L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Più di Leonore, poté Florestan

di Gina Guandalini

L'opera di Beethoven in forma di concerto al Concertgebouw ha visto spiccare, una volta tanto, il tenore protagonista, con la prova d'eleganza, musicalità e buon canto di Burkhardt Fritz. Bene anche Sofia Fomina, Marzelline, e il Grot Omroepkor. Curiosa la versione scelta, che sostituiva i dialoghi parlati con la narrazione di un attore.

AMSTERDAM, 29 marzo 2014 - Il 29 marzo si è svolta al Concertgebouw di Amsterdam una diurna della Radio Olandese che presentava un’esecuzione in formato concertistico del Fidelio di Beethoven. Recita unica per la città, all’ora per noi bizzarra delle 13.30 (ma le diurne di sabato sono a quest’ora anche al Metropolitan di New York). L’orario ha permesso di godere, nell’attesa dello spettacolo e durante l’intervallo, di un sole e una temperatura insolitamente primaverili, quasi estivi; e di consumare un “dopoteatro” nel vicino splendido Vondelpark, affollato come quelli londinesi nelle prime – a volte rarissime - giornate di bellissimo tempo.

Una strana scelta: i dialoghi di questo celeberrimo Singspiel sono stati qui sostituiti da un monologo scritto circa trent’anni fa dallo storico tedesco Walter Jens, Roccos Erzählung (Il racconto di Rocco). L’attore Stephan Rehm si è trovato così a snocciolare, tra i vari numeri musicali, un testo che veniva tradotto anch’esso nei sopratitoli, come le parole dell’opera, Si è trattato di un’utilissima lezione di pronuncia tedesca e di lessico olandese; ma i cantanti avrebbero saputo certamente districarsi con i dialoghi di tradizione, e da noi questa soluzione non sarebbe comunque molto gradita dal pubblico. A spiccare per eccellenza nella complessivamente buona esecuzione sono stati il Grot Omroepkor, il coro radiofonico diretto da Matthias Brauer, la Marzelline di Sofia Fomina e il tenore Burkhard Fritz, un Florestano sensibile perché ben cantato.

Il direttore d’orchestra, Gerrit Prießnitz, ha puntato sulla drammaticità e sulla teatralità della partitura, con effetti particolarmente efficaci nel secondo atto. Pur non potendo parlare di interpretazione strumentale storica, dobbiamo riconoscere che l’orchestra sfoggia archi e fiati assolutamente prestigiosi per intonazione, bellezza e vigore, e Beethoven di questo ha certamente tratto vantaggio. Non particolarmente memorabili erano gli interpreti di Rocco (Dimitry Ivashchenko) e Pizzarro (Oliver Zwarg), ma entrambi avevano un fraseggio eloquente. La protagonista, l’inglese Emma Bell, è partita male, con un'emissione che sfioriva l’afonia, e non è mai stata una Leonore di timbro possente e radioso. Punta quindi su ottima pronuncia tedesca e buone risorse di fraseggio, con le quali ha ottenuto, dopo “Komm’, Hoffnung”, la prima ovazione della serata; e si è “riscaldata” nel corso del secondo atto, mai mollando la presa del personaggio dell’eroica consorte. Chi scrive ritiene che oggi sia pressoché impossibile ascoltare tenori di alto livello nel repertorio italiano e francese, mentre un po’ meglio vadano ancora le cose quando la voce maschile più acuta deve cantare in tedesco o inglese (esempio preclaro Jonas Kaufmann). Qui ad Amsterdam si è ascoltato Burkhardt Fritz; che ha esordito con perfetto controllo dei fiati nel malinconico incipit della sua “aria del carcere” e ha poi sempre presentato un Florestan dolente e musicalmente elegante. Un nome da ricordare. Sofia Fomina è una Marzelline di timbro molto dolce e ha cantato con gusto. Nulla da eccepire sul Jaquino di Jussi Myllys. Non solo il coro dei prigionieri nel primo atto è stato interpretato al meglio, dal Grot Omroepkor, con “cavata” e sfumature di alta classe; ma c’è stata anche una viva partecipazione a tutte le fasi della liberazione del secondo atto, che in un certo senso fa di questa compagine la protagonista dell’esecuzione. Il pubblico era folto e ha apprezzato calorosamente tutti gli interpreti; e non sono mancati, come nella gentile tradizione dei Paesi Bassi, grandi mazzi di fiori per le interpreti femminili.


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