La parabola di Mosé
Convince il debutto della nuova produzione emiliana del Mosé in Egitto, capolavoro di troppo rara rappresentazione. Michele Pertusi veste con la consueta arte i panni del profeta.
MODENA, 20 ottobre 2024 - Non vizia con le sue apparizioni nei teatri lirici Mosè in Egitto, una delle più importanti opere serie del Pesarese, conosciuto in anagrafe come Gioachino Rossini. La memoria, sforzandosi nel tentativo di ricordare un allestimento importante e interessante, inevitabilmente porta a Pesaro. Rimane indelebile la memoria dell’allestimento del compianto regista inglese Graham Vick che risale al 2011: chi lo vide non scorderà mai il coraggioso trasferimento temporale dai tempi biblici ai nostri giorni; lo spettacolo ideato per il palcoscenico dell’Adriatic Arena non raccontava solo dello scontro mortale tra il capo degli ebrei Mosè e il Faraone, ma del conflitto fra un regime globalista e un fondamentalismo.
Non solo l’attualizzazione della messa in scena rimase indimenticabile, ma anche la scenografia firmata da Stuart Nunn, che rappresentava una lussuosa residenza un po’ kitsch da qualche parte in Medio Oriente, con scale di marmo, lampadari di cristallo e una quantità esagerata di tappeti e palme. Questa residenza, però, non aveva evitato i danni per via dei bombardamenti, nei muri solidi si poteva intravedere le anime metalliche deformate, un’allusione ai corpi umani dilaniati dalle esplosioni. Per volontà di Vick, Mosè somigliava assai a Bin Laden e non mollava la mitra nemmeno nel momento della celebre preghiera; il suo Dio era decisamente senza pietà, come del resto recita il libretto (“Dio così stermina i suoi nemici […] è questo un segno del suo rigor”). Graham Vick mise a disposizione di questo Mosé bombe, kalashnikov, gas nervino, kamikaze, mostrò prigionieri umiliati al guinzaglio e fece morire il figlio del Faraone sotto il crollo del lussuoso lampadario di cristallo. A distanza di parecchi anni ormai, la messa in scena del grande maestro inglese vive nella memoria di chi ebbe fortuna di vederla e potrebbe condizionare le scelte dei registi odierni; è decisamente più cauto e sicuro attenersi alla tradizione. È il caso della messa in scena modenese affidata a Pier Francesco Maestrini; ne viene fuori lo spettacolo ben funzionante e coinvolgente.
La via scelta dal bravo regista Maestrini – si ricorda con piacere la sua messa in scena del Barbiere di Siviglia al Teatro Filarmonico di Verona qualche anno fa - è quella di una solida tradizione, ma se qualcuno pensa di associare questa caratteristica a noia e banalità, si sbaglia di grosso. Nel caso del Mosè in Egitto al Teatro Comunale di Modena significa cura per il testo e lavoro intelligente con cantanti attori in una bella cornice disegnata da Nicholas Boni e realizzata dal Laboratorio di scenografia del teatro emiliano, sufficientemente realistica, ma di certo non priva di fantasia: le acque del Mar Rosso che si dividono nel finale per aprire il passaggio per gli ebrei producono un gran bell’effetto. I costumi sobri sono firmati da Stefania Scaraggi e le suggestive luci da Bruno Ciulli. La nobile sobrietà dell'allestimento evita sorrisi ironici o sospetti di noia.
Il pubblico, numeroso e d’età per lo più matura, solito a riempire la bella sala del Pavarotti Freni di domenica, si sente rassicurato, rapito dalla bellezza sublime della partitura rossiniana e alla fine premia tutti con applausi più che calorosi e acclamazioni a non finire.
Sarebbe stato impossibile sottovalutare il cast capitanato dal rinomato basso parmigiano Michele Pertusi nel ruolo del titolo, interprete rossiniano per eccellenza. Seguendolo per molti anni da un teatro all’altro in giro per Italia, non si può non notare che la voce che non ha lo smalto e il fascino di una volta: tuttavia, l’arte sublime di Pertusi scaccia immediatamente questa percezione. Il basso non ha rivali in quel che riguarda l’arte di stare in scena, la nobiltà delle movenze, la capacità di disegnare personaggi di grandissimo valore umano: è un Mosè davvero perfetto e lo rimarrà per sempre nelle cronache. Detto questo, quando intona “Dal tuo stellato soglio”, la voce sembra ritrovare lo splendore degli anni migliori e il pubblico va letteralmente in delirio.
Non è possibile, certo, lamentarsi del resto del cast che, al di là delle qualità vocali e interpretative, sembra stare sulla stessa onda del grande Pertusi: coinvolto, ispirato, animato. Incisivo Andrea Pellegrini nel ruolo del Faraone, dal portamento regale e sprezzante e dalla voce ampia e vellutata; coinvolgente Dave Monaco nel complicato e tecnicamente audace ruolo tenorile di Osiride, aiutato da una voce di bel colore e dotato di acuti facili; deliziosa Aida Pascu – un’Elcia forte, dolce e vibrante che affascina grazie al canto morbido corredato da una solida tecnica di coloratura; si distingue particolarmente come un’ottima belcantista Miriam Battistelli nella parte di Amaltea e l’aria “La pace mia smarrita” le vale un autentico trionfo. All’esecuzione modenese non si potrebbe applicare il concetto di comprimario(a), poiché non soltanto gli interpreti dei ruoli principali, ma anche gli artisti impegnati nelle parti di Amenofi (Angela Schisano), Aronne (Matteo Mezzaro) e Mambre (Andrea Galli) sono preparatissimi e sanno stare bene in scena: chiamarli “comprimari” sarebbe stata quasi un’offesa. “I magnifici tre” tirano fuori personalità e voci importanti facendosi applaudire con ardore all’uscita finale.
Il Coro lirico di Modena preparato da Giovanni Farina giustamente si ritaglia un grande spazio nella produzione e si distingue per la sintonia delle sezioni e per il suono ricercato. Giovanni Di Stefano conduce con la mano ferma l’Orchestra Filarmonica Italiana: nessun gruppo di strumenti passa inosservato, mentre i fiati rivendicano in questo tripudio un posto importante. Alla fine, un successo grandissimo e numerose esclamazioni “bravi!”: tutto pienamente meritato.
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