La formazione de Burlador
di Roberta Pedrotti
Caloroso successo a Como per il Don Giovanni affidato a una locandina di giovani e giovanissimi nel collaudato (ma discutibile nelle scelte testuali) allestimento di Mario Martone
COMO, 1 ottobre 2022 - Ripartono le stagioni liriche e a Como il pubblico festeggia la prima tappa del Don Giovanni che, nelle prossime settimane, toccherà gli altri teatri del circuito OperaLombardia.
Una produzione che parte sul sicuro, con il collaudatissimo spettacolo firmato da Mario Martone (per la regia ripresa qui da Raffaele Di Florio), Tiziano Santi (scene e costumi), Pasquale Mari (luci) e Anna Redi (coreografie): un impianto unico, con passerella intorno alla buca dell’orchestra e spalti sulla scena in una sorta di antico teatro popolare, cabiti settecenteschi di splendida fattura. Lo spazio così articolato non è dei più facili per i rapporti acustici (ne fa le spese il Commendatore, relegato sul fondo sì da risultare ben poco imponente), ma senz’altro propizio all’azione teatrale in una sala di dimensioni assai raccolte. Tutto, così, si svolge con chiarezza, recitazione ben curata e spontanea. In uno spettacolo piacevole e senza particolari sussulti, spiace solo l’incomprensibile decisione – già nell’idea originaria di Martone nel 2002 per Napoli – di anticipare il recitativo e aria di Don Ottavio “Come mai creder deggio… Dalla sua pace” subito dopo “Che giuramento, o dei!”. Senza entrare nel merito dell’adozione o meno della versione tradizionale dell’opera che mescola le stesure per Praga (1787) e per Vienna (1788), la scena nella collocazione voluta dal regista perde il suo senso di reazione drammaturgica e musicale al racconto e all’aria di Donna Anna, non ha ragione d’essere senza la rivelazione della tentata violenza e del colpevole dell'omicidio. Superata questa bizzarria, si gode per il resto con piacere una tradizione di qualità.
Qualche rischio in più lo si prende con una locandina di giovani e giovanissimi fra direttore e cantanti, questi ultimi scelti dal concorso AsLiCo. Cast ben assortito, in cui eventuali limiti d’inesperienza sono prontamente assorbiti dalla tenuta complessiva e dal buon gioco di squadra. Adolfo Corrado è un Leporello di bella pasta piena e sonora che non gli impedisce un’articolazione della parola nitida ed espressiva. Ottimo, poi, il contrasto con il Don Giovanni baldanzoso di Guido Dazzini, giustamente più baritonale e ben compreso come attore (d’ottimo effetto lo sguardo fra lo stupefatto il terrorizzato e il divertito per l’assenso all’invito a cena). Didier Pieri è un Don Ottavio vocalmente forbito e di grande eleganza nella definizione di un nobiluomo non privo di carattere, ma agli antipodi per forma mentis rispetto al Burlador. Bene anche il Masetto energico e ben timbrato di Francesco Samuele Venuti, mentre Pietro Toscano è il Commendatore, come detto, un po’ sacrificato acusticamente. Sul versante femminile, piace molto Elisa Verzier, Donna Anna di bello smalto e musicalità aristocratica, in buon equilibrio con la temperamentosa Donna Elvira di Marianna Mappa, non meno efficace. Gesua Gallifoco è una Zerlina dolcissima anche nella sua malizia. Una compagnia che si ascolta e si guarda con piacere, anche per la felice aderenza fisica ai rispettivi personaggi, ben sperando anche per gli sviluppi futuri.
Da poco ventiduenne, Riccardo Bisetti, dimostra un’ottima preparazione di base, ha gesto chiaro e conduce in porto una partitura che alla difficoltà oggettiva unisce il peso immane di responsabilità, aspettative e tradizioni. Quel che ancora manca, più della profondità che nemmeno chiederemmo a un debutto così precoce, è una più spiccata cura per la varietà dinamica, per il rapporto con il canto e per sfumature agogiche che vadano oltre lo slancio di tempo generalmente spedito. Di certo il passo svelto può aiutare, ma non basta, anzi, rischia di appiattire il ritmo dell’azione. Sicuramente Bisetti avrà tutto il tempo per maturare, sulla sua buona base iniziale, un’interpretazione più varia e colorita nei dettagli.
Per ora va bene così, le sbavature (è capitato, ma notarlo non deve significare una condanna sulla lavagna di Beckmesser) fanno parte del gioco anche in contesti più blasonati e con artisti più esperti: l’incidente non è sostanza, è soggetto a infinite variabili e quel che più conta è la capacità di reazione e tenuta complessiva. L’orchestra dei Pomeriggi musicali con il suo organico principale offre, poi una prova compatta e concentrata; il coro OperaLombardia a ranghi più ridotti completa la locandina sotto la guida di Diego Maccagnola insieme con Hana Lee al fortepiano (peccato non avere il continuo completo di violoncello!).
Alla fine, l’accoglienza è festosa e si esce dal teatro felici: sono passati duecentotrentacinque anni dalla creazione di Don Giovanni e ancora vediamo ragazzi, giovani e giovanissimi che danno anima e corpo per farlo vivere sulla scena. Lo fanno anche bene, soprattutto lo fanno con serietà, entusiasmo, spirito di squadra.