L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Evangelium secundum Delbono

 di Alberto Spano

Intenso e spiazzante lo spettacolo, un'opera non opera, proposto da Pippo Delbono secondo titolo della stagione lirica del Comunale di Bologna.

BOLOGNA, 28 febbraio 2016 – Si apre e si chiude sulle note del primo Lied dello schumanniano Dichterliebe (L'amore del poeta) Vangelo. Opera contemporanea di Pippo Delbono, secondo titolo del 2016 al Teatro Comunale di Bologna, una produzione di Emilia Romagna Teatro col Teatro Nazionale di Zagabria in coproduzione coi teatri di Losanna e Liegi. Quattro recite tutte affollate di un'opera non-opera che ha emozionato e commosso i fedelissimi del teatro di Pippo Delbono ma anche i normali frequentatori del Comunale.

È lo stesso regista e attore ligure a raccontarne la genesi nel corso dello spettacolo: prima di morire la madre, fervente cattolica, chiede al regista: “Perché, Pippo, non fai uno spettacolo sul Vangelo? Così dai un messaggio d'amore. Ce n'è così tanto bisogno di questi tempi”. Un consiglio che diventa quasi un imperativo per lui. Col piccolo problema che da almeno trent'anni l'attore è di fede buddista. Che fare? Ciò che a tutta prima pare un compito ingrato, presto si trasforma in un impellente bisogno di mettere in scena ciò che lui sente più attuale del Vangelo di Cristo, ponendosi semplici domande: dove cercare il Cristo oggi, dove trovare il Vangelo. Ovviamente la risposta è fra gli ultimi, il vangelo è degli ultimi. Chi segue da anni il teatro di Delbono trova assoluta conferma della sua poetica, di volta in volta un pugno e una carezza. Ecco dunque in scena gli “ultimi” di Pippo Delbono, i suoi attori prediletti, quei rappresentanti di varie umanità quasi sempre protagonisti muti dei suoi crudi spettacoli. Ecco Bobò, microcefalo sordomuto ottantenne, un attore-mimo sottratto al manicomio dallo sguardo tenerissimo, ecco Gianluca, il ragazzo down sovrappeso nella culla fantozziana, ecco un Cristo anoressico che si fa giudicare da un gruppo di incapucciati del Ku Klux Klan, ecco la procace, torva e moderna Maddalena che sembra arrivare dritta dal raccordo autostradale e alla quale nessuno si sente in grado di scagliare la prima pietra, citazioni alate da Sant'Agostino e Pier Paolo Pasolini, ecco una potentissima scena d'assieme sul processo a Gesù costruita provocatoriamente ma efficacemente sul finale del Don Giovanni mozartiano, citazioni dai Led Zeppelin, Frank Zappa, Alan Sorrenti (“Tu sei l'unica donna per me”) e Jesus Christ Superstar. Il tutto in una parossistica emulsione musical-drammaturgica in cui non c'è effettivamente una trama, non c'è un copione, scene e situazioni paiono assemblarsi casualmente in un enorme calambour di musica, danza e testo.

Pare di ritrovarsi improvvisamente in un circo impazzito in cui si aggira un intenso Pippo Delbono in polo nera, di volta in volta demiurgo, domatore, burattinaio, presentatore, predicatore, profeta dalla voce stentorea e il fiato sempre corto, pronto a correre su e giù per il palcoscenico, in passi di danza nevrotici, corsette da ratto impazzito, gesticolazioni da tarantolato. “Io non credo in Dio, io non credo in Dio” urla all'inizio Delbono, mentre in buca l'Orchestra del Comunale esegue una tersa partitura del napoletano Enzo Avitabile, dalla tessitura bella e un po' funerea, sul podio l'efficace Gabriele Di Iorio.

Il Vangelo di Delbono è un coacervo di richiami e di rimandi al Cristo degli ultimi, alle parabole più toccanti. Lui sempre in mezzo, sul palco o in platea col microfono in mano. Lo spettacolo è un patchwork apparentemente sconclusionato, senza capo né coda, che fino a circa metà non decolla. Ma quando un filo di noia pare prendere il sopravvento, ecco la zampatona registica di Delbono avvolgerci in un avviluppo drammatico che ci prende alla gola e non lascia più scampo. Il caos, l'ammasso di citazioni, di video, di recitazioni di testi poetici di attori nella propria lingua (il croato) d'un tratto di fissa sul dramma dei migranti nelle acque della libertà con la testimonianza spiazzante di Safi Zakria, un vero rifugiato scampato alla morte. Chiusura rasserenante con i passi per Delbono “più belli e dolci” di tutto il Vangelo: “Se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto e molta vita”. E poi: “Se non diventerete come i bambini, non entrerete nel regno dei cieli”.

foto Luca del Pia


 

 

 
 
 

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