L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

La fiaba e il rito

 di Andrea R. G. Pedrotti

Dittico di danza dedicato a Stravinskij con le coreografie di Renato Zanella e il corpo di ballo dell'Arena, nella cornice suggestiva nel Teatro Romano.

VERONA, 14 agosto 2015 - Verona saluta ancora una volta il suo corpo di ballo, con una foltissima presenza, all'interno del Teatro Romano, gioiello di architettura classica ingiustamente dimenticato, sito nei pressi del più noto Ponte Pietra.

Riteniamo sarebbe stato più proficuo celebrare il “Gala di Mezza Estate”, interamente dedicato a Igor Stravinskij, in una serata che non vedesse la contemporanea rappresentazione di un'opera nella vicina, e più celebrata, Arena. Certo, Tosca è dramma che non necessita d'un corpo di ballo, ma sarebbe stato utile dare maggior risalto all'evento. Per la Fondazione Arena, notiamo comunque con piacere la presenza del sovrintendente Francesco Girondini.

A causa d'un violento temporale estivo le danze si sono aperte con circa mezz'ora di ritardo. Il palco era coperto, ma, com'è logico, non è possibile per dei ballerini esibirsi su una superficie che sia anche solo umida, a rischio della loro incolumità.

La scena di entrambi i balletti aveva il medesimo impianto, tanto essenziale, quanto funzionale.

Una monocromia grigio scura, con uno schermo centrale, dagli scopi molteplici. Molteplici, come il multiforme ingegno di Odisseo, e, oggi, l'acume di Renato Zanella - direttore del corpo di ballo della Fondazione Arena -, che, infatti, firmava coreografia, scene, costumi e luci dell'evento, dimostrandosi autentico Factotum del teatro, come già fece in occasione del dittico El amor brujo-Cavalleria Rusticana, andato in scena al Teatro Filarmonico, lo scorso marzo [leggi la recensione].

Come sempre nelle coreografie di Zanella, grande importanza viene data al flusso narrativo: partendo da una solida e disciplinata tecnica, si seguono con partecipazione le emozioni che scaturiscono dalla scrittura musicale, accompagnando, con continua eleganza, ogni evoluzione del pentagramma, senza che nulla venga lasciato al caso. Viene sfruttata l'intera corporeità dei ballerini, discostandosi dalla mera esibizione, con un assieme di grandissimo effetto e fluidità, nel più piccolo dei movimenti.

Il primo dei due balletti eseguiti è stato L'uccello di fuoco (L'Oiseau de feu), ovviamente di Igor Stravinskij. La trama viene rispettata alla perfezione già dal primo apparire del vagamente mefistofelico Kascej nella cupa foresta incantata, figurata da proiezioni sullo sfondo e trasparenze. Il tutto ci porta nel fitto mistero, che permea lo splendido repertorio delle fiabe russe. Bravo quanto espressivo Pietro Occhio, mago incappucciato, maligno, insinuante e dalla figura extracorporea. Principessa prigioniera (d'altra parte siamo in una fiaba) è la brava Scilla Cattafesta, in passionale attesa dell'amato principe Ivan (Antonio Russo), cinto in un lungo abito bianco. Protagonista la bravissima Alessia Gelmetti: fasciata in un classico tutù rosso, è un uccello di fuoco di altissima comunicativa e morbida eleganza. Eleganza e sensualità sono cifra caratteristica delle coreografie di Zanella, in cui maschile e femminile sono simboli di divergenti caratteristiche dell'animo; più istintivo e, spesso, meno profondo nell'uomo, e pervaso di soavità e passione razionale, quanto irrazionale, nella donna.

Veramente bellissimi i momenti solistici della Gelmetti, che, dopo aver offerto la soluzione per la liberazione della principessa, torna nella sua gabbia. L'uccello di fuoco altro non è che visione antropomorfa dell'animale. Alla “bestia” viene attribuita un'anima, costretta nell'eterna prigionia, un'anima generosa e materna, quindi prettamente femminile. Una sensibilità riconosciuta non tanto all'animale, quanto a quello che venne definito “doppio mostruoso”, in contrasto con gli scientifici ragionamenti cartesiani, che nelle sue meditazioni meccanicistiche attribuì dolore e sensibilità solo al genere umano. L'uccello di fuoco, infatti, è mirabile sintesi fra antropomorfia e zoomorfia.

