L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Mirandolina alla fenice di venezia

Mirandolina a casa di Goldoni

 di Giovanni Chiodi

Riuscitissima ripresa veneziana dell'opera di Bohuslav Martinu tratta da Goldoni. Per la partitura, gustasa e raffinata, il successo è garantito dalla concertazione di John Axelrod e dalla regia brillantissima di Gianmaria Aliverta, nonché da un cast - tutto italiano - assai ben assortito.

VENEZIA, 9 luglio 2016 - Molti erano i motivi di curiosità che spingevano ad assistere alla nuova produzione veneziana di Mirandolina di Bohuslav Martinu. Il titolo è di rara esecuzione, pur essendo notevolissimo e dimostrando, alla prova dei fatti, il cospicuo talento teatrale e musicale del compositore ceco. C’è poi un legame forte con Venezia, perché il testo prende spunto dalla Locandiera del veneziano Goldoni e il musicista la scrisse per onorare una borsa di studio ricevuta dalla Fondazione Guggenheim. L’opera ebbe però la sua prima esecuzione a Praga nel 1959. Il teatro ha quindi voluto recuperarla, inserendola nella propria vocazione alla riscoperta di titoli desueti e farne levento di punta della rassegna Estate Fenice.

L’operazione è riuscita perfettamente, grazie a una felice combinazione di scelte: una compagnia affiatata di voci tutte italiane, la concertazione di John Axelrod e la regia brillantissima di Gianmaria Aliverta, al quale si deve il merito di aver ideato uno spettacolo dal ritmo comico travolgente, che ha valorizzato un testo che, sulla carta, imita la leggerezza dell’archetipo goldoniano senza però averne l’inimitabile arguzia e profondità. In compenso, l’orchestrazione di Martinu, assolutamente predominante rispetto alle voci, è sempre scintillante, ispirata, ricca di invenzioni che si intrecciano con una linea di canto mutevole, dove il canto di conversazione si alterna al declamato, al parlato e a squarci melodici, in una fusione che può trovare risalto solo grazie a una regia che sappia fare della vera, autentica commedia senza scadere nella farsa o nel semplicismo. Cosa che si può fare solo studiando attentamente la psicologia e le relazioni dei personaggi.

Nel caso di specie, l’idea vincente è stata di collocare l’azione non in una locanda del Settecento, ma in un moderno albergo, i cui ospiti si incontrano quasi sempre in accappatoio o in costume prevalentemente nella zona spa, tra lettini per i massaggi, sdraio per il relax, sauna e spogliatoi, fino ad arrivare a una vasca idromassaggio e infine al locale lavanderia e stireria. Va da sé che il contesto umano è vario e la regia non si lascia sfuggire l’occasione per ridere delle vanità altrui, sfruttando l’attualità: il conte dAlbafiorita è trasformato in un vanitoso coatto arricchito che si esprime in dialetto romanesco, il marchese di Forlimpopoli in un nobile spiantato (ma non meno vanitoso) dalla parlata milanese, il cavaliere di Ripafratta in un uomo affascinante, anche se in fondo un poambiguo e inibito. Tutto finirebbe lì, naturalmente, se gli incontri-scontri tra i protagonisti non fossero sostenuti anche da una recitazione dinamicissima. Tra le scene più memorabili, quella del duetto del primo atto tra Mirandolina e Fabrizio, che battibeccano tra loro mentre sono intenti a massaggiare due poveri malcapitati che ne escono con le ossa ovviamente indolenzite o la scena divertentissima del duetto della seduzione tra Mirandolina e il cavaliere, che avviene tutta in una vasca idromassaggio piena di schiuma, dalla quale a un certo punto esce anche il marchese. Ma tutti i tempi comici di questo spettacolo (si potrebbero fare tanti altri esempi) erano organizzati come un infallibile congegno di precisione che ha contribuito in modo fondamentale al successo dell’operazione.

In più, c’è da segnalare che la compagnia di canto ha mostrato non solo padronanza scenica assoluta, ma disinvoltura e preparazione nell’aderire ad una scrittura vocale che è tra le più ostiche da eseguire.

Su tutti emergono l’eccellente cavaliere di Omar Montanari, inappuntabile per eleganza, omogeneità, varietà di colori e dominio tecnico, e l’ottima Mirandolina di Silvia Frigato, spigliata nel fraseggio e musicalissima, malgrado qualche fissità negli acuti e qualche carenza di volume che però nulla tolgono a una prestazione di livello.

Notevolissimo anche Bruno Taddia, per la sua caratterizzazione ironica del marchese.

Discorso purtroppo diverso per il conte di Marcello Nardis: tanto è valido e coinvolgente sulla scena, quanto censurabile vocalmente.

Molto bene gli altri: Leonardo Cortellazzi, Giulia Della Peruta, Laura Verdecchia, Christian Collia.

La concertazione di John Axelrod ha ottenuto complessivamente un buon equilibrio da tutte le parti dell’orchestra impegnate nella resa della minuta scrittura di Martinu, che dovrebbe scorrere sempre leggera e trasparente.     

 


 

 

 
 
 

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