L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

maria callas

La ricerca dell'icona

 di Gina Guandalini

In occasione della ripresa della pièce di McNally con la regia di Stefania Bonfadelli a Santa Cecilia, per il quarantennale della scomparsa della Divina, una riflessione intorno all'interpretazione teatrale della figura di Maria Callas.

“I grandi cantanti possiedono un talento; ma nel caso della Callas, era lei ad essere posseduta dal suo talento”. Questa felice intuizione, detta da Stefania Bonfadelli, adattatrice e regista della celebre pièce di Terrence McNally Master Class , alla protagonista, Mascia Musy, deve avere colpito l’immaginazione di questa attrice. La messa in scena è stata presentata a Roma al Parco della Musica il 16, 17 e 18 settembre, appunto nel quarantennale della morte della Divina e costituiva la prima ripresa italiana dopo le recite di Rossella Falk di vent’anni fa.

Nei paesi di lingua inglese è arduo ormai compilare una cronologia delle rappresentazioni: questa commedia, o musical, che dir si voglia, è entrata nel grande repertorio e non passa stagione che non se ne allestisca qualche rappresentazione da qualche parte, per l’entusiasmo di tante attrici non più giovanissime, che trovano nel personaggio della Divina pane per i loro denti. L’impianto di base di Master Class , qualunque cosa si pensi del suo testo, è strepitosamente originale: una mattatrice di forte temperamento e dalla vita privata tempestosa incoraggia due giovani soprani e un tenore a perfezionarsi e a “venire fuori” e si sfoga in lunghi monologhi; la colonna sonora sono loro a fornirla, alternandosi a registrazioni della Grande Voce.

La prima interprete della Callas nel testo di MacNally è stata Zoe Caldwell, australiana, grande attrice di prosa, primadonna in tanti testi classici tra cui Medea e Lady Macbeth prima di esordire nella pièce. Le 598 repliche tra il ’96 e il ’97, con la regia di Leonard Foglia, ne fanno tuttora la Callas di riferimento nella storia del teatro contemporaneo americano.

Terrence McNally, classe 1939, figlio di teatrofili appassionati, cresce nel culto della prosa e dell’opera. A ventitrè anni è il compagno del già affermato autore Edward Albee, e gli viene affidata la stesura in inglese di quella Lady of the Camellias che Zeffirelli mette in scena a Broadway nel 1963. Protagonista non del tutto azzeccata è Susan Strasberg; ma lo spettacolo fa fiasco soprattutto a causa del turpiloquio dei dialoghi, che lascia tutti senza fiato ( sa che cosa dire invece il grande John Gielgud, , che si trova a New York in quel periodo, e descrive con spirito, in una lettera inedita, i problemi del casting e le parolacce del copione).

Forse è proprio qui il nodo della questione: anche Master Class, che ha visto la luce nel marzo 1995 a Filadelfia per poi arrivare alla vera prima a Broadway sette mesi dopo, presenta una diva spesso concentrata, nei monologhi con cui segue e non segue le esibizioni dei suoi allievi, del lato sessuale della propria vita. Da buon post-freudiano, MacNally non sa prescindere dalla sessualità – esplicitata, aggressiva e spesso ossessiva – dei suoi personaggi, e una donna intensamente privata e ritrosa come la Callas non ritrova in Master Class, a giudizio di chi scrive, la sua giusta immagine(È accaduto anche con Farinelli nel bruttissimo film del ’94).

La Caldwell, feroce, solenne, di scarso humour, ha lasciato l’impressione che il ruolo sarebbe morto con lei. Ma non è stato così. Nelle repliche in USA e a Londra ha trionfato, subito dopo, la più giovane Patti LuPone, che tra l’altro è eccellente vocalist (sua madre, che faceva Patti di cognome, sembra discendesse dalla grande Adelina).

Un massacrante tour statunitense del ’96-’97 ha visto il vibrante successo di una star di Hollywood, Faye Dunaway. Che alle prove rendeva la Divina troppo dolce e accondiscendente: “Terrence [McNally] insisteva perché la facessi più dura; [la Callas] ha i suoi standard, che vanno mantenuti. L’idea è che gli allievi trovano una insegnante che gli accende il fuoco sotto i piedi, di questo parla la commedia”, ha ricordato la Dunaway.

