L’Ape musicale

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TURANDOT

di Giacomo Puccini

 

26 aprile 1926, Teatro alla Scala di Milano: va in scena la prima di Turandot di Giacomo Puccini, sul podio c’è Arturo Toscanini; dopo il coro che segue la morte di Liù, il direttore si ferma, si gira verso il pubblico e dice: «Qui finisce l’opera, perché a questo punto il Maestro è morto». Giacomo Puccini era morto il 29 novembre 1924 a Bruxelles, lasciando incompiuta l’opera: mancava il duetto finale. In Belgio, dove doveva essere operato alla gola, si era portato gli abbozzi per quel duetto che ormai da anni lo tormentava, quello dello “sgelamento” della “Principessa di gelo”: «Penso che il gran nocciolo sia il duetto. Dunque vorrei proporre un provvedimento. Nel duetto penso che si può arrivare a un pathos grande. E per giungere a questo io dico che Calaf deve baciare Turandot e mostrare il suo grande amore alla fredda donna. Dopo baciata con un bacio che dura qualche secondo “ora che m’importa” deve dire, muoio anche, e gli dice il suo nome sulla bocca» aveva scritto nel 1921 al librettista Giuseppe Adami. Quel duetto, basandosi sui 23 fogli di appunti di Puccini, lo concluderà Franco Alfano, compositore e direttore del Conservatorio di Torino.

Nel 1920 Puccini aveva letto Turandot di Carlo Gozzi, fiaba teatrale del 1762, che gli era stata consigliata da Renato Simoni (che ne sarà il librettista insieme a Giuseppe Adami) e che aveva già ispirato Ferruccio Busoni. Per raccontare la “Pekino al tempo delle favole”, Puccini sceglie un’orchestra lussureggiante (in organico molte percussioni e anche due sassofoni contralti) e ricrea un clima esotico ispirandosi a raccolte di musica cinese e persino al suono di un carillon; molta attenzione e cura dedica alle masse corali, mai così ricche nel repertorio pucciniano. Anche nella sua ultima opera Puccini traccia i due modelli di donna così cari al suo immaginario: la dolce Liù che muore per amore e la crudele Turandot che, prima di cedere a Calaf, gli uomini li faceva decapitare.

 

ATTO I

Il mandarino annuncia al popolo di Pechino che ancora una volta un principe non ha saputo risolvere i tre enigmi posti dalla principessa Turandot a chi la chiede in sposa: a cadere sotto la scure del boia sarà ora il principe di Persia. Tra la folla che ascolta sbigottita, il principe ignoto ritrova suo padre, il cieco Timur, re dei tartari, e la schiava Liù che lo ha aiutato a fuggire dopo che, sconfitto in battaglia, aveva perso il regno. Il giovane principe di Persia è pronto per il patibolo: Turandot appare dall’alto della loggia imperiale. Inutilmente la folla chiede la grazia: Turandot con un gesto imperioso ribadisce la sua condanna. Il principe ignoto si invaghisce della gelida principessa e vuole sfidare i suoi enigmi. Invano i tre ministri Ping, Pang e Pong cercano di dissuaderlo dall’andare incontro alla morte certa; nemmeno le suppliche di Timur e di Liù riescono a convincerlo. Il principe ignoto percuote il gong: è pronto a sfidare Turandot.

 

ATTO II

Ping, Pang e Pong rievocano tutte le esecuzioni alle quali sono stati costretti ad assistere. Giunge Turandot e racconta che gli enigmi ai pretendenti stranieri sono un modo per vendicare la sua ava Lo-u-Ling, uccisa da uno straniero che aveva conquistato il suo regno. Quindi rivolge i suoi tre difficilissimi quesiti al principe ignoto che, tra lo stupore dei presenti, li risolve tutti. Turandot rifugge all’idea di sposare un principe straniero e gli manifesta tutto il suo odio. Il principe le propone a sua volta un quesito: «dimmi il mio nome prima dell’alba, e all’alba morirò!».

 

ATTO III

Turandot ha imposto che nessuno dorma a Pechino, perchési deve scoprire il nome dell’ignoto pretendente. Anche il principe non dorme, sognando la sua vittoria. Alcuni sgherri hanno catturato Timur e Liù: erano con il principe, loro sapranno dirne il nome. Arriva anche Turandot e Liù confessa di sapere il nome, ma non lo dirà mai perché lo ama, e temendo che la tortura la possa far confessare, si uccide. Turandot è turbata dal sacrificio della giovane. Rimasti soli, il principe ignoto la bacia e le confessa di chiamarsi Calaf, e se lei non lo ama non gli importa di morire. È l’alba: davanti al popolo, Turandot confessa al padre di sapere il nome del principe: «il suo nome è... Amor».


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