L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

La disfida di Capodanno

di Roberta Pedrotti

Come ogni anno dal 2004, la Rai propone in rapida successione i concerti augurali dalla Fenice di Venezia e dal Musikverein di Vienna. Fra parallelismi e differenze, il confronto è inevitabile.

1 gennaio 2022 - L'opinione pubblica italiana sembra stranamente indulgente verso gli orrori del regime insidiatosi per vent'anni giusto un secolo fa. Non altrettanto quando si solletica la retorica risorgimentale: guai a Radetzky e quindi anche alla marcia composta in suo onore! (Certo, la rivolta che sedò ci vedeva dall'altra parte della barricata, ma ammettiamo che non stiamo parlando delle atrocità del XX secolo, ma dell'epoca degli imperi in cui anche il punto di vista austroungarico era legittimo). Rivalità eterna dichiarata a Vienna, specie dalla Serenissima, quasi fossimo pronti a lanciare volantini durante un Trovatore e a riprovare la condotta del viscido Mahler (non Gustav, ma Franz). E, già che ci siamo, c'è chi proclama non solo la superiorità del repertorio, ma pure quella degli interpreti, inorgogliendosi se un italiano sale sul podio del Musikverein e lanciando strali qualora, viceversa, direttore o cantanti alla Fenice dovessero essere non rigorosamente autarchici.

La disfida di Capodanno si riapre, dunque, anche se il risultato parrebbe scontato. Solo nel 2020 Venezia segnò una rimonta con un concerto di una certa suggestione nel minimalismo e nell'isolamento imposti dalla pandemia. Vienna azzeccò la partecipazione di un pubblico virtuale con foto e filmati inviati da tutto il mondo, inciampando sulla retorica del discorso di Riccardo Muti e sulla volontà di lasciare ai posteri un'immagine di anacronistica normalità dell'orchestra (vaccini e tamponi l'hanno permesso, ma mentre il mondo suonava a distanza e in mascherina un segno dell'emergenza si poteva lasciare). Quest'anno, nelle modalità ci si riavvicina e il pubblico torna in sala, con mascherina e a Vienna con capienza ridotta. Quel che torna a distanziarsi è il risultato.

Venezia. Ahinoi, dopo l'abbraccio della grande chiglia ai musicisti sparsi fra palchi e platea, come naufraghi caparbi su una zattera della tempesta, riecco tutta la retorica patinata della Venezia da cartolina. Le riprese del drone a precipizio fra calli e canali sulle note di Lohengrin ne sono la perfetta dimostrazione e sembra di imbottigliarci fra Rialto e San Marco, fra bancarelle di mascherine e gondole di plastica. Non va meglio con le coreografie, né si vuol dare colpa agli artisti tersicorei scritturati, perché cambiano i nomi (sovente prestigiosi, e quest'anno c'è Aterballetto), ma il problema è sempre il medesimo: la direttiva sembra essere di realizzare una sorta di istallazione neutra, così da non doversi preoccupare troppo del sincrono fra l'orchestra dal vivo e le danze registrate altrove. Peccato, perché se non si dà un senso resta solo l'impressione (a dir poco) interlocutoria dei costumi sgargianti e astratti.

Il guaio è che il problema resta sempre alla radice di questo concerto: nel voler a tutti costi competere con Vienna si porta alla ribalta il repertorio italiano per eccellenza, l'opera. Solo che mentre walzer e polke nascono proprio come pezzi autonomi per situazioni festose, le arie d'opera sono parte di una struttura più ampia e sovente anche i brindisi e i momenti lieti preludono a disastri. Preparare un programma di capodanno basato sull'opera è difficile, rischioso, soprattutto se i notabili Rai che stilano la scaletta pensano di evitare ogni rischio abolendo ricerca e fantasia per un eterno ritorno dell'eguale, dell'usato sicuro sempre più liso e stantìo. Peggiora la cosa il tono bolso e pomposo della presentazione infarcita di errori e corbellerie di involontaria comicità: su tutti il voler reinventare un significato augurale per “Vesti la giubba” come aria che “invita a guardare sempre avanti nella vita”. Ovvio che di fronte a un'affermazione del genere il meglio che ci si possa aspettare è una pioggia di commenti sarcastici. Quando poi la Rai tronca malamante la sua stessa produzione interrompendo il bis del Brindisi della Traviata con la pubblicità, possiamo ben dire che il disastro è completo, per di più replicato tale e quale nella replica su Rai5 e nella versione disponibile su Raiplay.

