L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Lo Chopin di Lisiecki

 di Stefano Ceccarelli

Applauditissimo il recital di Jan Lisiecki all’Accademia Nazionale di Santa Cecilia. Il programma è monografico su Fryderyk Chopin, di cui si esegue l’integrale degli Studi op. 10 inframmezzati da un’antologia di Notturni.

ROMA, 13 marzo 2023 – Un recital di Jan Lisiecki rimane sempre nel cuore, non tanto – e non solo – per la cristallina bravura del pianista, ma anche per il fascino interpretativo che Lisiecki sa donare ad ogni pezzo. Quando il pubblico dell’Accademia ebbe il piacere di scoprirne il talento, nel 2014, Jan era appena diciannovenne; poi, il talentuoso pianista tornò nel 2017 (leggi la recensione), quando era già consacrato a livello internazionale. Si può dire che ci sia un palese fil rouge che lega tutti i programmi presentati da Lisiecki in Accademia: Chopin. E proprio come nel 2014, oggi l’interprete torna con un programma interamente chopiniano. L’idea strutturale del recital di Lisiecki consiste nell’ eseguire l’intera raccolta degli Studiop. 10 inframmezzati da un’antologia dei Notturni più celebri. L’effetto è, innanzitutto, quello di donare all’ascoltatore/spettatore accostamenti inusuali e personali, facendolo entrare in un mondo che scardina la sensazione di ascoltare qualcosa di molto noto nella maniera in cui lo si è sempre fruito. Insomma, Lisiecki toglie l’ascoltatore dalla seduzione della mera riproduzione di un ottimo CD (ascoltare tutti gli Studi op. 10 uno di seguito all’altro) e gli dona l’emozione di accostamenti paratattici inconsueti. Lisiecki è senza dubbio uno dei massimi interpreti di Chopin oggi in attività e, probabilmente, uno dei più originali di sempre. Sarebbe, forse, ozioso ripetere di quanta sopraffina sensibilità è dotato, o della magistrale sgranatura del suono, del respiro delle frasi, dell’uso disinvolto della pedaliera. In sintesi, della sprezzatura con cui si accosta allo spartito, della naturalezza con cui legge ogni nota. Tutto questo è bene ricordarlo per notare, invece, le letture più personali che Lisiecki fa di ogni pezzo; il tutto in un equilibrio fra l’abbandono lirico del notturno ed il virtuosismo dello studio.

Nel primo tempo, Lisiecki esegue gli Studi op. 10 nn. 1-5 assieme ai Notturni in do minore op. postuma, op. 62 n. 2, op. 27 nn. 1-2, op. 9 n. 2 e op. 48 n. 1. L’interpretazione è del massimo interesse: Lisiecki ha una visione agogica disinvolta, accelerando e rallentando con facilità estrema, ma soprattutto proponendo le difficoltà tecniche degli studi con naturalezza impressionante. E impressionante, appunto, è la velocità e la tersa pulizia degli arpeggi dello Studio op. 10 n. 1; o, ancora, la scala cromatica del n. 2, che Lisiecki rende con un piglio quasi sornione, liquido e guardingo; ma anche i passaggi più impervi del n. 4, di lisztiano virtuosismo. Più in linea con l’espressività notturna è il n. 3, dove l’interprete esalta i colori tenui e flessuosi, come pure il n. 6, gentilmente malinconico, sentimento che l’interprete carezza con la consueta dolcezza. Incantevole, per il gioco zampillante, il n. 5, dove il suono del pianoforte appare di un cristallino seducente. Alternati con gli studi ecco che abbiamo il tenue Notturno in do minore op. postuma; l’op. 62 n. 2, dal vago gusto biedermeier; l’op. 27, n. 1, una malinconica barcarola, eseguendo la quale Lisiecki sfuma, in particolare, l’accompagnamento della mano sinistra, rendendolo ancor più lagunare; formando idealmente un dittico, l’op. 27, n. 2, al contrario, accentua l’espressività lirica, dolceamara: qui Lisiecki si abbandona a una gamma di colori, sfumati da sottili rallentamenti/accelerazioni che ne sottolineano proprio l’allure romantica. Il primo tempo è concluso dai Notturni op. 9 n. 2 e op. 48, n. 1. Probabilmente il più celebre fra i notturni chopiniani, l’op. 9 n. 2 è letto con intenso abbandono, ma senza sforzo, senza eccessiva ricerca di effetti: Lisiecki lascia cantare quella che, a tutti gli effetti, è una romanza notturna, imperlando un trillo sopraffino prima della cadenza finale. Si conclude con l’op. 48 n. 1, intenso, pensoso, denso, atmosferico. Il pubblico scoppia in un fragoroso applauso: Lisiecki è chiamato più volte sul palco, poi con fare disinvolto fa cenno che vi sarà un secondo tempo, che, insomma, il concerto non è ancora finito.

Nel secondo tempo l’interprete esegue gli Studi op. 10 nn. 7-12, alternati con i Notturni op. 15 n. 1, 3, op. 9 n. 1, op. 23 n. 2 e in do diesis minore op. postuma. Per creare maggior variatio, si inizia con il Notturno in sol minore op. 15 n. 3, una sorta di mazurka che si galvanizza e deterge in un momento di intimo raccoglimento nella parte centrale. Marcatissimo il contrasto con lo Studio op. 10 n. 7, in cui Lisiecki si diverte ad accelerare i vari passaggi. Si torna ai Notturni con l’op. 15 n. 1, di cui Lisiecki interpreta la melliflua dolcezza, come pure la più intensa drammaticità della parte centrale. Spedita, graffiante la velocità dello Studio op. 10 n. 8, dove ancora si nota l’energia propulsiva delle frustate degli accordi; il n. 9, invece, di intensa drammaticità, è letto da Lisiecki come un preludio al notturno seguente, l’op. 9 n. 1 (il n. 2 è stato eseguito nel primo tempo), molto lirico, il cui pregio più sorprendente è la velocità e sgranatura dei passaggi cromatici, fra le migliori caratteristiche tecniche dell’interprete. Dall’incanto di una notte seducente si è destati dalla speditezza gagliarda dello Studio op. 10 n. 10, da Lisiecki presentato con una certa fresca gioia. Si giunge al penultimo dei Notturni in programma, l’op. 23 n. 2, che un po’ risente della gioia del precedente studio, prestandosi ad una lettura brillante, in cui Lisiecki gioca ancora con i colori della linea melodica. Lo Studio op. 10 n. 11 brilla di una sfavillante velocità: Lisiecki si lascia andare a perlacei passaggi, velocissimi, di accordi, quasi delle eteree frustate. Eccoci arrivati all’ultimo Notturno, do diesis minore op. postuma, anch’esso celebre, che il pianista spagina con una particolare cura, nel trascolorare delle tonalità, nei malinconici trilli, nell’intensità inquieta della scrittura. Il concerto si chiude gloriosamente con lo Studio op. 10 n. 12, noto come “La caduta di Varsavia”, banco di prova del virtuosismo di ogni interprete: vertiginose le scale, fortissima la drammaticità, acuita dagli inesorabili accordi. Il pubblico è in piedi per un’ovazione interminabile, rotta dal bis del Notturno in si maggiore op. 16 n. 4 di Paderewski e, poi, ripresa fino all’uscita del magnifico talento.


 

 

 
 
 

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