L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Io amo il coro

di Luigi Raso


Il Maestro José Luis Basso, argentino di genitori italiani, dallo scorso mese di maggio è il nuovo direttore del Coro del Teatro di San Carlo. Il suo è un ritorno a Napoli in questa veste, dopo la felicissima esperienza tra il 1994 e il 1996; nel mezzo, negli ultimi venticinque anni, ha avuto la responsabilità dei cori del Teatro del Maggio Musicale Fiorentino, del Gran Teatre del Liceu di Barcellona, e dell’Opéra National de Paris.
Lo abbiamo incontrato per una piacevole conversazione dopo una prova della Cantata per San Gennaro di Gaetano Manna (1751 - 1804), un esponente dell’ultima fase della gloriosa scuola musicale napoletana del XVIII secolo. uesta Cantata, riscoperta e ricostruita, darà il via, il prossimo 30 settembre nel Duomo di Napoli, alla ripresa dell’attività del Coro del San Carlo dopo la pausa estiva. Nell'occasione, il Maestro José Luis Basso dirigerà anche l’Orchestra del Teatro.

Maestro Basso, iniziamo questa conversazione proprio dalla Cantata per San Gennaro che sta provando in questi giorni con l’orchestra e il coro del San Carlo.

La storia di questa Cantata del compositore napoletano Gaetano Manna è davvero interessantissima: il manoscritto è conservato nell’Abbazia di Montecassino e si è salvato fortunosamente dal terribile bombardamento che ha raso al suolo l’antica Abbazia soltanto perché l’immenso patrimonio artistico che lì era conservato, tra cui la partitura della Cantata, fu tempestivamente nascosto e portato prima a Spoleto e poi a Roma. Nell’Abbazia di Montecassino, però, era conservato il manoscritto con la sola parte orchestrale priva del testo. Per fortuna il Maestro Roberto De Simone conservava un libretto con il testo della Cantata che ha donato al Conservatorio San Pietro a Majella: il Maestro Ivano Caiazza del Teatro San Carlo è riuscito a ricostruire il tutto, mettendo di nuovo insieme testo e musica.
È dunque un miracolo se oggi possiamo eseguire questa la Cantata che spero possa rappresentare soltanto la prima tappa di un lungo percorso di recupero dello straordinario patrimonio musicale del ‘700 napoletano.
Mi piacerebbe molto recuperare la tradizione, ormai perduta, di eseguire ogni anno una Cantata in onore di San Gennaro, così come si faceva anticamente.

 

Maestro, Lei ritorna al San Carlo dopo 26 anni e con una grande esperienza alla spalle: ha diretto i cori di prestigiose istituzioni musicali quali il Teatro Colón di Buenos Aires, Teatro San Carlo di Napoli, Teatro del Maggio Musicale Fiorentino, Gran Teatre del Liceu di Barcellona, e Opéra National de Paris.
Ci può raccontare brevemente il suo percorso di formazione e artistico?
Certo! Sono nato in una famiglia di musicisti: i miei genitori - nati in Italia ed emigrati in Argentina dopo la II Guerra Mondiale - erano artisti del coro a Buenos Aires. Io e mio fratello abbiamo scelto la carriera di musicisti. Ho cominciato da piccolo lavorando all’interno del Teatro Argentino de La Plata. Lì ho imparato a conoscere il funzionamento del teatro; facevo un po’ di tutto: preparavo il coro, le luci, accompagnavo al pianoforte i cantanti. I teatri piccoli sono una palestra di formazione formidabile per i giovani.
A quindici anni ho iniziato a lavorare con il coro, come pianista accompagnatore. Successivamente, ero poco più che un ragazzino, mi sono trasferito come maestro del Coro al mitico Teatro Colón di Buenos Aires. Lì ho conseguito una borsa di studio per studiare con il grande Maestro Romano Gandolfi, allora direttore del Coro del Liceu di Barcellona. Sono diventato quindi assistente del grande Maestro Gandolfi, già direttore del coro del Teatro alla Scala, stretto collaboratore di Claudio Abbado. Da lui ho appreso la magia del coro!
Ricordo che il Maestro Gandolfi compiva dei veri e propri miracoli con le voci!
Fu proprio lui  a incoraggiarmi ad accettare l’incarico di Maestro del Coro al San Carlo: all’epoca (1994) ero giovanissimo, avevo venticinque anni; tuttavia il Maestro Gandolfi mi incoraggiò ad assumere questo primo delicato incarico in Italia.
A Napoli l’allora sovrintendente del San Carlo, il dott. Francesco Canessa, credette subito molto in me. Si immagini lo stupore per un coro grande e importante come quello del San Carlo che si ritrova come proprio direttore un ragazzo! Le cose andarono bene e ricordo di essermi guadagnato la stima degli artisti del Coro. Eseguimmo nel 1995 Lohengrin ed ebbe molto successo; il Maestro Zubin Mehta si informò del successo della performance del coro e mi invitò a seguirlo a Firenze, al Teatro del Maggio Musicale Fiorentino dove ho lavorato per otto anni. Dopo Firenze, sono stato direttore del Coro e consulente artistico del Liceu di Barcellona. Poi Stéphane Lissner, da Direttore dell'Opéra National de Paris, mi ha invitato a Parigi dove ho trascorso gli ultimi otto anni.
Il resto è cronaca: Lissner, ora sovrintendente del San Carlo, mi ha invitato a ritornare a Napoli. Ho accettato questa nuova sfida con molto entusiasmo e gioia.
Di Napoli ho sempre conservato un bellissimo ricordo e qui ho ritrovato un coro che già conoscevo, al netto dei naturali cambiamenti che vi sono stati in questi anni.

