L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

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Oralità e vocalità

La vita è interrelazione: la società si fonda sull’interscambio ed è costituita da individui che condividono il proprio vissuto per arricchire se stessi e gli altri. Possiamo preservare e trasmettere il nostro sapere attraverso la scrittura, tuttavia è innegabile che una discussione sia il mezzo privilegiato per dissipare eventuali dubbi e interagire in maniera estremamente efficace. Le creature comunicano tra loro attraverso un determinato codice, comprensibile ai propri simili, cioè un particolare linguaggio, verbale e corporeo. Certamente i gesti rendono più incisiva un’orazione, ma la voce che anima il discorso è l’elemento che consente di raggiungere con assoluta certezza il nostro interlocutore. Esistono innumerevoli linguaggi di natura orale e la voce è ciò che li accomuna: seppur caratterizzati da idiomi differenti, esiste un innegabile carattere nelle voci umane che le rende suoni universali. Fra voce pura e linguaggio, cioè, per dirla coi filologi Corrado Bologna (Torino, 26 novembre 1950) e Paul Zumthor (Ginevra, 5 agosto 1915 – Montréal, 1 novembre 1995), fra vocalità e oralità, intercorre una sostanziale differenza: la prima raduna le caratteristiche che rendono unica una voce, mentre la seconda è legata alla sfera del mero linguaggio. L’oralità dipende dal buon funzionamento degli organi a essa deputati ed è sinonimo di razionalità, prerogativa umana, mentre la vocalità presenta più sfumature: il timbro, qualità precipua delle voci, riassume in sé la grandezza (come ogni altro suono, la voce ha una particolare intensità o volume, che è ciò che distingue un’emissione debole e fievole da una più robusta e udibile) e lo squillo della voce e, in ambito musicale, anche la formante degli armonici, cioè le sfaccettature che arricchiscono i suoni. Sempre musicalmente parlando, può designare il calibro o peso della voce, ossia leggero, lirico, ecc., o meglio contenere anche codesto carattere. È ciò che ci consente di distinguere, ad esempio, il suono di uno strumento musicale dalla voce umana; è, in generale, come un’impronta digitale: è il carattere uditivo dell’emissione e il colore ne è una sfumatura. Ogni voce è suono, ma non tutti i suoni sono voci: la vocalità, sonorità pura, è comunque intrinsecamente significante non solo in quanto specchio dell’interiorità e, come l’oralità, della salute psicofisica, ma anche perché le sopracitate peculiarità delle voci concorrono a suscitare emozioni (una voce chiara e squillante è generalmente accostata alla solarità, al contrario un timbro scuro trasmette cupezza); i colori, proprio come i pigmenti di una tavolozza, sono ciò che maggiormente trasmette nelle menti dell’ascoltatore immagini e analogie cui l’ascoltatore dà una valenza estetica personale, più o meno influenzata dal gusto comune. Per chiarire ulteriormente questo concetto, citiamo l’esempio della tosse, di ascendenza aristotelica, portato dal filosofo Giovanni Camillo Maffei da Solofra, musico, filosofo e medico galenico attivo nel XVI secolo, nella sua opera epistolare Discorsi filosofici del Signor Gio. Camillo Maffei da Solofra, libri due, dove tra gli altri bellissimi pensieri di filosofia, e di medicina, v’è un discorso sulla voce e del modo d’apparare di cantar di garganta, senza maestro: egli dichiara che

[la tosse] fandosi senza imagginatione di significare, quantunque vi concorra la motiva del petto, non può né da medici, né da filosofi chiamarsi voce

per rendere lampante l’imprescindibilità del contenuto e il fatto che l’emissione vocale è un atto volontario, inoltre ogni voce ha un’identità ben precisa, che la rende unica e irripetibile.


 

 

 
 
 

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