L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Alla Scala tra Dvořák e Verdi

di Francesco Lora

S’intrecciano le recite di Rusalka e Macbeth: questo è la scialba riproposta dell’allestimento che ha inaugurato la stagione scorsa, con Luca Salsi stesso penalizzato dal contesto, mentre quella è il capolavoro registico di Emma Dante, con l’ottima direzione di Tomáš Hanus e le voci di Olga Bezsmertna, Dmitry Korchak, Elena Guseva, Jongmin Park e Okka von der Damerau.

MILANO, 13 e 15 giugno 2023 – Il nuovo allestimento di Rusalka al Teatro alla Scala – sei recite da 6 al 22 giugno, tardiva prima volta a Milano – è anzitutto la miglior regìa d’opera firmata sinora da Emma Dante. Ella non è in primo luogo una regista d’opera, e lo dimostra il suo essere spesso autoreferenziale, generica o impacciata al cospetto del codice operistico: i palcoscenici lirici, ricchi di tecnica e quattrini, attirano però tutti; nondimeno, il capolavoro teatrale di Dvořák calza a pennello sulla sua poetica e nel contempo la stimola a idee degne del più celebre teatro d’Italia. Ecco allora la fiaba moltiplicare le sorprese del meraviglioso assai più di quanto il libretto stesso prescriva, cavalcando al millimetro l’incedere della partitura e della sua drammaturgia, nonché giocando con la terribilità slava: la protagonista, ninfa dell’acqua innamorata di un principe umano, dunque omologa della sirenetta di Andersen e dell’ondina di Fouqué, qui non ha l’avvenenza di un’iridescente coda da pesce, ma tentacoli da piovra che la costringono in sedia a rotelle, e per divenire umana, tramite l’incantesimo della strega Ježibaba, ella non passa per un indolore tocco di bacchetta magica, bensì viene manualmente e atrocemente mutilata dei suoi tentacoli; gli stessi tentacoli che alla festa del principe, nell’atto successivo, sono serviti come cena di mare in un lascivo banchetto di corte: è così dato conto (limpido), in tale percorso (toccante), dell’esemplare forza di motivazione della protagonista, da una condizione all’altra e a qualunque costo. D’eccezione il concorso dei consueti collaboratori della Dante, i quali questa volta superano sé stessi per coesione e genio: lo scenografo Carmine Maringola, la costumista Vanessa Sannino, il light designer Cristian Zucaro e il coreografo Sandro Maria Campagna (affascinante e commovente, nel lavoro di quest’ultimo, il danzare della ninfa, felice delle sue gambe, nei giardini principeschi: un “numero” di balletto di prima classe).

Il concertatore incaricato, Tomáš Hanus, è uno specialista di opera slava e di temi fiabeschi, tanto meglio se associati tra loro, dallo Čajkovskij di Iolanta a molto Smetana e Janáček, fino, appunto, a Dvořák e – per affinità – allo Humperdinck di Hänsel und Gretel. Alla Scala la qualità tecnica dell’orchestra è in crescita continua e la scuola attuale è nientemeno che quella di Riccardo Chailly, di Daniele Gatti e di Michele Mariotti: al turno di Hanus e della sua Rusalka, nei primi minuti d’ascolto si storce dunque il naso, per un certo polveroso disequilibrio tra le sezioni e per un fraseggio a tratti così spigoloso da sembrare casuale; poi si mette a fuoco che proprio lui è il direttore giusto: tali modi hanno qui un risultato narrativo travolgente, che mette le ali alle lancette dell’orologio, che fa tutt’uno col lavoro della Dante, che infiamma di nuova prestanza il coro, che guida la compagnia di canto a serrarsi in squadra conscia e a dare il meglio di sé. Rusalka spetta a Olga Bezsmertna, il soprano-utilité della Staatsoper che il sovrintendente Dominique Meyer si è portato a Milano dopo il decennio a Vienna: robusta voce ucraina, senza fascino timbrico, in una parte pericolosamente già fétiche di Gabriela Beňačková e Renée Fleming; ma quale stupendo entusiasmo interpretativo, in lei, quale incisività musicale da vera primadonna, quale totale dedizione alle istanze attoriali di uno spettacolo tra i più esigenti e complessi! La parte del Principe tocca invece a Dmitry Korchak, tutt’insieme solido, sfumato, ispirato, impetuoso, squillante: riascoltato qui dopo il rivelatorio Werther a Verona, ci si chiede perché abbia atteso tanto a tagliare il cordone ombelicale con Rossini. Sontuosi nel canto e spassosi sulla scena la Principessa straniera di Elena Guseva, il Vodník di Jongmin Park e la Ježibaba di Okka von der Damerau. Impegnata e ben assortita la schiera di caratteristi: merito di Jiří Rajniš, Svetlina Stoyanova, Hila Fahima, Juliana Grigoryan, Valentina Pluzhnikova e Ilya Silchukou.

macbethscala2023

Dal 17 giugno all’8 luglio, s’intrecciano con quelle di Rusalka le altrettante recite di Macbeth di Verdi, con un’anteprima il 15 per sostenere l’acquisto della sua villa di Sant’Agata da parte dello Stato italiano. Si tratta della riproposta dell’allestimento che ha inaugurato la stagione scorsa, con regìa di Davide Livermore, né ci sarebbe stata fretta di riprenderlo così tempestivamente. Esso è infatti stato ideato privilegiando il pubblico televisivo collegato la sera di sant’Ambrogio, il quale da casa poteva vedere cose che in sala o erano inafferrabili o mancavano del tutto: chi il 7 dicembre 2021 era in teatro dovette farsi spiegare, per capire, parecchie cose da chi era rimasto in pantofole. Nulla è ora cambiato, mentre è nel frattempo decaduta ogni giustificazione. Rimangono al loro posto anche scelte che sono in verità errori belli e buoni, e minano la coerenza del discorso musicale: la lettera letta non dalla Lady – per esempio – bensì da una voce virile fuori campo, o il monologo del protagonista morente, del 1847, inserito a forza nella partitura del 1865, che è tutt’altra cosa per fisionomia e drammaturgia. Dalla direzione carismatica di Chailly si passa ora alla routine di Giampaolo Bisanti. Protagonista è Luca Salsi, l’attuale Macbeth ottimo e massimo, che però da Riccardo Muti, Myung-Whun Chung e Chailly stesso ha ricevuto, altre volte, stimoli ben altrimenti qualificati. Ekaterina Semenchuk si fa scudo con le solite, pluriequivocate parole del compositore intorno alla fosca vocalità ideale della Lady: dunque canta senza nemmeno mascherare le difficoltà che la parte le pone. Di cattivo gusto, infine, affiancare un Macduff di lusso, Fabio Sartori, a un Banco – il pur sostanzioso Park già ascoltato in Rusalka – che non può pareggiarne l’idiomatismo verdiano (o anche solo italiano). Sicché eroe della serata risulta essere il superbo coro scaligero, e per trovarne altri due va atteso, con le prime repliche, l’arrivo della primadonna Anna Netrebko e del baritono Amartuvshin Enkhbat.


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