Peccato, perché Fabio Luisi è sempre una bella bacchetta, si adegua al pot-pourri nazional popolare ma lo fa sempre con la professionalità che gli è propria. Pretty Yende infarcisce “Una voce poco fa” di variazioni eccessive e bruttarelle come nell'abitudine dei soprani di coloratura, ma canta molto bene il resto, vale a dire Juliette e Violetta (certo, anche qui ci sarebbe da ridire su chi impone la presenza pacchianissima del finale di Alfano per Turandot affidandolo a qualunque soprano). Brian Jadge è un tenore in gran carriera ma qui sembra voler far di tutto per farsi considerare sopravvalutato: emissione forzata, pasticci con il testo, musicalità approssimativa.

Benissimo che la Rai produca un suo concerto classico per il Capodanno, però sarebbe anche meglio provare a farlo bene, credendoci, consultando dei veri esperti per programma e repertorio, concedendogli il giusto spazio. L'appuntarsi al petto la medaglia di un'iniziativa conta poco, se poi l'iniziativa non è sviluppata come si deve.

Vienna. Naturalmente ci sa sempre chi dirà che walzer, polke, quadriglie e galop sono “sempre uguali” e che il programma “è sempre lo stesso”. Chissà se queste persone hanno mai visto una pinacoteca, con tutte quelle Madonne con bambino, annunciazioni, adorazioni, ritratti di dame e gentiluomini “tutti uguali”. Ogni genere artistico, specie se legato a una committenza e a uno scopo, ha dei suoi elementi caratterizzanti, delle forme, dei parametri ricorrenti; poi sta all'autore animarli per elevarsi rispetto a una produzione ordinaria. Ed essendo, appunto, quello delle danze viennesi un genere, un concerto a questo consacrato a questo ricorre. Tanto più che si tratta di un repertorio vastissimo, che ogni anno permette di proporre delle novità assolute e di imbastire programmi con un preciso significato, in base sia al direttore sia al tema celebrato ogni anno. In questo caso i temi ricorrenti erano quelli della fiaba, delle creature fantastiche (sirene, fenice), dell'esotismo (marcia persiana, walzer Mille e una notte), con un tocco di quotidianità viennese fra i pezzi scritti per i balli della stampa e l'intramontabile celebrazione di champagne e vita notturna. Tutto nel segno dei cinquant'anni della convenzione per il Patrimonio dell'umanità dell'UNESCO e della presenza di Daniel Barenboim (argentino di nascita, mitteleuropeo per buona parte della carriera, ma anche legato al medio oriente per la doppia nazionalità anche israeliana e il suo impegno con la West Eastern Divan Orchestra). Proprio Barenboim, a dire il vero, è l'aspetto meno convincente del concerto. Piuttosto stanco (questo Neujharskonzert celebra anche i suoi ottant'anni), non imprime una propria visione interpretativa se non quando tende ad appesantire e appiattire il fraseggio. I Wiener Philharmoniker, però, sono sempre di per sé una meraviglia soprattutto quando incarnano lo spirito viennese con quel loro suono pieno, deciso, presente, con quella capacità assertiva e fisica che però si esprime sempre con leggiadria inafferrabile. Un'orchestra danzante e all'occorrenza anche cantante e fischiettante.

Quel che fa la differenza, poi, è sempre il livello tecnico. Riprese, fotografia, resa audio sono d'alta scuola, ma soprattutto i filmati girati in esterna sono perfettamente sincronizzati con la musica, sanno raccontare una storia, hanno una cifra estetica ben precisa che non ha bisogno di ostentazioni. Confrontare la passeggiata viennese sul walzer Morgenblätter con il volo del drone veneziano è impietoso. L'esibizione equestre sulla Nymphen-Polka un classico di sapore asburgico, ma la coreografia sul walzer Tausend und eine Nacht è il solito gioiellino già solo nella varietà dei costumi e degli stili che rievocano il caleidoscopio fiabesco delle Mille e una notte: un tutù corto, abiti da ballo di varia foggia dall'ottocento più romantico a un Novecento haute couture al contemporaneo; scarpette da punta e piedi scalzi, acconciature tradizionali e treccine etniche. Tutto perfettamente amalgamato per raccontare una storia di mille storie, di una umanità e mille varietà, della tradizione viennese e del patrimonio culturale universale. Tutto in una semplcie danza di tre coppie nel palazzo dello Schönbrunn.

Ancora una volta, Vienna è la capitale del Capodanno. Ciò non vieta di far musica anche altrove, ma forse potrebbe suggerire di non cercare la sfida, bensì il gusto di fare le cose per bene.


 

 

 
 
 

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