Quali sono le differenze tra il coro del San Carlo del 1994-1995 e quello di oggi?
Ammetto che tornare qui a Napoli, dirigere di nuovo il coro del San Carlo è stata per me una grande emozione: vi ho ritrovato quei “ragazzi” che feci assumere come coristi aggiunti tanti anni fa e che ora sono nella pianta stabile del coro.
Il teatro, rispetto a 25 anni fa, è molto cambiato: l’ho trovato più organizzato; il coro ha una grande versatilità, è ben plasmato, grazie anche all’ottimo lavoro svolto dalla precedente direttrice del Coro, Gea Garatti Ansini. Un direttore di coro, per dare la propria personale impronta alla compagine, deve lavorarci su quotidianamente per almeno 2 o 3 anni.
Il coro del San Carlo è molto disponibile, ha una grande voglia di lavorare dopo il lungo periodo di semi-inattività dovuta alla pandemia. Avverto che gli artisti del coro sono pieni di entusiasmo e carichi di energia.
Io sono uno a cui piace trasmettere entusiasmo ed energia e devo dire che qui ne ho trovare in dosi molto elevate, per fortuna!
Il Coro del 1994 - 1996 era molto folto, con voci grandi, “italiane”; era un coro che veniva dalle cure trentennali del mitico Maestro Giacomo Maggiore. E si ritrovarono davanti un ragazzino qual ero io allora! Posso immaginare lo stupore degli artisti..
Il coro di quegli anni aveva un’elevata età media dei coristi, anche perché in quel periodo vi fu un blocco dei pensionamenti che costrinse molti artisti a restare in servizio più del previsto.
All’epoca ero molto giovane e devo ammettere che non capii bene la mentalità della città: a fronte di un evidente caos nell’organizzazione, riscontrabile in molti aspetti della città, notavo che però nel coro alla fine tutto funzionava a dovere: qui le persone hanno una musicalità istintiva, unica al mondo.
E così anche oggi non devo sollecitare sangue e passione quando facciamo musica, non devo chiedere nulla agli artisti del coro, perché sanno cosa devono fare: i napoletani hanno la musica nel sangue, come io posso avere il tango!
Quello del San Carlo è oggi un coro dalla passionalità istintiva che si percepisce immediatamente.
Ciò di cui ora vi è assoluto bisogno, e voglio sottolinearlo con forza, è bandire concorsi per coprire i vuoti di organico: occorre assumere coristi e risolvere la condizione dei precari del coro. Vi è necessità di costruire un gruppo stabile, che sia coeso, in modo da creare un grande coro!
Si devono necessariamente bandire i concorsi, per i quali stiamo attendendo le autorizzazioni dal Ministero.

