L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Omaggio alla fantasia

di Michele Olivieri

Il Grand Chapiteau ha riaperto accogliendo l’attesa nuova produzione e riabbracciando il suo pubblico dopo lo stop dovuto alla pandemia. Lo spettacolo del Cirque du Soleil, compagnia di fama internazionale, grazie alle mirabolanti prodezze artistiche ha condotto gli spettatori in un affascinante e misterioso territorio, dove il visibile diventa invisibile, tra poesia sognante e ironia.

MILANO, 19 maggio 2023 –  La trentacinquesima produzione del Cirque du Soleil ha fatto rivivere, come da suo biglietto da visita, un’esperienza unica mediante epoche e stili lontani. Il fascino e, soprattutto, la magia ha immerso i tanti spettatori in un‘atmosfera nostalgica, con la cura propria di un tempo senza tempo data dagli ambienti, dai costumi eleganti (firmati da Philippe Guillotel) e dalle scenografie sfarzose (ideate da Stéphane Roy). Per chi si accosta per la prima volta a questo evento di entertainment live, fondato a Montreal nel 1984, è come vivere la riscoperta del piacere di viaggiare in treno. Infatti così inizia lo spettacolo, con un escamotage di strehleriana memoria, mentre si attraversano sonorità, acrobatismi, giocolerie, danza, gag, musiche eseguite dal vivo, e tanto altro. In qualche modo è anche un omaggio all’arte italiana, ci sarebbero numerosi riferimenti per confermare ciò, ma basta la colonna sonora dello show (composta e diretta da Raphaël Beau con Bob & Bill) a ricordarci lo stile del nostro paese, con echi che ci riportano a Nino Rota e direttamente all’estro onirico di Federico Fellini.

La scena, quella tipica di un circo sotto il tendone (con il valore aggiunto della totale assenza di animali), risplende con una miriade di cimeli storici, misteriosi souvenir, oggetti tra i più disparati. Da qui il sottotitolo “gabinetto delle curiosità”. E proprio questi reperti prendono vita, tolta la polvere del tempo, per far sognare narrando storie e soprattutto strabilianti avventure in luoghi e culture lontani. Basta varcare una delle tende che danno accesso al circo per fare un tuffo all’indietro quando nei grandi viaggi, tra sete e velluti, sfilavano signore ingioiellate nei loro abiti preziosi e gentiluomini in lustro, che si ritrovavano per festeggiare, brindare e giocare sul ritmo dei balli più in voga. Ma è anche un’esplorazione degli inizi della scienza, delle scoperte e delle invenzioni che hanno condotto la civiltà alla rivoluzione industriale. La vetrina dei personaggi presentati, a tratti bizzarri ma sempre benevoli, scatena il miraggio, avvolgendo ogni età grazie a un tessuto intriso di poetica leggerezza. Ogni differente numero, legato agli altri con maestrìa, lascia a bocca aperta per i virtuosismi eseguiti da circensi di alto livello. Giocoleria, canto, danza, commedia, teatro di figura, contorsionisti, clown e una cena sottosopra ad infinita altezza (che vale già da sola il plauso per Michel Laprise in qualità di sceneggiatore e regista, e via via alle miniera d’oro di idee proposte). Il tutto sempre condito da eleganza, tatto e delicatezza, anche quando vengono coinvolti gli spettatori in scena. È la libertà di creare illusioni, e soprattutto di poter continuare a sognare in quel “antastico mondo nascosto e invisibile che ognuno di noi si porta dentro. I musicisti e i cantanti rigorosamente dal vivo sono il trait d’union imprescindibile che lega il tutto alla perfezione. Gli artisti ipnotizzano nella nostalgia di un tempo andato, ma ancora ben presente nell’immaginario collettivo. Kurios è una produzione sorprendente, con un team di creativi di assoluto talento. Mirabile l’attenzione ai dettagli e alla carrellata di sentori legati all’infanzia e all’adolescenza, quasi fosse un moderno Schiaccianoci. La grazia, l’energia e l’apparente facilità con cui gli artisti in scena (provenienti da ben ventidue paesi diversi) si sono donati è difficilmente riscontrabile in altre produzioni del genere. Le coreografie (ideate da Andrea Ziegler, Susan Gaudreau, Sidi Larbi Cherkaoui, Ben Potvin, Yaman Okur) hanno saputo affrescare un lessico di differenti stili capace di accendersi non appena il sole tramonta, mentre si spegne nel momento in cui compare idealmente l’alba. Proprio come avviene nei sogni.


 

 

 
 
 

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