L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Voci di guerra, canti di pace

di Antonino Trotta

Dedicata alla memoria del recentemente scomparso Ezio Frigerio, Norma in scena al Teatro Regio di Torino eccelle nelle prove di Gilda Fiume e Francesco Lanzillotta. Molto valido il resto della compagnia, sontuoso il segno visivo dello spettacolo firmato da Lorenzo Amato.

Torino, 12 marzo 2022 – Che la luna ci ascolti. In questo momento storico flagellato dal sonno della ragione, le parole che Felice Romani affida alle labbra della sacerdotessa druidica raccolgono i desideri di un’intera comunità, comunità che si spande ben oltre il perimetro della sala del Regio. In un contesto che ha per sfondo l’orrore della guerra, la preghiera alla Luna è un accorato invito alla pace, il momento in cui il singolo diviene collettività, in cui l’umanità si rivela nella migliore delle sue forme, sublimata com’è dal genio belliniano che eleva la propria musica in un iperuranio melodico pressoché ineguagliabile. I lunghi, lunghissimi applausi dopo l’aria lo confermano: non è solo entusiasmo per un celebre pezzo divinamente cantato, è commossa partecipazione a una prece – rivolta a qualsivoglia divinità – divinamente innalzata al cielo.

Del resto Gilda Fiume, straordinaria protagonista delle recite torinesi, di Norma coglie e esprime l’aspetto più delicato e intimo, mettendo a nudo la donna che conosce l’amore in tutte le sue sfaccettature e in tutte le sue contraddizioni. Oggi la si definirebbe una Norma belcantista – come se un’opera scritta da Vincenzo Bellini nel 1831 potesse essere qualcos’altro – solo per indicare che i romani a cento a cento non saranno mietuti, in un impeto di incontrollato furore, a suon di colpi di glottide e voci di petto, quasi ricercando in un aggettivo prettamente stilistico una sorta di rinuncia, sulla carta, al fuoco e al pathos – quando poi il repertorio belcantista è pieno di eroine che non hanno nulla da invidiare alle Tosche più sguaiate –. Gilda Fiume confuta questa stramba teoria e dimostra, a conti fatti, che Norma sa emozionare pur cantando come Bellini comanda: ecco allora che filati eterei inanellati l’uno dopo l’altro – il recitativo d’apertura che introduce il «Casta Diva», poi cantato a regola d’arte, è, in tal senso, magnifico –, messe di voce, legati d’alto rango e una linea di canto scolpita nell’avorio ritraggono una Norma che sa essere, in un intreccio di forze e fragilità, sacerdotessa, madre, figlia, amica e amante; un’eroina che nella carnalità delle proprie sofferenze non dimentica mai la sacralità della sua vocazione, al punto tale da riuscire quasi a cristallizzare il proprio dolore – nella scena d’apertura del secondo atto, «Dormono entrambi» – in una dimensione mistica e trascendente che lo rende ancor più straziante. C’è poi un dato di fatto, Fiume alle recite arriva strapreparata: lo si evince dai recitativi perfetti, limpidi, studiati e minuziosamente miniati affinché del testo di Romani non una sola parola vada sprecata o licenziata senza la ricerca di colori e accenti pertinenti all’esigenze narrative; dalla gestione della voce, che a ogni altezza conserva beltà di timbro e rotondità, specie negli affondi al grave, risolti con grande maestria; dalla scelta di variazioni e puntature, secondo i crismi della scuola Devia, mai meri orpelli vocali e sempre funzionali alle impennate drammatiche del personaggio.

Non si possono però tessere le lodi di questa Norma senza ricollegarsi all’eccezionale lavoro in buca di Francesco Lanzillotta, prova provata che un signor direttore può lasciare un segno indelebile anche là dove l’orchestra arpeggia perlopiù accordi. Alla guida dell’orchestra del Teatro Regio di Torino, in gran spolvero, Lanzillotta intavola una concertazione fluida, setosa, trasparente e plastica come un corso d’acqua che, ininterrotto, sa trasformarsi in rivolo o torrente, accelerare in vorticose rapide o distendersi in zone di calma lancinante, senza mai, si sottolinea mai, sedare il mordente della narrazione musicale né perdere di vista le esigenze del palcoscenico. Al di là degli svariati preziosismi strumentali che l’erudita bacchetta rende fruibili all’ascolto – per fare un esempio, balza in risalto la scaletta discendente dei fiati sulle parole «cade sull'ara il folgore», nell’aria d’apertura di Pollione, che nel lessico del melodramma ottocentesco sono “onomatopee” per fulmini e saette –, Lanzillotta restituisce a Norma un lirismo intenso e coinvolgente, una tensione drammatica che non si annida solo nei passaggi corruschi e belligeranti – in questa lettura giustamente intesi quali cornice alla vicenda – o nelle sezioni che introducono le diverse scene, ma si realizza appieno là dove il canto si apre in ampie volute, dove quegli arpeggi, apparentemente anonimi, a forza di agogiche e dinamiche sembrano instradare il canto verso i migliori risultati espressivi.

Non è affatto male nemmeno il resto della compagnia. Annalisa Stroppa è un’Adalgisa molto appassionata, toccante negli accenti, scenicamente partecipe, che ben viene a capo di una tessitura quasi sopranile in cui sfoggia un bellissimo colore ambrato e un’ottima contezza di stile. Dmitry Korchak, Pollione, canta con una bella omogeneità di volume in tutti i registri. La voce non è squillantissima e l’emissione forse a tratti velata da un po’ di naso, tuttavia il tenore russo viene a capo dell’impegnativo ruolo con un fraseggio e intenzioni nobili, varia con gusto, non si risparmia in puntature e ben caratterizza, in definitiva, il pallone gonfiato romano. Fabrizio Beggi è un Oroveso piuttosto ruvido. Censurabile Joan Folqué come Flavio, corretta Minji Kim quale Clotilde. Ottima la prova del Coro del Teatro Regio di Torino istruito dal maestro Andrea Secchi.

Poco da dire sullo spettacolo firmato da Lorenzo Amato che, innestato in un contesto atemporale in cui s’impone l’elemento naturalistico, si limita a un entra-esci-piazzati in proscenio abbastanza asettico. Le scenografie del compianto Ezio Frigerio, a cui è dedicata la produzione, sono tuttavia bellissime e, grazie anche alle luci di Vincenzo Raponi che trasformano le videoproiezioni in vere e proprie tele dipinte, conferiscono un importante segno visivo all’intera messinscena.

Applausi meritatissimi all’intera compagnia per uno spettacolo riuscitissimo a cui vale la pena assistere.


 

 

 
 
 

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