L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Le origini del baritono

 di Roberta Pedrotti

Il bravo

brani da opere di Balducci, Balfe, Bellini, Coccia, Donizetti, Generali, Marliani, Mercadante

baritono Vittorio Prato

soprano Francesca Longari, mezzosoprano Margherita Tani, tenore Patrick Kabongo Mubenga, basso Zhiyuan Chen

direttore José Miguel Pérez-Sierra

orchestra Virtuosi Brunensis

Camerata Bach Choir

Festival Rossini in Wildbad, 17-19 luglio 2017

CD Illiria 2019

Da oltre un secolo siamo abituati a categorizzare i registri vocali in modo piuttosto rigido, aggiungendo una miriade di ulteriori precisazioni sempre più minuziose. Sono distinzioni culturali, legate al gusto, allo stile, al repertorio, anche perché varia da individuo a individuo la combinazione delle caratteristiche fisiologiche che concorrono a definire timbro, spessore, estensione di una voce. Poi interviene la tecnica a plasmare questo materiale unico in relazione a un repertorio.

Voci con estensione naturalmente riconducibile al moderno baritono sono sempre esistite, ma si indirizzavano tecnicamente a indirizzarsi verso l'acuto – ed ecco il baritenore – o verso il grave – ed ecco il basso cantante, per esempio. Nessun problema, dunque, se parti anche antiche che in locandina vediamo definite in altro modo vengono tranquillamente affrontate da chi oggi diciamo serenamente baritono. La voce non è una questione di etichette, dietro i nomi sta tutta una storia di evoluzione del gusto, dello stile, della scrittura. Nel caso del baritono l'affermazione del termine coincide con l'affermazione di parti gravitanti su una specifica tessitura intermedia fra tenore e basso che finalmente si afferma come tipologia autonoma. È il tempo di Bellini e Donizetti e l'ascesa del baritono ha un nome, come capostipite e alfiere: Antonio Tamburini. Dopo di lui verranno primi interpreti verdiani quali Giorgio Ronconi e Felice Varesi, mentre Tamburini, classe 1800, si muove ancora esclusivamente nell'ambito del Belcanto romantico, frequenta opera seria, semiseria e buffa, è Riccardo nei Puritani e Malatesta in Don Pasquale. È anche molto altro, giacché il repertorio non si limita alla manciata di titoli rimasti più noti e frequentati. Esplorare, attraverso la carriera di Tamburini, le radici della vocalità autonoma del baritono significa, allora, anche esplorare un mondo musicale che il tempo ha, almeno in parte, sommerso. In questo CD non ascoltiamo solo il Donizetti di Don Pasquale, ma anche quello un po' meno battuto di Gianni di Calais. È presente Mercadante, e non con i titoli più citati (anche se non eseguiti) come Il giuramento o Il bravo, ma con I briganti, opera ispirata allo stesso dramma di Schiller che darà origine ai Masnadieri verdiani. C'è, con Edoardo in Iscozia, un autore come Carlo Coccia, ricordato per lo più per l'intitolazione del teatro nella natìa Novara, c'è, con Chiara di Rosembergh, Pietro Generali, che si proclamava inventore del crescendo prima di Rossini. Di Giuseppe Balducci un'aria da Riccardo l'intrepido e di Marco Aurelio Marliani Il bravo che dà il titolo all'intera raccolta. In un panorama tutto italiano, spicca anche un inglese, che scrive per inglesi, su soggetto che più inglese non si può, ma lo fa nella nostra lingua e in puro stile belcantisa: William Balfe è forse l'unico operista britannico di un certo rilievo nel vuoto che trascorre fra la morte di Purcell e l'ascesa di Britten, il suo Falstaff offre a Ford un'articolata aria di gelosia.

Si delinea già il panorama dei ruoli tipici per baritono: da un lato abbiamo il personaggio brillante, il complice, l'aiutante, l'astuto Figaro, dall'altra l'antagonista, l'innamorato respinto o il malvagio; il comico, il nobile e il perverso.

Naturalmente il consolidarsi di una tipologia vocale autonoma e del suo ruolo drammaturgico non è un fatto repentino, ma un percorso graduale che si evidenzia anche attraverso la carriera di Tamburini così come è narrata in questa selezione dal suo repertorio. A Napoli, ventenne, cantò in Chiara di Rosembergh, mentre affrontò Il bravo, I puritani, I briganti e Falstaff fra il 1834 e il 1839. Non viene mai meno la propensione dell'artista per il canto di coloratura, sia nella fierezza delle cabalette e dei passi in stile buffo sia nella duttilità del cantabile legato, che mette sempre in evidenza una bella nobiltà nel porgere. La tessitura è, però, più spericolata nelle opere degli anni '20, quando il baritono è ancora nello spettro del basso cantante e, dunque, affonda anche più spesso nel registro grave. Progressivamente si assesta in prevalenza nella zona centro acuta che sarà poi tipica anche di quel repertorio verdiano che Tamburini non affronterà mai. Un altro, in effetti, era il suo mondo, sia retorico, sia vocale.

Questo ritratto artistico del primo principe ottocentesco dei baritoni entra nel raffinatissimo catalogo di Illiria, casa discografica che dovrebbe stare nel cuore di ogni amante del belcanto, grazie all'incisione di un concerto tenuto da Vittorio Prato nel non meno raffinato e curioso festival Rossini in Wildbad. Sul podio c'è José Miguel Pérez-Sierra, che con i Virtuosi Brunensis, la Camerata Bach Choir e validi pertichini (il soprano Francesca Longari, il mezzosoprano Margherita Tani, il tenore Patrick Kabongo Mubenga e il basso Zhiyuan Chen) garantiscono la completezza di ogni brano, con recitativi, transizioni e riprese.

L'omaggio a Tamburini è anche la rievocazione di uno stile, di un linguaggio comune che caratterizza l'opera italiana come fenomeno europeo nel primo romanticismo; Prato, innanzitutto, si dimostra musicista scrupoloso, preparato, intelligente. È chiarissimo nell'articolazione del testo e delle strutture, della retorica nobile e mordente del belcanto romantico, affronta spavaldo le tessiture ancora anfibie e più aspre, alleggerisce a dovere nell'elegia e nel mezzo carattere, è torvo protervo e irridente con incisività e senza eccessi là dove si richiede, come nell'Orgia di Gradenigo del Bravo. La natura schiettamente baritonale non è quella anfibia che si richiedeva alle voci gravi del primo Ottocento e, dunque, sembra proprio rispecchiare, senza scimmiottare bensì con moderno spirito, la tensione di Tamburini verso l'emancipazione della corda baritonale e il suo assestamento in una porzione del pentagramma; peraltro, se si avverte il giro della voce sempre più comodo man mano che si avanza nel tempo e nella definizione del registro, la gestione del colore, della copertura del suono rende perfettamente anche l'idea dell'origine dal basso cantabile. Nel suo trattato di canto, Manuel Garcia jr parla, più che di passaggio di registro, di timbro chiaro e scuro per definire l'emissione nei diversi registri e non ci troviamo lontani da quell'estetica, anche se l'emissione di Prato, in linea con il gusto odierno, mantiene comunque sempre una buona omogeneità timbrica. Anche così rende omaggio al capostipite dei moderni baritoni, raccogliendone l'esperienza e il testimone ma rivivendola oggi, con consapevolezza e moderna sensibilità.


 

 

 
 
 

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