L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

La valle dell'amore a Modena

di Irina Sorokina

Esito in crescendo per l'opera di Verdi a Modena; buona la prova delle interpreti femminili, mentre gli uomini partono in sordina e si rinfrancano via via. L'allestimento di Massimo Gasparon dal lavoro di Pier Luigi Samaritani punta tutto sull'impatto visivo.

MODENA, 5 marzo 2023 - Sarà una coincidenza, aver ascoltato a distanza di un mese uno dall’altro, Un ballo in maschera verdiano, prima al Carlo Felice di Genova [Genova, Un ballo in maschera, 03/02/2023] e poi al Comunale Pavarotti Freni di Modena (coprodotto con la  Fondazione I Teatri di Reggio Emilia), in due allestimenti piuttosto “tranquilli”, con una regia praticamente invisibile, che comunque hanno goduto di un meritato successo di pubblico. Riempie sempre le sale uno dei capolavori del teatro verdiano considerato da uno dei maggiori studiosi dell’arte del bussetano, Massimo Mila, il Tristano e Isotta di Verdi. “Un Tristano, naturalmente, tradotto in italiano, portato sotto il cielo ardente, anche se la finzione scenica vuole che il dramma si svolga in nordiche terre”.

“La valle dell’amore… per entrare in questa valle bisogna tuffarsi interamente nel fuoco, o meglio bisogna esser fuoco, perché lì altrimenti non si potrebbe vivere. Colui che ama veramente ha da essere simile al fuoco, il viso infiammato, ardente e impetuoso come il fuoco. Per amare non si deve avere secondi fini; si deve esser pronti a gettare nel fuoco cento mondi”: andiamo veramente lontano nel tempo, mille anni fa, per scavare la frase del mistico e poeta persiano Farid al-Din ‘Attar vissuto tra il 1145 e il 1221 che, secondo il nostro parere, si adatta bene a caratterizzare il rapporto tra due protagonisti di Un ballo in maschera. Riccardo e Amelia sono i protagonisti della storia dell’amore erotico che brucia un uomo e una donna, li cuoce vivi: a loro è permesso di entrare nella “valle dell’amore” di cui parla lo scrittore persiano.

Da questo punto di vista non ha importanza l’ambientazione dell’opera che si ispira al fatto accaduto realmente in Svezia nel 1793, quando il re Gustavo III noto tra l’altro anche per l’eleganza della propria corte, venne ucciso durante un ballo in maschera. All’epoca la censura romana vietò la rappresentazione del regicidio sul palcoscenico e così la Svezia illuminista si trasformò in un Boston seicentesco e il re svedese in un governatore inglese: ma al centro dell’opera ci fu sempre una bruciante passione amorosa.

Al Teatro Comunale di Modena intitolato a uno dei suoi figli più celebri, Luciano Pavarotti (e in un secondo momento anche al grande soprano Mirella Freni) approda Un ballo in maschera tutt’altro che nuovo, anzi, possiamo chiamarlo “vecchio” visto che si tratta di un allestimento con una lunga militanza che conserva la sua scintillante bellezza visiva, partendo dall’ormai storica produzione del Teatro Regio di Parma della stagione lirica 1988-1989, “il dovuto omaggio alla grande e straordinaria originalità scenografica di Pier Luigi Samaritani” come scrive Massimo Gasparon che attualmente figura nella locandina come regista, mentre all’epoca il ruolo fu ricoperto dallo stesso Samaritani. Ora nel programma le note di regia sono firmate da Gasparon che dichiara: “si è cercato di ritrovare una nuova prospettiva drammaturgica dei personaggi attraverso un loro aggiornamento emozionale, e non solo supenfusuo “orrido campo” di tutto rispetto, con una chiesa gotica in rovina, alcune croci tombali inclinate e degli alberi prive di foglie, sempre suggestivi; tuttavia tutti gli elementi di scenografia si erano visti mille volte in più allestimenti come mille volte si erano viste le onde di vapore che a Modena coprono generosamente il golfo mistico.

Avremmo voluto fidarci delle dichiarazioni del regista, tuttavia, senza aver visto la produzione originale di ben trentacinque anni fa, riesce difficile capire quanto realmente si realizzano le intenzioni di Massimo Gasparon. All’occhio si dà inevitabilmente la bellezza abbagliante dell’allestimento che colpisce e conquista, ma si percepisce poco o niente la sunnominata “nuova prospettiva drammaturgica dei personaggi”. Lo spettacolo riesce a decollare grazie alla scenografia, ai costumi elaborati dai colori sgargianti e ad un cast che funziona abbastanza bene. La recita domenicale vede il teatro modenese gremito il che fa un grande piacere: evidentemente la musica verdiana da sempre attrae il pubblico, preferibilmente in età matura, ma non manca anche della gente giovane.

