L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Macbeth nel teatro di Muti

 di Francesco Lora

Cinquant’anni dall’esordio del direttore al Maggio Musicale, festeggiati a Firenze e Ravenna con il capolavoro verdiano. Una lettura viepiù asciugata e analitica, con la motivazione totale di orchestra, coro e cantanti: eccellente la coppia di protagonisti formata da Salsi e Yeo.

FIRENZE-RAVENNA, 13 e 15 luglio 2018 – L’ultimo mezzo secolo del Macbeth di Verdi è regolato dalla lettura di Riccardo Muti; anzi, dalle letture. Sua è l’esecuzione la più ricercata dai collezionisti di registrazioni storiche, quella con Leyla Gencer raccolta al Maggio Musicale Fiorentino del 1975. Sua – dell’anno dopo – è l’esecuzione la più virtuosistica mai consegnata al disco (per la EMI), con slanci di tempo ed escursioni dinamiche non osate da alcun altro. Sua è la più elettrizzante – e da lui elettrizzata – coppia di protagonisti riunita su un palcoscenico da molto tempo in qua: Renato Bruson e Renata Scotto, nel 1981 a Londra. Sua è la perentoria testimonianza degli anni durante i quali la Scala dettava al mondo lezioni di stile verdiano: nel 1997, ancora con Bruson, e nel 2001, con Leo Nucci. Suoi i più recenti approcci a Salisburgo, Roma e Chicago, tra il 2011 e il 2013, i quali documentano il passo intermedio verso l’ultimo Macbeth: quello eseguito in forma di concerto l’11 e 13 luglio scorsi al Maggio Musicale Fiorentino, per celebrare i cinquant’anni dallo storico esordio del massimo direttore italiano in quell’istituzione, poi ripreso il 15 luglio nel Pala De André come spettacolo d’eccellenza del Ravenna Festival.

Un Macbeth ancora una volta differente da sé stesso e in sé stesso: severamente indugiante sottotempo – figurarsi nel confronto con Muti medesimo – e fatto restio all’esibizione tecnica delle maestranze; nero, aspro e brullo nell’austera domanda di modi, colori e fraseggi; intento a una cruda verità testuale: lo spessore della tragedia respinge la perifrasi estetizzante; viepiù minuziosamente devoto alla parola, che anche nel sussurro balza in primo piano davanti alla frase musicale. Un Macbeth fondato sul togliere, ove tuttavia ogni sottrazione procura evocazione, atmosfera, attuazione: ascoltando a occhi chiusi si assiste a una sorta di rappresentazione invisibile, ed è spaesamento quando gli occhi si riaprono sull’esecuzione concertistica. Ovvietà alla cronaca: la versione adottata è quella rivista per Parigi 1865, l’edizione è quella critica dell’Università di Chicago, il testo è eseguito intero senza omettere il ballo nell’atto III. E le rivelazioni interpretative si annidano anche nei luoghi insospettati: il coro dei sicari nell’atto II smette di essere la solita goffa adunata armatabrancaleonesca e opprime di terrore; l’altro coro «Ondine, e silfidi», con fama e tradizione di brano decorativo e scioccherello, strappa l’applauso per maliziosa eleganza ritrovata.

Quanto serva a Muti è corrisposto da Orchestra e Coro del MMF nel segno della cinquantennale alleanza. La compagnia di canto prende posto non tra direttore e pubblico, ma tra orchestra e direttore, passando dal ruolo di mediatrice propositiva a quello di omogeneo strumento filtrato dall’idea del concertatore; e – si sa – a studiare un’opera con Muti si esce con un vocabolario artistico rigenerato. Indisciplinato Rodrigo nel recente Don Carlo a Bologna, qui Luca Salsi è un Macbeth tirannicamente tenuto a bada; ricompensa totale: impossibile ascoltarlo, più che qui, baritono tonante, smaltato, svettante, tornito nel legato del cantabile, moderato e insieme geniale nel porgere. Esitante a Firenze, a Ravenna sboccia anche la Lady Macbeth di Vittoria Yeo, tagliente nei versi con maestria di madrelingua, sicura nel registro acuto, attenta in quello grave, quasi divertita dallo scoprire le vie del temperamento in una parte maiuscola. Ieraticamente stilizzato il Banco di Riccardo Zanellato, raggiante pur nella desolazione il Macduff di Francesco Meli, giovanile e ambizioso il Malcolm di Riccardo Rados. Ma memorabili pure le notturne angosce scambiate sottovoce tra la Dama di Antonella Carpenito e il Medico di Adriano Gramigni: nel teatro di Muti.


 

 

 
 
 

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