E il Cinema si fece piccolo
di Roberta Pedrotti
A Bologna, in favore dell'AIRC, si proietta Foolish Wives di Stroheim con la colonna sonora appositamente composta da Marco Taralli. Un'occasione per apprezzare, con il lavoro del compositore, l'evoluzione del cinema attraverso lo sguardo di un regista/attore dall'intuito grandioso e visionario, il cui volto resta un'icona del tramonto dell'età del muto.
BOLOGNA, 19 gennaio 2016 - Billy Wilder non lo scelse a caso per incarnare l'enigmatico custode del passato, il maggiordomo di Viale del tramonto: il viennese Erich von Stroheim si affermò negli Stati Uniti come attore, specializzandosi in ruoli di perfido tedesco sempre attuali attorno alle due guerre, ma la sua parentesi registica – circoscritta in poco più di un decennio – gli è valsa una posizione di spicco fra i padri del cinema americano, continuatore della grandiosità inaugurata da Griffith, maniacale ed esigente sì che i costi spropositati, la snervante cura del particolare, l'allergia allo star system, l'ambizione tecnica furono il principale ostacolo a una carriera d'autore invisa ai produttori benché, spesso, premiata dal pubblico. Fu un grandissimo successo anche Foolish Wives (1922), vicenda che sovrappone la sua rielaborazione autobiografica (il figlio del cappellaio ebreo Erich Oswald Stroheim si presentò come conte Erich Oswald Hans Carl Maria von Stroheim und Nordenwall) con quella del sedicente conte russo Wladislaw Sergius Karamzin, in cui si sommavano alcune delle peggiori caratteristiche dei tipi cinematografici incarnati come attore: seduttore, millantatore, truffatore, vigliacco. Più della trama, quel che colpisce è il proliferare perfino ipertrofico di elaborazioni tecniche, ricerche di montaggio, episodi eclatanti in cui forzare i limiti delle possibilità della celluloide. Scene in esterno, scene di massa, una tempesta con una barca in balìa delle onde, un incendio, un suicidio in mare… Benché la versione italiana restaurata dalla Cineteca di Bologna non corrisponda esattamente, con i suoi 94 minuti e 1820 metri, a quella originale di quasi due ore (reintegrate in restauro fino a 142 minuti, sempre un'inezia rispetto allo sterminato progetto iniziale di più di sei ore) e, dunque, qualche equilibrio possa esser pregiudicato, è evidente la tensione creativa di Stroheim, che arriva a travolgere una trama basata sui classici temi cari all'autore (inganno, cinismo, decadenza, eros e denaro). L'elaborazione formale e il controllo assoluto di ogni dettaglio sembrano quasi ridondare, è il cinema grande per antonomasia invocato da Norma Desmond: farsi piccolo, però, non sarà necessariamente la perdita lamentata dall'ex diva, ma, al contrario, una nuova misura che ricollocherà, alleggerite ove necessario, tante energie creative in un nuovo linguaggio. Il cinema piccolo sarà moderno anche per aver fatto tesoro delle inquadrature e degli esperimenti in grande di Stroheim, e, da parte sua, il kolossal non è ancora morto.
Fra le follie del visionario Stroheim quella che forse diede più grattacapi alla produzione fu la ricostruzione maniacale degli esterni ambientati nel Principato di Monaco, ma la collocazione ha portato nuova fortuna a Foolish Wives nel momento in cui l'Orchestre Philharmonique de Monte-Carlo si è interessata alla proposta della pellicola e ha incaricato Marco Taralli di realizzare una nuova colonna sonora. Aquilano, ma bolognese d'adozione, il compositore, bolognese la Cineteca Nazionale che ha curato il restauro del film, sembrava inevitabile che il lavoro approdasse all'ombra delle Due Torri per la prima esecuzione integrale, con la partecipazione dell'orchestra del Teatro Comunale (in buona forma; sul podio Federico Longo), il sostegno economico di Hera e il nobile intento di raccogliere fonti per l'AIRC, Associazione Italiana per la Ricerca sul Cancro.
Quella della musica per il cinema è una forma d'arte che, senz'ombra di dubbio, può decretare la fortuna e fare la differenza nella riuscita di un film: potremmo scindere i capolavori di Fellini e Visconti dall'ossatura sonora plasmata da Nino Rota? O quelli di Sergio Leone dai temi di Morricone? La saga spaziale di George Lucas sarebbe arrivata a macinar miliardi per sette film senza l'associazione con i leitmotive di John Williams, che ha pure la sua buona parte di merito anche nelle fortune di Indiana Jones, Superman, Harry Potter. Con il cinema muto le cose sono un po' diverse, ché di rado possiamo parlare di lavori concepiti unitamente all'accompagnamento musicale, sovente – ma non sempre, Chaplin docet – improvvisato di volta in volta o, quantomeno, imbastito a posteriori, tuttavia non meno complesse, anche perché il musicista contemporaneo che si confronti con pellicole d'un centinaio d'anni fa dovrà unire a tutte le contingenze cinematografiche anche l'impossibilità di collaborare direttamente con il regista, di seguire l'evoluzione del montaggio e della fotografia potendo rapportarsi unicamente al prodotto finito. Per questo bisogna render merito ancor maggiore a Taralli, che non solo segue con disinvoltura le regole del gioco, giostrandosi fra temi ricorrenti, variazioni, raccordi, pezzi di carattere, ma lo fa creando una solida narrazione sonora. La scrittura, d'altra parte, è sempre di qualità, solidamente ancorata nelle radici del 900 storico e capace, dunque, di toccare allusioni, riferimenti e rimandi senza arenarsi nelle secche del citazionismo. Non sottolinea troppo alcuni possibili spunti ironici: la sua è una precisa scelta interpretativa d'adesione alla poetica pessimista di Stroheim, il taglio conferito all'intreccio di truffe, inganni e delitti è denso, cupo, inesorabile, la ricchezza timbrica a tinte fosche si sposa benissimo con la grandiosità dei mezzi tecnici ed espressivi del regista, al suo anelito ad un cinema grande prima che il sonoro lo renda, inevitabilmente, ai suoi occhi, piccolo.
Folto pubblico e bel successo. Non era facile, anche perché, bisogna ammetterlo, se Foolish Wives (bruttina la vecchia traduzione italiana che travisa il valore di Wive come Signora, quindi riferimento in primis a Mrs Hugues, ma accostabile con diverse sfumature, anche alle nubili false gran dame Olga e Vera e, perché, no, alle umili sedotte Maruska, cameriera, e Marietta, minorata mentale) è piatto prelibato per cinefili e storici del cinema, nel panorama del cinema muto non è forse, di per sé, il titolo di maggior impatto su una vasta platea contemporanea.