Quasi contemporaneamente, da noi Rossella Falk traduceva il testo e lo portava in giro con grinta. È stata un’icona callasiana soprattutto nell’aspetto fisico. Io l’ho vista e l’ho intervistata: ha parlato di una profonda amicizia con Maria (di cui i biografi e i collezionisti di materiale fotografico non hanno prove certe) e della decisione di concludere la carriera con quella interpretazione. Non diceva la verità, per fortuna. E’ tornata sul “luogo del delitto” nel 2006 presentando il monologo Vissi d’arte, vissi d’amore da lei stessa elaborato.

In Francia l’interprete di riferimento è stata Fanny Ardant nel ’97, quattro anni prima di girare Callas for Ever con Zeffirelli. Una Divina giovane, bella e affascinante, nella regia discreta e minimalista di Roman Polanski. Nel 2004, negli Stati Uniti, è toccato alla portoricana Rita Moreno (Premio Oscar per il ruolo di Anita in West Side Story, nel ’61). Nota per le sue love stories con Marlon Brando, Elvis Presley e Dennis Hopper, in Italia lo è meno per la sua intensa attività teatrale. La chioma grigio argento che ha presentato in Master Class ha alleggerito il cliché della “bruna mediterranea” che tutti si aspettavano da lei.

Quattro anni dopo, a Parigi, la pièce è stata rifatta dall’autore Gilles Stickel e inscenata da Didier Long per farne un one woman show, issando la Divina su una passerella e mettendo gli studenti, in basso e ai lati, a fare da coro greco.La Divina questa volta era Marie Laforêt. Negli anni ’60 era stata cantante pop con il soprannome “la ragazza dagli occhi d’oro”. Nell’occasione ha ricordato i suoi due incontri con la Callas: in Norma all’Opéra nel ’65, quando un pubblico frivolo e snob non smetteva di sussurrare “Ha perso la voce, ha voluto dimagrire troppo”. Poi nel ’76, di persona, casualmente, a una cena: la Callas, in tailleur Chanel, era “coraggiosa come un toro che sanguina” e parlava “con voce addolcita dai sedativi”; non mangiò quasi nulla e disse “Sai, lavoro ancora tutti i giorni”. Un ricordo triste.

Nel 2010 a rappresentare Maria Callas a Londra è stata l’inglese Stephanie Beacham, molto nota in patria per l’intensa attività televisiva. E’ curioso notare che è parzialmente sorda, ma la sua somiglianza fisica con la Callas è sempre stata notevole e la ricordo come molto efficace. Le ultime interpreti di lingua inglese di grande livello sono state l’americana Tyne Daly negli USA e l’australiana Maria Mercedes, di origini greche, nella sua patria.In Brasile ha offerto un Callas passionale e coinvolta la celebrità nazionale Christiane Torloni; da noi la si ricorda giovanissima in alcune telenovelas brasiliane negli anni ’80..

Prima di Master Class, MacNally aveva già provveduto ad agitare la fiaccola del mito Callas, contribuendo a farne l’icona gay più flamboyante dei nostri tempi, con La traviata di Lisbona del 1989 (ma una prima stesura era dell’85). Là vediamo i suoi fans; in Master Class entriamo nella mente della Divina. Mascia Musy ha saputo creare un’artista femminile e signorile, ferreamente devota alla sua arte, mai sadica nei confronti degli allievi. La Bonfadelli – alla quale la Falk nel ‘96 chiese di interpretare il soprano che presenta La Sonnambula, ma la partecipazione non si concretò perché Stefania non avrebbe potuto seguire la lunga tournèe – è passata dalla carriera di soprano – una carriera che incluso Amina, Lucia e la Violetta con Zeffirelli – all’attività di regista con felicità di risultati. Credo sia la prima volta che una cantante lirica mette in scena un testo di prosa. Prima ancora, ha apportato al testo, che è sempre quello della Falk, intelligenti ritocchi. Ha eliminato cattiverie nei confronti delle colleghe e qualche momento di soft-porn, cose ben per nulla in sintonia con quanto la Callas lasciava conoscere della propria persona.

Tre recite, tre Sold Out. E’ prevista la ripresa a dicembre, in un teatro del centro di Roma.


 

 

 
 
 

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