Arsenii Moon, o dell'introspezione
Busoni e Mozart, Chopin e Rachmaninov, Musorgskij e Liszt mettono in luce la maturità d'interprete di Arsenii Moon, vincitore nel 2023 del concorso Busoni.
VERONA, 21 ottobre 2024 - Può essere che più di un ascoltatore si rechi ai concerti di Arsenii Moon con l’idea di assistere a una serata di fuochi d’artificio virtuosistici, da parte di un pianista nemmeno ventiquattrenne fresco vincitore del Busoni (2023, primo premio assoluto, ancora con la grafia Mun del cognome): così spesso ci si aspetta infatti da giovani “macchine da concorso”, tecnica eccelsa ma, come suol dirsi, poca maturità espressiva. Ci ha fatto piacere invece notare l’esatto contrario, ascoltando il recital di lunedì sera organizzato dagli Amici della Musica al Ristori di Verona, e anzi verrebbe quasi da pensare a un interprete giunto al pieno meriggio della propria arte, alieno da ogni istrionismo, da ogni ostentazione, da ogni esteriorità; e invece massimamente concentrato sulla musica, su senso, modello e messaggio che Busoni e Mozart, Chopin e Rachmaninov e Musorgskij incarnano nei loro lavori, assai differenti per qualità intrinseca, per collocazione storica e architettura d’impianto. L’impaginato proposto da Moon è certo impegnativo, inanellando dei compositori citati, in ordine, Fantasia secondo Johann Sebastian Bach; Sonata 12, KV 332; Andante spianato e grande polacca brillante; Étude-tableau, op. 39 n. 2, per finire con i Quadri di un’esposizione (più due fuori programma, di cui diremo). Tratto comune delle esecuzioni, come si accennava, l’estremo raccoglimento intellettuale del giovane pianista, risolto soprattutto nella gamma dinamica mai forzata negli estremi, alla ricerca di un sermo cotidianus che delle soluzioni stilistiche assai diverse dei cinque autori colga la logica del decorso narrativo/drammatico, la mano sinistra a scavare letteralmente le profondità del basso per portare alla luce linee secondarie (Busoni), sovrapposizioni tematiche (Chopin, Rachmaninov), incisi ritmicamente contrastivi (Mozart: la resa delle sincopi del KV 332 è stata addirittura spiazzante, quanto a intensità di presenza cinetica e costruttiva), infine i mille dettagli della suprema architettura di giustapposizione di Musorgskij, di cui memorabile è stato soprattutto il rendere l’ostinato del Bydlo assai più che uno sfondo neutro, ma esso stesso un crescente, disperatissimo lamento eterno dell’umanità dannata al lavoro massacrante e ingiusto, l’affondo della mano sinistra che è arrivato quasi a sopraffare l’ispirata melodia tragica della voce principale. Si potrebbe dire che in Moon il gesto elegiaco sia il motore primo dell’interpretazione, in una poesia esecutiva di sofferto lirismo, che trova sempre la trasparenza sonora onde trarne gesti assorti, ripiegamenti pensosi, la tastiera a cantare sempre ma come sottovoce, perché la purezza del tracciato resti immacolata. Ne sono nati grandi momenti, come detto, ma anche taluni dettagli discutibili: nell’Op. 22 di Chopin, ad esempio, se l’Andante è stato ricchissimo di pathos, non altrettanto si può dire dell’epica a tutto tondo della Polacca subito successiva, talora eccessivamente timida; se assolutamente perfetto è stato il funebre lamento a cantilena del Rachmaninov (momento più alto del concerto), nei Quadri – attaccati da Moon senza soluzione di continuità con l’Étude-tableau – non sempre il rapporto tra ductus e spessore sonoro ci è parso ideale (nelle varie riprese della Promenade, soprattutto, e nelle Catacumbae); in Mozart, a fronte di una complessione realizzata con una stima dei microintervalli ritmici perfetta (con un effetto alternato di accumulo e rilascio di tensione rimarchevole), lo stile brillante e ornato non ha forse ricevuto lo smalto scintillante che altri esecutori sanno ottenere. Ma il tutto è in fondo coerente con lo spirito meditativo di questo giovane artista, il cui ricercato lirismo ci è parso cifra personale ben ponderata, e altrettanto ben realizzata. Riprova ne sono stati i due bis: la miracolosa Mazurka, op. 17 n. 4 di Chopin, con la sua «meraviglia di immaginazione poetica», a dirla con Alfred Cortot, resa con un taglio melanconico e sentimentale toccante, il mélos allargato nell’agogica, il legato condotto con musicalità infallibile; nonché La campanella di Liszt, in cui in primo piano – ancora – il pianista ha inteso collocare il canto discendente del tema paganiniano, e non già i virtuosismi diabolici sul registro acuto, i trilli e i fulminanti salti di ottava, pur tutti eseguiti con impeccabile precisione. Arsenii Moon, o Dell’introspezione, si potrebbe titolare il pianismo del giovane russo: sarà interessantissimo seguirne l’evoluzione nei prossimi anni.
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