Maestro Basso, Lei ha una lunga esperienza internazionale nella direzione dei cori (nell’ordine: Argentina, Italia, Spagna, Francia e di nuovo Italia): quali sono le differenze tra i cori di questi paesi? Quali le cifre stilistiche di ogni compagine corale?
Il coro del Teatro Colón per caratteristiche vocali è simile a quello del San Carlo: vi è luminosità delle corde dei tenori e dei soprani. I tenori argentini avevano voci squillanti, i soprani un bel vibrato.
In Spagna, a Barcellona, ho incontrato più difficoltà, perché vi erano più problemi tecnici di base e qualche difficoltà ad entrare nello spirito dei vari repertori.
Il coro dell’Opéra National de Paris è molto grande, centoventi lementi, eterogeneo, composto da artisti di tante nazionalità. Se si ha la giusta mentalità di squadra e si riesce a fare gruppo, questo insieme di culture e tradizioni musicali sono sicuramente un valore aggiunto.
Questa eterogeneità di culture del coro di Parigi costituisce una significativa differenza con il coro del San Carlo, dove l’unico “straniero” sono io! Qui a Napoli sono tutti italiani, tutti provenienti dalla Campania, tranne una corista proveniente da Firenze.
Le caratteristiche vocali del coro francese, ovviamente, sono molto diverse rispetto a quelle dei cori italiani.
Sono convinto che per guidare un coro occorra comprenderne la mentalità; e per capire la mentalità è fondamentale imparare e comprendere la lingua del luogo dove si vive e lavora: è un segno di rispetto per la cultura del posto e, inoltre, osservando e imparando come si costruiscono le frasi linguistiche, i modi di dire, si apprende come ragiona e si relaziona un determinato popolo.
Io parlo spagnolo, italiano, francese, tedesco, inglese e cerco di imparare il napoletano; leggo il russo.

Ci descrive il lavoro di concertazione con il coro?
Lei è anche direttore d’orchestra: quali sono le differenza tra dirigere un coro a un’orchestra? Quali le differenze trai due ruoli, quello di direttore del coro e di orchestra?
Per prima cosa mi lasci dire che io amo il coro. Dirigo a volte l’orchestra perché ho studiato anche direzione d’orchestra, ma amo il mio lavoro di direttore di coro.
Il coro, secondo me, è più complesso dell’orchestra: per ottenere intonazione e omogeneità tra le voci devi lavorarci su ogni giorno.
L’orchestra ha una mentalità diversa rispetto al coro: i professori d’orchestra hanno una preparazione musicale diversa dai coristi.
I suggerimenti che do all’orchestra e al coro? Be’, all’orchestra dico di suonare come se cantassero e al coro di cantare come se suonassero.
Il coro deve avere il rigore del ritmo, dell’intonazione propri dell’orchestra; quest’ultima deve avere il lirismo e la cantabilità del coro. Se vi sono queste caratteristiche, l’opera è costruita bene.
Ritengo necessario che il coro esplori il repertorio sinfonico e da camera: così si ha modo di affinare e controllare il fiato, l’intonazione, l’emissione, l’impostazione della voce che, a volte, affrontando solo l’opera si può perdere, in quanto, anche per via dei movimenti registici, si canta in modo “artificiale”, muovendosi in scena.

Quali sono i prossimi obiettivi che si prefigge di far raggiungere al suo coro?
Abbiamo molti concerti in programma. Ne cito alcuni: di Johannes Brahms eseguiremo Vier Gesänge per coro femminile, corni e arpa, op. 17 e Liebeslieder - Walzer per coro e pianoforte a quattro mani, op. 52; di Gabriel Fauré, Requiem, versione per coro e organo, op. 48; di Wolfgang Amadeus Mozart, Messa di requiem in Re minore K 626; di Francis Poulenc, Gloria per soprano, coro e orchestra.     

Qual è stato il direttore d’orchestra che le ha dato più insegnamenti nel corso della sua carriera?
Tutti i direttori con i quali ho lavorato mi hanno lasciato degli insegnamenti. Ho avuto la fortuna di lavorare con Claudio Abbado, Riccardo Muti, Wolfgang Sawallisch, Georges Prêtre, Giuseppe Sinopoli, Seiji Ozawa, Semyon Bychkov, Carlo Maria Giulini. Da ciascuno di loro ho preso il meglio; conservo ancora le partiture con le loro indicazioni.

