L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Riconoscenze incrociate

di Roberta Pedrotti

L'ultima cantata napoletana di Rossini è l'occasione per ricordare, con il contesto della composizione e della prima esecuzione, anche tutti gli artefici della Rossini Renaissance e delle glorie di quarant'anni di Festival.

PESARO, 14 agosto 2019- L'ultima cantata napoletana di Rossini è una storia di gratitudini incrociate. Innanzitutto per la prima dedicataria Maria Luisa Giuseppina di Borbone, principessa di Lucca, sincera ammiratrice del compositore, omaggiata nel testo per le opere filantropiche. Assente da Napoli la nobildonna, la prima esecuzione pubblica si converte in un generale tributo ai regnanti, ma si tratta anche di una serata a beneficio di Rossini stesso, nei suoi ultimi mesi di permanenza in città. è, allora, anche la Riconoscenza di Napoli verso Rossini, di Rossini verso Napoli. Oggi, ricordando la passione con cui Bruno Cagli sviscerava il rapporto fra il genio pesarese e i gigli borbonici all'ombra del Vesuvio o sulle sponde della Senna, non possiamo non pensare a un'altra eterna Riconoscenza per coloro i quali hanno riportato alla luce tanti capolavori e un mondo poetico, hanno fatto sì che il Rossini Opera Festival divenisse ciò che è, celebrando i suoi quarant'anni. 

Il percorso simbolico della Riconoscenza è riflesso anche nei vari livelli del testo, nell'allegoria dei pastori arcadi che discettano delle vicende di Castruccio Castracani, nel riferimento contemporaneo mascherato in panni classici ma ricollocati in Toscana. Pure la musica si leviga, aulica e bucolica, come un marmo canoviano e fa balenare la maestà di Semiramide, non tanto (non solo) nella funambolica coloratura di Argene o nell'involo siderale di Fileno, bensì nell'esuberante "concerto pastorale" che presterà il suo guizzar di fiati al popolo babilonese inneggiante a Belo.

Certo, materia tanto solenne, e classicamente composta, richiede un'esecuzione da fuoriclasse; la cantata è breve, ma presenta sue picchi simmetrici nell'aria di Argene "Al conforto inaspettato" e nel canto di Fileno - un giovane Giovan Battista Rubini - "In giorno sì bello". La prima richiederebbe una pura virtuosa, per la sostanza iperfiorita della scrittura. Carmela Remigio non è mai stata uno spericolato soprano di coloratura, ma è un'eccellente musicista e non manca una nota, né manca di darle senso nel giusto registro espressivo, anche se non si può dire che Argene non le causi qualche affanno o che metta in evidenza le sue qualità migliori.  D'altro canto, quasi all'inverso, Ruzil Gatin regge piuttosto bene la tessitura improba, tutta legata in zona iperurania, ma per incarnare l'ideale del pastore poeta gli mancano ancora quella disinvoltura d'artista, quella nobiltà e scolpitezza d'accento che marcano la differenza fra esecuzione e interpretazione.

Colpiscono per la qualità timbrica e la pienezza d'emissione le due voci gravi: Victoria Yarovaya è una Melania addirittura rigogliosa; Riccardo Fassi sostituisce Mirco Palazzi - colpito da gravi problemi familiari - nel cameo di Elpino ribadendo le ottime qualità già notate in Demetrio e Polibio [leggi la recensione].

Donato Renzetti tiene le redini con tutta la sua esperienza, e lo si nota nella resa dell'Orchestra Filarmonica G. Rossini più che nell'articolazione retorica della cantata celebrativa. Il coro del Teatro della Fortuna M. Agostini, preparato da Mirca Rosciani, completa il quadro dell'omaggio incrociato dalla principessa borbonica ai giorni nostri. Un omaggio ancora aperto, perché il percorso è stato tracciato, ma non potrà dirsi compiuto che in un continuo cammino di ricerca e intepretazione.

Pubblico non propriamente numeroso, ma buon successo.


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