La componente maschile del cast all’inizio desta qualche dubbio, ma piano piano raggiunge il successp. Partono un po’ sotto tono gli entrambi rappresentanti del "sesso forte", il tenore Giorgio Berrugi e il baritono Devid Cecconi; la prestazione dei soprani Maria Teresa Leva e Lavinia Bini e del mezzosoprano Alisa Kolosova risulta più omogenea.

Un solido professionista, Berrugi, non dotato in pieno del fascino necessario per il personaggio di Riccardo, a tratti somigliante al duca di Mantova, e di bel timbro: delude in “La rivedrà in estasi”, niente spirito fanciullesco e il cantabile poco carezzevole, la delusione aumenta in seguito a causa degli acuti evidentemente sforzati. La “riscossa” inizia timidamente nel secondo quadro con un malinconico “Di’ tu se fedele” e procede con “È scherzo od è follia” eseguito con grinta e un gran senso di ritmo. Da qui il canto del tenore acquista sicurezza sempre maggiore, nel celeberrimo duetto regge a sufficienza e trova i suoi momenti migliori sia in “Ma se m’è forza perderti” sia in “Ella è pura”.

Anche il collega Devid Cecconi inizia “in sordina”, per niente convincente in “Alla vita che t’arride”, voce poco incisiva, un poco rozza e dall’acuto difficile, ma recupera in “Eri tu” cantato alla grande, in modo molto espressivo, musicale e con un contrasto formidabile tra due parti del brano, scuotendo gli animi in “O dolcezze perdute” anche se la tendenza allo sforzo e la fatica nel registro acuto persistono. Si dimostra anche un ottimo partner di due bassi nei pezzi d’insieme.

Maria Teresa Leva trova in Amelia un personaggio a lei perfettamente consono, una giovane donna la cui vita è stata sconvolta dalla passione amorosa travolgente. Sempre naturale e piena di dignità riesce a essere una sposa di Renato più credibile del solito visto che il suo personaggio, che rischia spesso di soccombere rispetto alla personalità di tenore e baritono. La sua bella voce del soprano lirico spinto è omogenea, piena, ben timbrata, perfettamente controllata e dona autentica emozione nel celeberrimo duetto con Riccardo e in “Morrò, ma prima in grazia”, cantato con un grandissimo sentimento.

Alisa Kolosova disegna una grande Ulrica, in perfetto equilibrio tra lo spirito profetico e un certo grado d’umanità e gioca sulla morbidezza della linea, evitando felicemente delle sforzature che spesso vengono adottate dalle interpreti del ruolo della profetessa verdiana. Profonda e non priva d’eleganza la sua interpretazione di “Re dell’abisso affrettati”.

Lavinia Bini è impeccabile nel ruolo dello spensierato paggio Oscar, indispensabile per una perfetta distribuzione vocale. Impeccabile come cantante e come attrice, tira fuori un gran fascino dal carattere “birichino” senza trascurare l’aspetto profondamente lirico e doloroso del personaggio nel finale. La voce si distingue per il colore molto bello, la tecnica è ottima, l’emissione morbida e la parola chiara senza parlare dell’autentico talento d’attrice, delle movenze armoniose e del sorriso disarmante.

I due cospiratori trovano nelle persone di Svetolik Belosliudov e Gaetano Triscari interpreti perfetti, i giovani bassi cantano e recitano con disinvoltura e una sfumatura gradevole d’ironia.

Chao Liu è un Silvano grintoso e simpatico, Paolo Leonardi, il giudice, non passa inosservato ed è corretto Luca Favaron, un servo d’Amelia.

Ottima la direzione di Alessandro D’Agostini alla guida della Filarmonica di Parma, che già nel Preludio coglie perfettamente l’espressività verdiana, giocando inl modo equilibrato sui forti contrasti, tra la cupezza e la dolcezza. Le dinamiche risultano raffinate, il suono degli archi per quanto riguarda l’espressività compete con la voce umana.

Ottima anche la prestazione del Coro Lirico di Modena preparato da Giulia Manicardi affiancato dalle Voci bianche del Teatro Comunale di Modena dirette da Paolo Gattolin.

Immancabile ormai è la presenza nelle produzioni dei teatri emiliani dei danzatori dell’Agora Coaching Project a cura di MM Contemporary Dance Company che qui si limita alle movenze convulse e ripetitive attorno a Ulrica curate da Gino Potente e tinte dalle luci rosse intense di Andrea Borelli.

Alla fine, un’accoglienza calorosa pienamente meritata per tutti gli artisti e lunghi applausi.


 

 

 
 
 

Utilizziamo i cookie sul nostro sito Web. Alcuni di essi sono essenziali per il funzionamento del sito, mentre altri ci aiutano a migliorare questo sito e l'esperienza dell'utente (cookie di tracciamento). Puoi decidere tu stesso se consentire o meno i cookie. Ti preghiamo di notare che se li rifiuti, potresti non essere in grado di utilizzare tutte le funzionalità del sito.