Dal contemporaneo…al romantico
di Stefano Ceccarelli
L’Accademia Nazionale di Santa Cecilia presenta un concerto diretto da Sakari Oramo che, se si guarda alla data di pubblicazione dei pezzi eseguiti, è un progressivo indietreggiare nel tempo: si inizia, infatti, con due opere di musica contemporanea, Ciel d’hiver di Kaija Anneli Saariaho e il Concerto per violino n. 2 “I Profeti” di Mario Castelnuovo-Tedesco – la cui parte per violino è affidata a Emmanuel Tjeknavorian – e si termina con la Sinfonia n. 1 in si bemolle maggiore op. 38 “Primavera” di Robert Schumann.
ROMA, 29 aprile 2022 – Sakari Oramo dirige un concerto che spazia dalla musica contemporanea a quella romantica, andando, cronologicamente, a ritroso. Il primo pezzo della serata è, infatti, Ciel d’hiver della finlandese Kaija Anneli Saariaho. Ispirato al mito di Orione e al suo catasterismo, Ciel d’hiver è l’espressione musicale di un cielo trapunto di stelle. Su un velo orchestrale tenue e mutevole, la Saariaho innesta strumenti che evocano il brillio delle stelle in un cielo glaciale e pungente. Oramo dirige tale impasto sonoro impressionistico con maestria, equilibrando agogica e sonorità, soffuse eppur pungenti, glacialmente brillanti; l’effetto è magnifico ed il pezzo viene applaudito. Nella seconda parte del primo tempo, Oramo esegue, assieme al violinista Emmanuel Tjeknavorian, il Secondo concerto per violino di Castelnuovo-Tedesco, ispirato a tre profeti biblici – Castelnuovo-Tedesco, per le sue origini ebraiche, fu costretto a fuggire in America. Oramo guida l’orchestra in una sequela di ritmi e melodie, che evocano – senza mai citarle esplicitamente – le sonorità della liturgia ebraica. Tjeknavorian dà prova di essere un interprete raffinato non solo nei passaggi più arditi e virtuosistici, ma anche nella lettura profonda, ieratica, di alcuni passaggi del concerto. Il I movimento (Isaia. Grave e meditativo) è tutto giocato su passaggi di grande spessore orchestrale alternati a momenti dove il violino canta frammenti intensi, accordi debitori, in filigrana, dell’autentica liturgia ebraica. Nel II (Geremia. Espressivo e dolente) Tjeknavorian esegue legati magnifici, facendosi eco con l’orchestra in una melodia malinconica, che evoca un non so che di salmodiante. Il III (Elia. Fiero e impetuoso) chiude il concerto con un’inventiva infiammata che costringe il violinista a un tour de force virtuosistico, che si chiude in maniera fulminea. Orchestra, direttore e solista vengono generosamente applauditi. Tjeknavorian regala un bis insolito e originale: il II movimento della Sonata per violino op. 31, n. 2 di Hindemith, che ha la caratteristica di essere eseguito solo in pizzicato.
Il secondo tempo è interamente dedicato alla Prima sinfonia di Schumann, “Primavera”. Oramo legge la partitura con slancio meditato, mantenendo sempre una chiara sgranatura agogica, talvolta indugiando qualche frazione sui grandi accordi a tutta orchestra. L’energia propulsiva di una partitura come la “Primavera” non ristagna, però, ma fluisce sotto il vigile controllo di Oramo – altri approcci più ‘dionisiaci’ alla partitura sono, per esempio, quello di Furtwängler. Il I tempo è un’ondulata successione di pieni/vuoti, in cui Schumann gioca con il gonfiarsi e lo sgonfiarsi di una grossa massa orchestrale. Oramo dirige con mano morbida, assecondando il melodiare zampillante del II movimento, il Larghetto, il quale, pur essendo il canonico movimento lento, cresce qua e là in intensità, come se l’energia vivifica sottesa alla sinfonia non sfugga nemmeno alla tradizionale oasi di tranquillità agogica. Oramo dona una lettura dinamica, ben ritmata, dello Scherzo (III), con un bello stacco al momento del Trio, e, soprattutto, dell’ultimo movimento (Allegro animato e grazioso), ancora basato sulla tecnica di una successione di climax con riprese e contrasti. Gli stacchi ritmici e le riprese del IV movimento, in particolare, sono degne di nota e attestano la sensibilità della bacchetta di Oramo (si noti, almeno, l’oasi di legni ed archi che prelude allo slancio finale); il direttore, assieme all’orchestra, si merita un convinto applauso.