L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

stabat mater

Preludio in sempiterna saecula

 di Roberta Pedrotti

Chiude il XVIII Rossini Opera Festival il tradizionale concerto videotrasmesso in Piazza del Popolo. Lo Stabat Mater è preceduto dal ricordo di Alberto Zedda con il Prélude religieux dalla Petite messe Solennelle da lui trascritto per orchestra.

PESARO 22 agosto 2017 - La chiusura del Rossini Opera Festival con un grande concerto trasmesso in diretta in Piazza del Popolo su maxischermo è, da qualche anno, una tradizione che spesso ha visto lo Stabat Mater al centro dei programmi, ancor più spesso Alberto Zedda sul podio. È inevitabile, allora, che a pochi mesi dalla scomparsa del maestro il sigillo del Rof si trasformi in un momento di particolare commozione. Non, però, di ripiegamento nella memoria, giacché, come ribadisce Giafranco Mariotti nel suo toccante intervento introduttivo, la musica non muore, ma continua a vivere nel momento in cui è interpretata: così, ci fa sentire ancora e sempre vicino il vulcanico umanista musicale la proposta in apertura di serata dell'orchestrazione del Prélude religieux dalla Petite Messe Solennelle realizzata dallo stesso Zedda ed eseguita per la prima volta proprio dieci anni fa, sotto la direzione di Umberto Benedetti Michelangeli con l'Orchestra Haydn di Bolzano e Trento.

In altra sede, su questa orchestrazione si potranno aprire e riaprire dibattiti filologici perché se da un lato Zedda poteva ben obiettare che questi otto minuti per organo solo fossero ben sbilanciati rispetto agli altri numeri e che la destinazione solistica potesse essere cosiderata provvisoria mancando al momento uno strumento in grado di esporre in tutta la sua estensione il tema della fuga, dall'altro i più recenti studi di Davide Daolmi hanno confermato che l'orchestrazione fosse nella concezione originaria della Petite Messe, ma per un ensemble di proporzioni ridotte, più cameristico che sinfonico, nel quale l'organo solo o concertante non avrebbe sfigurato affatto. Questo dibattito – in cui si può inserire la funzionalità pratica una volta invalso l'uso di eseguire la messa con complessi imponenti, nonchè la legittimità dell'uso antico di trascrizioni d'autore – però sfuma nell'occasione. In primo luogo, il Prélude come pezzo a sé funziona bene, quasi meglio, al di là di una conclusione poco assertiva che dovrebbe sfociare nel Sanctus successivo; in secodo luogo, il contesto, l'emozione della dedica, il senso di estremo tributo dell'amor rossiniano di Zedda rendono l'ascolto intimamente toccante. Un vero, dovuto omaggio, che l'Orchestra Rai diretta da Daniele Rustioni onora al meglio.

Al Preludio segue il cuore della serata, quello Stabat Mater che Zedda amava d'un amore particolare, che diresse spesso e sempre con un'energia trasfigurante. Rustioni, ben più a suo agio rispetto ai toni cangianti della commedia nella Pietra del paragone, non lo emula, ma segue una via composta e solenne, evita anche nel quartetto “Sancta Mater istud agas” quelle dolcezze e quelle luci che la melodia alletterebbe, ricercando piuttosto nelle arcate dei violini una tensione più dolorose, mentre la grande fuga dell'”Amen” finale è staccata con un tempo leggermente più rilassato, che mette maggiormente in evidenza il richiamo al classicismo e alla grande tradizione polifonica sacra.

Tutto si sostiene sulla prova egregia dell'Orchestra Rai, che in un'adeguata gamma di ombreggiature definisce il rigore del sacro e l'intimità del compianto. Parimenti di qualità è la prova del coro del Ventidio Basso preparato da Giovanni Farina, anche per l'accorata ed elegante partecipazione espressiva. Proprio per questo da parte del podio forse un pizzico di fantasia e mordente in più, rispetto a questa linea compassata, avrebbe potuto trovare terreno fertile e offrir maggiori soddisfazioni, conferendo anche maggior compattezza a un quartetto solistico non privo d'interesse.

Salome Jicia si conferma elemento di crescente interesse per il temperamento e la sensibilità stilistica, per la personalità spiccata nella musicalità e nel timbro, ammantato di singolari ed espressive bruniture, di sapori speziati ancora da scoprire. Un briciolo di tensione nell'"Inflammatus" è giustificato dall'asperità della scrittura, risolta comunque con sicurezza e bel piglio, facendo ben sperare per gli sviluppi futuri. Al suo fianco, il gradito ritorno di una voce ben nota a chi frequentava il Rof negli anni '90, quando muoveva i primi passi nella carriera prima di rivolgersi a Verdi e a ruoli più lirici: Enkelejda Shkoza ha arrotondato l'emissione, il timbro si è fatto più maturo, mentre il fraseggio ha sviluppato l'accorata estroversione che già le riconoscevamo senza perdere la misura della scuola belcantista, ma creando comunque un singolare contrasto con il carattere più asciutto del soprano.

Dmitry Korchak esibisce buono squillo, ma non replica la bella prova di Torvaldo e Dorliska, tornando viceversa sui vecchi vizi d'intonazione e su attacchi che talora tradiscono una certa spinta. Magnifica è, senza riserve, la natura vocale di Erwin Schrott, che incanta con la pienezza e la bellezza del timbro e spiccherebbe senza difficoltà con il suo strumento privilegiato: peccato solo che qualche impaccio nell'articolazione delle consonanti faccia sì che il suo latino, più che a Jacopone da Todi, faccia pensare al doppiaggio caricaturale degli schiavi di Rossella O'Hara.

Gli applausi finali, in piazza e in teatro, chiudono questa ricca edizione del Rof e ci danno appuntamento all'anno prossimo, quando a rappresentare il Rossini sacro sarà la Petite Messe Solennelle, ma, questa volta, nella prima stesura per pianoforti e harmonium, con il Prélude per sola tastiera, a rinnovare un'altra delle molteplici vite di questa pagina sublime.

foto Amati Bacciardi


 

 

 
 
 

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