Tre classici del XX secolo
A George Balanchine e Jerome Robbins è stato dedicato l’ultimo appuntamento della corrente stagione andato in scena con tradizione e due novità a beneficio dell’ottima compagnia diretta da Manuel Legris.
MILANO, 17 novembre 2024 – A metà del XVIII secolo, la prima scuola di danza russa fu fondata a San Pietroburgo; un secolo dopo, i maestri francesi Jules Perrot e Marius Petipa diedero l’assetto definitivo sul balletto come lo conosciamo oggi. La discendenza diretta di Balanchine dal Balletto Imperiale Russo del XIX secolo è resa evidente nel suo omaggio alla corte degli zar in Theme and Variations che ha aperto il Trittico scaligero. Il brano è pura delizia e la compagnia scaligera lo danza con finezza inseguendo l’intenzione coreografica. I développés e gli entrechats sono nitidi e il fraseggio altrettanto delizioso. L’essenza del balletto classico di Balanchine è una potenza. I ventiquattro minuti delle dodici variazioni di Čajkovskij sono rappresentati con gusto anche se a tratti viene meno lo “stile balanchiniano” concentrando maggiore attenzione all’esecuzione accademica. In lontananza i fondali rimandano a interni sfarzosi e ridondanti di lusso che ricalcano l’Hermitage, come del resto lo sono i costumi ricchi di dettagli e opulenza, il tutto a firma di Luisa Spinatelli con la collaborazione di Monia Torchia. In Theme and Variations, Balanchine ha aperto il dizionario del balletto del XIX secolo e vi ha immesso la propria evoluzione moderna composta da energia, musicalità e velocità. La coreografia è elegante ma al contempo impegnativa e non lascia margine a errori. Alla coppia principale questo balletto non fa sconti perché non c’è spazio per tentennare. I due interpreti Maria Celeste Losa e Navrin Turnbull si impegnano nei loro assoli e duetti, senza tralasciare i veloci enchaînements, sono brillanti nelle linee delle braccia, molto meno invece nel partnering. La precisione in Theme and Variations deve risultare cristallina per ottenere il risultato originale. In toto lo spirito della compagnia, e del suo direttore con la supervisione coreografica di Patricia Neary e la collaborazione dello stesso Legris, traspare fulgido nel movimento finale. Le quattro soliste e i quattro solisti nella settima rappresentazione hanno avuto il volto di Gaia Andreanò, Caterina Bianchi, Camilla Cerulli, Linda Giubelli, Domenico Di Cristo, Edward Cooper, Rinaldo Venuti, Alessandro Paoloni.
Dopo il primo intervallo è stata la volta di Dances at a gaghering realizzato da Jerome Robbins nel 1969 per il “New York City Ballet”. Ha visto la partecipazione di cinque ballerine tra cui l’étoile Nicoletta Manni al fianco di Martina Arduino, Alice Mariani, Linda Giubelli, Asia Matteazzi e di altrettanti cinque danzatori, a partire da Claudio Coviello, Timofej Andrijashenko, Darius Gramada, Rinaldo Venuti e Gabriele Corrado. La selezione musicale per pianoforte di Chopin è stata squisitamente suonata da Leonardo Pierdomenico che ha ricevuto una vera e propria ovazione personale. Ispirato al genio poetico del compositore polacco, il balletto non è nella sua lunghezza complicato (sessantacinque minuti sono comunque troppi) ma riserva una serie di assoli, duetti, piccoli gruppi che culminano in un lirico rassemblement di tutti e dieci i ballerini (supervisione coreografica di Ben Huys). Tra incastri, rimandi, uscite ed entrate si snoda per mezzo di geometriche interazioni e momenti di destrezza. I movimenti sono semplici nella loro raffinatezza, bilanciati da virtuosità come ben dimostrato da Claudio Coviello, tra i migliori artisti in scena. La forza dell’ensemble è apparsa indiscutibile e priva di difetti. Ognuno ha dato sfoggio di equilibrio e controllo. Incantevoli i costumi nei colori pastello a firma di Joe Eula e le scene di Saul Steinberg.
Dopo il secondo intervallo il sipario si è riaperto su The Concert di Robbins, il più vecchio dei tre brani coreografici. Nato nel 1956, fu il primo dei suoi lavori ad essere basato su Chopin. In quegli anni la commedia americana era per lo più bizzarra e ciò spiega la propensione di Robbins per la burla. Non mancano cliché tipici degli anni cinquanta conditi da comicità fumettistica. Nonostante i Preludi di Chopin nella concertazione di Clare Grundman (interpretati al piano da Leonardo Pierdomenico il quale è parte integrante della coreografia - in forma di pantomima - nell’interpretazione di un pianista altezzoso e un po’ “divo”) è un’opera umoristica che ha strappato risate alla platea ma che appare lontana dalle convenzioni sociali della nostra epoca. Tuttavia gli scaligeri si sono divertiti restituendo un’esibizione esuberante per brio e carisma (con la supervisione coreografica di Jean-Pierre Frohlich, gli splendidi costumi di Irene Sharaff e le scene di Saul Steinberg). Il momento clou è quello in cui una ballerina appare fuori passo e a tratti si muove nella direzione sbagliata, perfetto nei tempi comici. La creazione si impone per le ottime interpretazioni (Letizia Masini, Gabriele Corrado, Maria Celeste Losa, Domenico Di Cristo, Greta Giacon, Edoardo Caporaletti, Massimo Dalla Mora, Denise Gazzo, Christelle Cennerelli, Daniele Lucchetti e il corpo di ballo). Sdoganato Jerome Robbins alla Scala, ora si attende una serata dedicata esclusivamente a lui, tenendo conto che la sua bibliografia coreografica risulta essere ricca di capolavori.
L’Orchestra del Teatro alla Scala per l’occasione è stata diretta da Fayçal Karoui, al suo debutto nel tempio milanese, dando il giusto accompagnamento per tempi e ritmi.
In chiusura del trittico viene spontanea una osservazione. Che cosa è l’arte della danza e del balletto? La risposta è presto data con un unico sostantivo: è “eleganza” e la Scala con i suoi artisti e le sue maestranze ne ha dato prova.
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Milano, La Bayadère, 14/06/2024