L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

I gioielli del verismo

 di Pietro Gandetto

Successo per il dittico verista al teatro alla Scala nel bell'allestimento di Mario Martone e con Violeta Urmana (Santuzza) e Marco Berti (Canio) ottimi protagonisti delle due opere. Meno convincenti Fiorenza Cedolins (Nedda) e la direzione di Carlo Rizzi.

Milano, 15 giugno 2015 - Il giorno del 70° anniversario dalla scomparsa di Pietro Mascagni, il Teatro alla Scala ha omaggiato il compositore livornese con una bella recita del suo gioiello, Cavalleria Rusticana, abbinata, come di consueto, ai Pagliacci di Ruggero Leoncavallo. Lo spettacolo di Mario Martone, con le scene di Sergio Tramonti, le luci di Pasquale Mari e i costumi di Ursula Patzak ha riscosso ampi consensi tra il pubblico. L’idea sottesa a questa produzione - risalente al 2011 e felicemente riproposta nella scorsa stagione scaligera in abbinamento ai balletti La Rose Malade e Le Spectre de la Rose - è sempre appagante, nella sua essenzialità. Una regia-concetto priva di inutili orpelli, che pone in prima linea le emozioni dei personaggi e i drammi psicologici delle tragedie amorose mascagnane.

Anche se i due protagonisti d’eccezione (Jonas Kaufmann ed Elina Garanca) che avrebbero dovuto deliziarci in questa produzione hanno dato forfait, con notevole e giustificato disappunto del pubblico più fedele della Scala, va detto che Violeta Urmana e Stefano la Colla non hanno di certo fatto sentire la loro mancanza.

Buona la performance di Violeta Urmana, considerate anche le pochissime prove effettuate. Sebbene la voce sia un po’ metallica nel registro acuto e troppo esigua nelle note gravi, il volume è ancora ragguardevole e potente e questa Santuzza ci è piaciuta anche per il fraseggio elegante, mai dozzinale e sempre a fuoco. La presenza scenica è sorprendentemente efficace e conferma le qualità e la levatura di quest’artista che negli anni ci ha deliziato con ottimi risultati sia nel repertorio sopranile sia in quello da mezzosoprano. Fra tutti, ricordiamo con grandissima emozione la sua meravigliosa Azucena del 2000 al Teatro alla Scala con Salvatore Licitra.

Stefano La Colla - dopo la soddisfacente performance in alcune recite della Turandot con Riccardo Chailly - ha fatto il suo. La vocalità forse non è (ancora) così drammatica come il personaggio richiederebbe e la personalità di compare Turiddu avrebbe potuto essere resa con una maturità interpretativa un po’ più sofisticata. Ma la voce è bella, rotonda e ben appoggiata. Buone le scene del brindisi e quelle più movimentate, meno convincenti alcune frasi come “Voi dovete fare da madre a Santa” in cui è mancato il legato.

Marco Vratogna ha proposto un Alfio molto credibile sul piano interpretativo - scolpendo un personaggio dalla psicologia fiera, granitica e intrisa di orgoglio - ma anche sul piano vocale, sfoggiando una voce scura, duttile e di buon volume anche se con qualche difficoltà negli acuti. Appagante sia per la vista sia per l’udito la Lola di Oksana Volkova. Abbastanza deludente la Mamma Lucia di Mara Zampieri: la presenza scenica è di forte impatto, ma la performance vocale è stata purtroppo sotto le aspettative.

Passando invece ai Pagliacci, già dalle prime note del Prologo ci si è immersi nel magico mondo della gestualità fiabesca e giocosa dei clown. La scena è ambientata in una grigia periferia decadente, con un ponte stradale sullo sfondo del palcoscenico. La compagnia di Canio entra in scena con roulotte, macchine d’epoca, carretti sconquassati, sui quali un gruppo di acrobati esegue con stupefacente agilità ed eleganza svariate acrobazie e altri numeri da circo.

Soddisfacente il Canio di Marco Berti che ha sfoggiato una voce ragguardevole per volume, intensità e colore. Disinvolto in scena e rapido nei movimenti di questa regia - non certo agevole per i cantanti impegnati sia in palco sia in platea - il tenore è parso a proprio agio nell’interazione con il pubblico. Intensa e grondante di enfasi drammatica l’aria “Vesti la giubba”, eseguita con una vasta gamma di sfumature e colori. Insomma, una performance soddisfacente che conferma le doti indiscusse di questo professionista di respiro internazionale.

Meno convincente Fiorenza Cedolins nel ruolo di Nedda, un personaggio sicuramente impegnativo, soprattutto per il continuo alternarsi di emozioni e stati d'animo contrastanti. La resa psicologica del personaggio è buona e l’interpretazione musicale corretta e raffinata, ma voce è parsa un po’ povera di armonici e stimbrata soprattutto nel registro acuto.

Marco Vratogna è stato bravo anche nel ruolo di Tonio, interpretato correttamente ed eseguito con la consueta vocalità possente e scura. Di contro, francamente ci si aspettava qualcosa di più dal fresco vincitore del meritato Premio Abbiati, Simone Piazzola, un po’ statico nei movimenti e poco presente vocalmente.

La direzione di Carlo Rizzi è stata un po’ sotto le aspettative, specialmente in Cavalleria, in cui volumi dell’orchestra erano davvero eccessivi. I colori e le sfumature un po’ carenti soprattutto nei due intermezzi, sede privilegiata per la resa del messaggio musicale e stilistico degli autori. Buona la prestazione del coro, compatto e omogeneo sia nella musica che nei movimenti.

A fine serata copiosi applausi per tutti gli interpreti e specialmente per Marco Berti, Stefano La Colla, Violeta Urmana e Fiorenza Cedolins.

foto Brescia Amisano


 

 

 
 
 

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