L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Sassonia, atto IV: Dioniso e Apollo

di Roberta Pedrotti

L'inaugurazione del Dresdner Musikfestspiele affianca Haydn e Mahler con la NHK Symphony Orchestra diretta da Fabio Luisi e la presenza solistica, rispettivamente, di Jan Vogler con il suono rigoglioso del suo violoncello Stradivari e dell'evanescente soprano Yiang Fang. In una linea di continuità si confrontano diversi mondi sonori.

DRESDA, 18 maggio 2025 - Primavera, nel capoluogo sassone, significa anche Dresdner Musikfestspiele, l'ormai decennale rassegna (la prima edizione è del 1978) guidata dal violoncellista Jan Vogler.

Dresdner Musikfestspiele significa portare in una città con un'intensa e gloriosa tradizione musicale autoctona una stimolante ventata di presenze internazionali, grandi orchestre – oltre a solisti e direttori – che rendono ancor più vario e intellettualmente fecondo il regno della Staatskapelle e della Philharmonie. Significa anche ricerca e, qui dove la presenza di Wagner è quasi tangibile nella sua lunga storia, si è avviato un progetto di esecuzione secondo principi storicamente informati, per il quale Vogler non manca di citare con ammirazione come punto di riferimento l'idea di recupero stilistico della Rossini Renaissance a Pesaro.

La serata inaugurale è anche l'occasione per scambiare qualche parola con il sindaco Dirk Hilbert, il quale tiene a precisare l'importanza dell'investimento nella cultura e la volontà di non penalizzarla nei bilanci comunali, tagliando piuttosto su altri fronti, ricordando che purtroppo l'inflazione colpisca anche là dove si mantengano gli stanziamenti invariati. Che le difficoltà economiche e sociali possano generare mostri e che le arti siano il miglior antidoto, sia per corroborare le finanze sia per formare cittadini migliori, è fuor di dubbio e in questi tempi così rigidamente polarizzati e offuscati da ombre nere non si può che insistere nel fare la cosa giusta, sperando possa fiorire e dar frutti.

Già il semplice ascolto ravvicinato di grandi orchestre provenienti da paesi lontani e diversi non è solo una vetrina di buone esecuzioni, men che mai una gara. È, semmai, un modo per osservare la pluralità e le sfumature dell'esistenza attraverso la musica. Lo dimostra già il fatto che poche ore dopo aver applaudito Sol Gabetta in Šostakovič alla Semperoper, ora per l'apertura del Festival siamo al Kulturpalast per Vogler in Haydn. Quanto era lirico e dolce il Guadagnini dell'argentina, lo Stradivari del tedesco è denso e cremoso, come se dopo la vaniglia e gli agrumi arrivassero cioccolata e marron glacé. Fuor di metafora, il Concerto per violoncello in do maggiore di Haydn si espande naturalmente nella ricchezza d'armonici che il solista libera dallo strumento senza prove di forza, ostentazioni o arbitrii stilistici, semmai con pizzico di entusiasta e condivisibile edonismo. Può capitare che un certo qual empito dionisiaco vada a discapito di un perfetto controllo, ma non si perde mai l'equilibrio fra la bellezza della cavata (apprezzata anche nella compunta Sarabanda dalla terza Suite di Bach offerta come bis) e la chiarezza apollinea della giapponese NHK Symphony Orchestra sotto la guida di Fabio Luisi.

Questi passa poi con disinvoltura a una Quarta di Mahler pure segnata da una cristallina serenità, creando quasi, nel suono e nell'articolazione, un ponte classicista con Haydn, una linea di continuità che privilegia luce e forma fra i poli opposti delle voci soliste. Il violoncello di Vogler, infatti, richiama all'aspetto più sensuale, libertino dell'illuminismo e fa balenare un incipiente cambiamento; viceversa la scelta del soprano Ying Fang per il quarto movimento di Mahler ci porta in una dimensione straniata, infantile, in un canto sottile, quasi diafano, che sfiora appena la note gravi e che la NHK di Luisi accarezza dimostrando un'infallibile dominio dinamico.

Da Dioniso ad Apollo, dal godimento sonoro al dissolversi del canto, il meccanismo non si inceppa mai e mette in evidenza tutte le virtù tecniche e la compattezza dell'orchestra, la serena sicurezza del podio, le peculiarità di uno strumento che si fa voce protagonista e di una voce che si fa strumento astratto.

Alla fine il pubblico del Kulturpalast esplode in un'ovazione fragorosa per quest'altro tassello nel mosaico delle possibilità del far musica. Non è detto che un panorama internazionale globalizzato equivalga a omologazione e appiattimento, anzi, può essere il contrario: tutto dipende da come agiscono le forze in campo, le personalità strutturate delle grandi orchestre, quelle dei direttori (quando non sono solo orpelli da copertina che mettono in moto dei bolidi) e dei solisti. Allora si ragiona su ciò che hanno da dire e si festeggia.

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