L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

La tempesta nella polvere

di Isabella Ferrara

La commedia di Annibale Ruccello riscuote un vivo successo al Teatro Bellini di Napoli con la regia di Arturo Cirillo.

Napoli 12 dicembre 2023 - È il 1870, ma il tempo dentro questa nobile casa si è fermato. Decotti, valeriana, rosolio e qualche cioccolatino definiscono le giornate. La nobildonna decaduta Clotilde trascorre le ore a rimpiangere il Regno delle Due Sicilie sconfitto e scalzato dal re sabaudo, a sospirare per la sua vita passata, a lanciare anatemi contro la nuova borghesia che avanza sui resti degli sconfitti, e contro la sua Gesualda, cugina povera che le fa da infermiera e spiacevole compagnia. Quotidiane le religiose visite di Don Catellino, prete del paese e riferimento culturale di quella parte di mondo che si trova nel mezzo dei cambiamenti e non si lascia cambiare. La nuova società farà ingresso spavaldamente nella vecchia casa nelle vesti di un giovane nipote di Donna Clotilde, Ferdinando, bello, energico, vitale, pronto a sconvolgere la noiosa routine e dedito a farlo infilandosi nelle trame di tappeti già calpestati e nelle fessure di porte già socchiuse a spiare.

La scena nella prima parte è tutta di Donna Clotilde, la baronessa che fa fuoco con le parole. Solo parole, ma che tenacia nel dialetto napoletano: non una pausa di troppo, né un respiro mancato nella recitazione dell’attrice Sabrina Scuccimara. Poche azioni limitate a un giaciglio a convenienza, da ammalata di rancore e disprezzo, e a qualche vizietto innocente, fra un rosolio e un cioccolatino. Vizi più sostanziali si consumano fuori dai letti. E fuori dalla grazia di Dio. Laddove due ombre maltrattate, a buon giudizio, sopportano infamie e calunnie, o semplici e crude constatazioni, trovando rapido conforto peccaminoso. Sono Gesualda, Anna Rita Vitolo, e Don Catellino, Arturo Cirillo, che nella seconda parte sono i favoriti della scena, e la fanno propria felicemente: illuminati fuori dalle penombre di tendaggi pesanti, rivelano desideri, svelano voglie appagate. Fra di loro, vecchi baluardi di decadenza fisica, morale e culturale, si fa spazio Ferdinando, Riccardo Ciccarelli, il nuovo che avanza sulle rovine del passato, togliendo terreno all’antico e che, per farlo, distrugge tutto, non conserva nulla. Senza ricordi, senza passato, e senza futuro. Dedito alla costruzione di null’altro che del momento presente. La carezza del momento senza la profondità dell’amore, né la potenza del peccato. Tutto è lecito, tutto è possibile. Ma laddove non c’è più “differenza fra quello che si può e quello che non si deve” si perde il piacere di quello che si può e il senso di quello che non si deve, e si perde anche il gusto della trasgressione.

Sul testo di Annibale Ruccello (1985) non passa il tempo. Sorprende fra una risata e una riflessione, ammalia con una lingua in cui riconoscersi e da cui sentirsi dominati. È impegnativo, mentre sa trascinare senza inciampi fra corruzione e morbosità, peccato e mai perdono, piuttosto umana comprensione. Inciucio, religione, chiesa e clero. Gelosia, amore forse, erotismo, sesso, affetto e dipendenza, solidale unione nella perdita, inganno, perversione e seduzione. Una sfilata di vizi e virtù completamente umani concentrati in una stanza, dietro una porta, sotto una luce impietosa. Purtroppo non tutto trova il suo spazio in scena; i turbamenti e le pulsioni che più avrebbero dovuto giocare da protagonisti, non riescono a diventarlo. Alcuni fantasmi restano nascosti nel buio della vecchia casa e alcuni gioielli chiusi nella scatola, lasciando una leggera delusione da desiderio inappagato e mancato. La regia, comunque, ha lasciato agli attori la possibilità di impadronirsi della scena scambiandosela. E gli applausi convinti rivelano che per la platea quello che ha riempito la scena lo ha ben fatto.

Isabella Ferrara


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