L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Gli usignoli dell'imperatore 

 di Roberta Pedrotti

Cecilia & Sol: Dolce Duello

musiche di Albinoni, Boccherini, Caldara, Gabrielli, Händel, Porpora, Vivaldi

Cecilia Bartoli, voce

Sol Gabetta, violoncello

Andrés Gabetta, primo violino e direttore

Cappella Gabetta

CD DECCA  483 2473, 2017

Una riflessione filosofica, estetica e musicale avrebbe accompagnato la riflessione di Keplero sulle orbite degli astri ellittiche e non circolari, giacché in quest'ultimo caso, l'armonia delle sfere celesti sarebbe risuonata da note invariabili in un'eterna e monotona consonanza, mentre la variazione di velocità imposto dai fuochi dell'ellissi avrebbe comportato una variazione melodica che concorresse a un più piacevole gioco armonico di contrasti. La perfezione, dunque, è nella complessità e comprende gli opposti, la consonanza e la dissonanza in continua alternanza dialettica.

Così pure il meraviglioso della musica barocca vive nell'incontro e nel dialogo di elementi contrastanti, nella sfida stupefacente fra interpreti che tocca il suo apice quando non si tratti di omologhi, ma di naturalissime gole canore con facoltà poetica di parola e di strumenti, sempre più sofisticate protesi artificiali dell'uomo musico. Come l'usignolo dell'imperatore cinese e il suo rivale meccanico, così virtuosi duettano e si sfidano scambiandosi, anche nella trattatistica, ambizioni alla pura, naturale cantabilità o, viceversa, alla perfezione tecnica sovrumana. Lo strumento vuol farsi cantante nell'espressione, il cantante vuol farsi strumentale nel virtuosismo. Artificio e natura, poli dell'estetica fra Sei e Settecento, epoca di automi meccanici e miti d'Arcadia.

Istintivamente, quando si pensa alle grandi sfide fra ugole di divi e strumenti solisti, sia improvvisate sia previste nelle arie con strumento obbligato, si pensa subito ai numerosi esempi con fiati protagonisti, trombe, flauti, corni che per ovvia affinità più facilmente possono affinare armi comuni con la voce. Sarebbe tuttavia grave errore trascurare il ruolo storico del violino o la vocazione canora del violoncello, così ben sfruttata anche nella musica da camera fino ai giorni nostri.

Ecco dunque che questo progetto curato dal musicologo Giovanni Andrea Sechi risale agli anni dell'ascesa in ambito teatrale dell'ancor giovane violoncello (il termine compare per la prima volta nel 1665) attraverso i suoi duelli con la voce, dolci perché anche negli scambi più agguerriti il gioco non assume mai i toni bellicosi che suggerirebbe la tromba. E dolci perché a duellare si chiamano, com'è logico che sia, due dive che prendono lo scontro con la giusta dose di rigorosa serietà e di (auto)ironia, come traspare anche dal vivace taglio anni '50 del comparto grafico.

Le dive rispondono ai nomi di Cecilia Bartoli e Sol Gabetta; la prima compare giustamente come “voce” senza sottilizzare sul registro, precisazione che potrebbe essere quasi irrilevante trattandosi di un'epoca in cui il canto tende sempre all'estremo, e nell'espressione degli affetti e nelle esigenze virtuosistiche. In entrambi i casi Cecilia Bartoli è esattamente un'artista estrema, e pertanto perfettamente barocca, versata al canto patetico più intenso come all'espansione più estroversa, alla melanconia e alla parola spiccata o allo scatto d'un genio pirotecnico, spericolata musicalmente, aliena da ogni compromesso. E piaccia o meno questa personalità anche timbrica particolarissima, non si potrà non rimanere impressionati dall'intelligenza con cui cesella e penetra la frase senza mai perder di vista il rapporto con lo strumento concertante. Sol Gabetta le risponde con altrettanta duttilità, cantando con suono ben raccolto, ma delineando bene anche i momenti più agitati e virtuosistici, nonché nell'accentuazione e nella caratterizzazione espressiva del legato o, viceversa, di pizzicati alla maniera tiorbe, liuti o classiche lire. Rimane solista a chiudere il programma con il Concerto n. 10 in Re maggiore G 483 di Luigi Boccherini (1743-1805), datato intorno al 1782 e dunque ideale chiusura di un secolo d'affermazione dello strumento che, anche se ora duetta con un'intera orchestra d'archi e non più con la voce, ha ben imparato a cantare. Andrés Gabetta, fratello di Sol, violinista e direttore conferisce la giusta chiarezza e buon sostegno espressivo a tutto il programma.

Per chi legga l'inglese, il francese o il tedesco, le note di Alexandra Coghlan e Giovanni Andrea Sechi sono una guida preziosa attraverso la logica che sottende alla scelta e dei brani, dall'ambito bolognese, culla storica del violoncello (con San Sigismondo, re di Borgogna di Domenico Gabrielli, 1687), alla Vienna asburgica che ancora qualche anno dopo richiedeva a Caldara (Nitocri, 1722, e Gianguir, imperatore del Mogol, 1724) e Albinoni (Il nascimento dell'aurora, 1710) quel medesimo gusto elaborato ed erudito altrove già passato un po' di moda; dalla Venezia di Vivaldi (con l'opera Tito Manlio, 1719) e Porpora (con la serenata Gli orti esperidi, 1721) fino alla Londra di Händel (Ode for St Cecilia's Day, 1739, e Arianna in Creta, 1734), che evidentemente poté contare sulla collaborazione con eminenti violoncellisti presenti all'epoca nella capitale inglese.

 


 

 

 
 
 

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