Seconda parte dedicata a una prima nazionale: La sagra della primavera (Le Sacre du printemps), sempre coreografata da Renato Zanella.

Qui ci allontaniamo dalla fiaba e giungiamo a Stakanov. Siamo sempre in Russia, ma la fiaba viene, quasi, completamente abbandonata. Quel quasi è motivato dal fatto che la concezione fiabesca degli intrecci narrativi vira verso l'ostentato, quanto falso, buonismo odierno solo in tempi recenti, per effetto d'una strana convenzione di divieti, che fanno supporre che tali tematiche non siano conformi all'animo d'un infante. Molti giovani hanno maturato le proprie esperienze di vita con favole che trattassero di matrigne decapitate a tradimento (Cenerentola in versioni meno note), o vecchie bruciate vive secondo l'antico rito dell'incenerimento della fattucchiera, come in Hansel e Gretel. Anche il macabro rituale di una danza condotta fino allo strenuo della morte ci ricorda una storia della fanciullezza: la strega di Biancaneve venne punita delle sue malefatte, costretta a ballare sino al decesso, indossando -oltretutto- calzature incandescenti. È l'antichissima legge del contrappasso, che diviene sabba di martirio crudele, immago del decadimento della contemporaneità di Stravinsky. Questa, in forme differenti, si ripercuote nell'attuale appiattimento culturale, che investe, senza distinzione, tanto le scienze, quanto le arti.

Le Sacre du printemps è rituale a tutti gli effetti, con i prescelti al sacrificio e i saggi che, attorno a loro, danno vita all'infernale ridda di macabra possessione.

Zanella non poteva farsi sfuggire una tale occasione di ricchezza di significati. Il balletto appare come arguta mescolanza di classicità e modernità, con passi studiati accuratamente. Tutto segue la trama e l'ordito musicale: fuoco della vicenda sono la straordinaria, nonché passionale, Teresa Strisciulli e il suo compagno Evghenij Kurtsev. La danza rituale vede costumi moderni, probabilmente inquadrabili nella fine del XX secolo: rituale pagano attuale, con la possibile perdizione dei due giovani, schiacciati dalla contemporaneità. Contemporaneità continua e non individuabile in un momento preciso, facendo di se stessa un lungo filo conduttore di atti sincronici. L'apparizione di un grande triangolo sul fondo (quasi un simbolo divino), il lancio della terra (gli elementi), fusi nell'estetica di sapienti effetti luminosi, rendono Le Sacre du printemps rituale partecipato, in comunione con i cinque sensi, sino a giungere all'animo dello spettatore. La Strisciulli soffre, salta con vigore e rallenta, in armonia con la scrittura musicale, i suoi movimenti, fino allo stremo e alla sua fine. Fine che non può avere un'esplosione sonora: il sabba è finito, il sacrificio umano s'è compiuto. Non è la liberazione di una principessa, ma un semplice macabro epilogo silenzioso.

Ricordiamo anche gli interpreti dei saggi: Luca Panella, Annalisa Bardo, Manuel Barzon, Scilla Cattafesta, Luca Condello e Federica Cristofaro.

Molto ci sarebbe da dire sulla scrittura musicale di Stravinskij, nella sua struttura e nei suoi significati semantici, ma il fatto che il sonoro fosse registrato ci priva di questa possibilità, che apparirebbe, in tali condizioni, assai stucchevole. Questa è una mancanza che non si può imputare alla responsabilità di alcuno, poiché il Teatro Romano di Verona non ha uno spazio sufficientemente ampio da ospitare un'orchestra.

Al termine grande entusiasmo e applausi per tutti, con punte di entusiasmo e batter di piedi per Teresa Strisciulli.

Ci accodiamo al plauso del pubblico, con l'invito a continuare la danza, sicuramente meritoria del medesimo rispetto che andrebbe indirizzato al melodramma o al repertorio sinfonico.

foto Ennevi


 

 

 
 
 

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