L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Fra quai soavi palpiti

di Roberta Pedrotti

Il Rossini Opera Festival festeggia i duecentotrent'anni di Rossini con una festa di Non-Compleanno che culmina in una trasferta a Fano. Va in scena, in forma di concerto e con un ottimo cast, Tancredi, per la prima volta al Rof con il finale lieto completo della prima versione del rondò del protagonista.

FANO, 27 febbraio 2022 - Non bastava, a Rossini, lo scherzetto d'esser nato il 29 febbraio. Ultimamente sembra che il destino si sia messo d'impegno a guastare i compleanni quadriennali e i non compleanni ordinari. Nel 2020, bisesto come pochi, sappiamo come è andata; nel 2021 Pesaro ha festeggiato in streaming a porte chiuse; oggi, senza tirare in ballo altre tragedie globali, ci fermiamo alla misura più domestica del piccolo intoppo logistico: il Teatro Rossini è in ristrutturazione (e confidiamo nelle migliorie promesse per la Sala della Repubblica) e il Rof porta l'evento di punta delle celebrazioni per i 230 anni di Gioachino in “non compleanno” al Teatro della Fortuna di Fano. Almeno questo male non viene per nuocere, perché un gemellaggio rossiniano fra le vicine storiche rivali è senz'altro un'ottima cosa, soprattutto nel quadro delle iniziative legate al compositore che possono trovare un'altra casa al Teatro della Fortuna, guidato, peraltro, da una colonna storica della Fondazione Rossini come Catia Amati.

Una congiunzione di coincidenze, allora, ci fa capitare a Fano nei giorni del carnevale, approfittare per una visita alla mostra dedicata all'artista locale Pierluigi Piccinetti (autore anche del carro carnascialesco dedicato a Rossini nel 2018), ascoltare un Tancredi che è una vera primizia. Si fa il finale lieto, e non è una novità: al Rof negli anni '80 con Pierluigi Pizzi si inventò perfino una produzione con doppio finale, nel 2012 in forma di concerto, l'opera si chiuse con il giubilante vaudeville “Fra quai soavi palpiti”. Tuttavia, in ogni caso la Gran Scena del protagonista culminava nel Rondò “Perché turbar la calma”. Salvo smentite, questa è la prima volta che, invece, il primo finale veneziano si esegue sotto l'egida del Festival completo anche del Rondò “Or che dici? Or che rispondi?”. Insomma, valeva la pena di esserci, per questo scampolo di Rof fuori stagione. [per approfondire: Tancredi, prospetto delle versioni]

Fra il cambio di collocazione definito in tempi rapidi, e le solite traversie pandemiche, qualche piccolo intoppo si verifica, per esempio per il coro preparato da Mirca Rosciani, a ranghi ridotti e penalizzato dalla posizione in fondo alla scena, seminascosto dall'orchestra. Seminascosto pure il cembalo di Elisa Cerri, il che, senza colpa di alcuno, ha reso i recitativi un po' più macchinosi di quanto avrebbero potuto essere con un miglior contatto visivo. C'è poi da registrare la forma non perfetta di Sergey Romanovsky, che fa intuire di avere ottime potenzialità come Argirio, ma si trova evidentemente in condizioni non ottimali, come si evince dal taglio dell'aria del secondo atto.

Per il resto, però, è una festa.

Ricordavamo l'interessantissima scena di catene di Amenaide affrontata da Giuliana Gianfaldoni nel concerto finale dell'Accademia Rossiniana [Pesaro, Concerto Accademia Rossiniana, 22/07/2019]; ora il soprano pugliese brilla nel ruolo completo con un gioco sopraffino di filati, dinamiche, messe di voce, suoni modulati ad ogni altezza con arte scaltrita. “No, che il morir non è” e “Giusto Dio, che umile adoro” sono due vere gemme, ma anche i duetti con Tancredi sanno trovare momenti davvero incantevoli e commoventi. Merito pure di Maria Barakova, che presta all'eroe eponimo una presenza vocale svettante, un'estensione ampia e sicura, un'ottima dizione italiana e un gran temperamento d'interprete. Sono assai ben caratterizzati anche l'Isaura di carattere anche nella dolce discrezione di Nutsa Zakaidze e lo squillante Roggiero di Marta Pluda, così come il torvo Orbazzano di Niccolò Donini.

Daniele Agiman dirige con mano sicura un'orchestra Sinfonica Rossini assai concentrata, in ottima forma. Il bilancio è allora più che positivo: qualche fastidio inevitabile viene ben ripagato da un ottimo cast, da un insieme efficace, dal sollievo di vedere una volta tanto questo claustrofobico dramma di silenzi e fraintendimenti sciogliersi in un tripudio di felicità.

Ce n'era bisogno.


 

 

 
 
 

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