Il teatro assurdo
Un deludente Barbiere di Siviglia apre la stagione 2023 del Teatro Regio di Torino: la gustosa concertazione di Diego Fasolis non basta a risollevare le sorti di uno spettacolo che, pur partendo con ottimi presupposti, sfiora più volte il ridicolo.
Leggi la recensione dell'altra compagnia: Torino, Il barbiere di Siviglia, 31/01/2023
Torino, 2 febbraio 2023 – Il Rossini buffo, oggi come oggi, andrebbe francamente ripensato in toto. I personaggi come ingranaggi di un macchina comica implacabile, l’iperrealismo stralunato giustificato da quella scrittura che è un’inarrestabile raffica di parole, note e adrenalina sono, ormai, figli di un’era che è già stata e il Rossini del Barbiere, da trionfo del teatro dell’assurdo corre seriamente il rischio, e quasi ogni “nuovo” allestimento corrobora il timore, di trasformarsi in un teatro di sole assurdità.
Nel pensare il suo Barbiere che al Teatro Regio di Torino inaugura la stagione 2023, al di là delle manie autolesioniste di Goya, Pierre-Emmanuel Rousseau parte da presupposti ottimi. Tali sono, anzi tali sembrano, l’idea di «ritornare a Beaumarchais e alla sua critica acerba della società», o ancora il desiderio di connotare i protagonisti più come personaggi – «Figaro libero, senza legami, senza casa. Millantatore magnifico, essere dalle molteplici vite», dunque delinquentello e problematico, ad esempio, ci sta tutto nonostante Sterbini si allontani da Beaumarchais, anche perché Figaro, alla prova dei fatti, incassa il malloppo senza averne azzeccata una – che inanimate marionette. Poi però lo spettacolo inizia e sul palcoscenico si vedono solo ed esclusivamente baggianate, spesso anche di dubbio gusto, a conferma del fatto che tra descrivere uno spettacolo e realizzarlo c’è di mezzo il mare. Il problema, però, non è l’estenuante mitragliata di gag completamente avulse dal contesto – scelta opinabile ma legittima nella libertà del regista di leggere il testo secondo la propria sensibilità –, quanto il peso o l’importanza che a esse viene attribuito nell’economia dello spettacolo. L’impressione, di fatto, è che si sacrifichi un po’ tutto in virtù di queste parentesi paradossali che strappano una risata a parte del pubblico ma non apportano un bel niente allo spettacolo. Si sacrificano così i recitativi, buttati alle ortiche nel disinteresse più totale, si sacrifica la costruzione dei personaggi millantata sulla carta, si sacrifica ancora la qualità degli interventi del coro, costretto a cimentarsi negli squat a ritmo di musica: i pertichini dei tenori, sì, mancano di polpa e precisione, ma a fine produzione, almeno, i coristi si ritroveranno con dei glutei di marmo.
Ciò che però più dà sui nervi, in quest’occasione, è il lavoro in buca del maestro Diego Fasolis: avremmo preferito una direzione banale, sciatta, bicromatica, che si scapicollata a cento all’ora noncurante delle finezze che miniano la partitura, insomma ciò che solitamente si propina in abbinata a questo Rossini da battaglia. Invece Fasolis ci tiene a rimarcare che il tempo per quel Rossini lì è volto a termine e ci tortura con una concertazione fresca, intelligente e moderna in cui il sublime comico rossiniano si sostanzia nella raffinatezza del fraseggio orchestrale, nella moltitudine di colori che i complessi non sempre precisissimi sono in grado di sfoggiare, nella cura dei dettagli al fortepiano del maestro Carlo Caputo, nel garbo e nell’intuito con cui le agogiche sono costruite e dosate in virtù di una teatralità ammaliante che nasce e muore nel golfo mistico.
Il cast è a corrente alterna. Rodion Pogossov, Figaro, punta tutto sul sol tonitruante e sul timbro statuario ma mostra il fianco nel canto sillabico; Nico Darmanin, Conte d’Almaviva dalla voce fin troppo aggraziata – ah, le scenografie, così come i costumi sempre a cura di Rousseau, sono bellissime anche se non sembrano agevolare l’acustica –, ghermisce con sforzo qualche acuto nei passaggi di agilità ma si disimpegna con onore nella terrificante aria finale; Josè Maria Lo Monaco, così come già riferito da Alberto Ponti, è un’ottima Rosina; Riccardo Novaro è un Don Bartolo professionale; Guido Loconsolo, Don Basilio, tende a snaturare la superba qualità del proprio strumento mentre Rocco Lia (Fiorello/Ufficiale) a perdere il fuoco sull’intonazione. Irina Bogdanova, infine, si cala alla perfezione nel ruolo di Berta.
Teatro strapieno e applausi scrocianti per tutti.