Fa coppia perfetta con Simone Piazzola, Ford di intercambiabile, poderosa stazza scenica e tuttavia cordiale e dubitoso, a tratti quasi tenero e timido, dunque inedito e benvenuto. Ailyn Pérez vanta in Alice lo stesso smalto esibito nelle parti da intonare a voce spiegata, e si rivela nel contempo attrice coinvolta e divertita, mentre Sara Mingardo torna alla sua Quickly misurata e ironica, sottile e sorniona. Servirebbe poi prudenza a promettere, in prima redazione di locandina, lussi inauditi come Francesca Aspromonte in Nannetta, Xabier Anduaga in Fenton e Vasilisa Berzhanskaya in Meg: l’emissione fissa di Francesca Boncompagni e quella tremula di Matthew Swensen procurano rimpianto nei primi due casi, mentre nel terzo si fa valere Caterina Piva. Vivacissimo il caratterismo di Christian Collia come Dr. Cajus, di Antonio Garés come Bardolfo e di Gianluca Buratto come Pistola. Spettatori in festa.


 

 

 
 
 

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