Com’è cambiato negli anni il lavoro del coro? Qual è il rapporto tra coro e regia?
Oggi agli artisti del coro sono richieste grande musicalità, padronanza delle lingue, ma anche saper recitare. Ci sono molti registi che sanno come trattare in scena il coro; altri, invece, non hanno questa abilità, purtroppo. Non tutti i registi conoscono e capiscono lo spirito dell’opera, le esigenze del teatro lirico, che è cosa ben diversa rispetto al teatro di prosa. Conoscere lo spirito dell’opera che si affronta, il suo substrato culturale è fondamentale. Purtroppo molti registi si limitano a una conoscenza del solo libretto, ignorando la musica. Ma i movimenti del coro dovrebbero adattarsi alle esigenze musicali!
Graham Vick, che purtroppo ci ha lasciati recentemente, era un regista che conosceva la musica approfonditamente così come il testo che metteva in scena e le esigenze teatrali. Quando un coro si trova davanti grandi personalità, dà del suo meglio!

Veniamo da un periodo obiettivamente difficile per la vita dei teatri: come ritiene che la pandemia e i suoi effetti possano aver inciso sulla vita dell’opera, dei teatri?
Per il momento non siamo ancora fuori da questo momento difficile... Stiamo cercando soluzioni per lavorare al meglio, ma non è così semplice.
In questo anno che ho lavorato a Parigi e a Napoli ho notato la differenza tra i protocolli sanitari in teatro. Sono molto diversi tra Francia e Italia.
In Francia la mascherina è obbligatoria per il coro, ma non c’è l’obbligo del distanziamento fisico tra coristi. A Napoli, in Italia, è permesso cantare senza mascherina, ma si deve rispettare il distanziamento fisico.
Per il coro tutto ciò ha pro e contro: dove il coro canta con la mascherina ma senza distanziamento fisico, la voce è attutita; è come se uno strumento suonasse con la sordina, si perdono gli armonici, però, in compenso, si possono fare le prove di regia.
In Italia, all’opposto, incontriamo più difficoltà nel fare le prove di regia a causa del distanziamento, ma ci è consentito provare e cantare senza mascherina, il che agevola molto gli artisti del coro e non compromette la qualità del suono.
La prescrizione del distanziamento interpersonale ha di positivo per gli artisti del coro, se proprio vogliamo trovare quale aspetto, di indurli ad affinare l’orecchio, ad ascoltare il collega che è più lontano; in questo modo si rafforza il senso di responsabilità individuale del singolo artista.
Occorrerebbe fare di tutto - e spero che ci si attivi concretamente in tal senso - per aumentare sensibilmente la capienza di pubblico dei teatri! Non è possibile sopravvivere con le sale piene fino a un massimo di cinquecento spettatori.
Del resto il teatro è tra i luoghi più sicuro che ci siano: si entra separatamente e con la mascherina, non si parla, il pubblico si attiene a tutte le prescrizioni sanitarie.

Ultima domanda: qual è il suo sogno nel cassetto, come uomo e come musicista?
Mah... ho affrontato esperienze dure nella mia vita e ho imparato che l’obiettivo è vivere al meglio ogni singolo giorno, lavorare con passione quotidianamente, concentrarsi su ciò che il presente ci propone. Bisogna svegliarsi sempre con gioia, amore e con tanta voglia di fare musica!
Sono convinto che vi sia una mano che ci guida e protegge: noi dobbiamo limitarci a svolgere al meglio i nostri compiti. Poi sarò la vita a guidarci. Se ripenso al mio passato, noto che tutto è stato perfetto, anche i momenti più difficili che, quando li ho dovuti affrontare, non riuscivo a spiegarmi; nel presente, nell’oggi, c’è la spiegazione anche del passato.
La vita è un meccanismo perfetto, del quale entrano a far parte anche i momenti più duri e complicati.
Qual è il mio sogno del cassetto ora? Adesso il mio sogno è preparare ed eseguire bene la Cantata per San Gennaro!

Maestro Basso, la ringraziamo per questa conversazione e soprattutto le facciamo tanti in bocca al lupo per l’imminente Cantata che affronterà il 30 settembre nel Duomo di Napoli. Le auguriamo un ottimo lavoro con il Coro del San Carlo!
Grazie alla rivista L’Ape musicale per intervista!
Chiedo al pubblico di sostenerci sempre, di frequentare i teatri e di venire ad ascoltare questa Cantata di Gaetano Manna, che è un recupero prezioso e di grande interesse!

 


 

 

 
 
 

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