L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Violeta Urmana All'Arena di verona

Salva il Trovator

  di Andrea R. G. Pedrotti

Rinnovato il cast maschile per Il trovatore all'Arena di Verona con i debutti nell'anfiteatro del tenore turco Murat Karahan e del baritono scaligero Simone Piazzola. La Leonora di Hui He mostra ancora qualche segno di stanchezza vocale, mentre cresce l'apprezzamento per l'eccellente Azucena di Violeta Urmana, insieme con Daniel Oren sul podio il principale punto di forza dello spettacolo.

VERONA 26 agosto 2016 - Come in occasione della Turandot della sera precedente, anche per l’appuntamento areniano del 26 agosto si è doverosamente chiesto un minuto di silenzio per le vittime del terremoto del centro Italia. L’Arena, di per sé, offre uno spettacolo bellissimo, specialmente in occasioni come questa, salutate da un anfiteatro quasi interamente esaurito, con a numerose presenze di nutriti gruppi organizzati, provenienti dall’Italia e dall’estero.

A differenza della prima rappresentazione del 6 agosto [leggi], lo spettacolo risulta più rodato, sebbene due fra i protagonisti principali (il Conte di Luna e Manrico) mutassero, rispetto alla recita di inizio mese.

La regia di Zeffirelli insiste sulle tinte scure del blu e del nero, inserite in un impianto scenico ampiamente sovraccarico, come nello stile del maestro fiorentino. Gli istanti di grande impatto visivo, quasi cinematografico, sono concentrati fra il finale del secondo atto, con l’apertura di una grande chiesa dorata nel centro e la battaglia centrale, e il principio del terzo, quando dei guerrieri si prodigano in una danza che sa di maniera, ai limiti del caricaturale, durante il coro “Or co' dadi, ma fra poco”.

Per il resto di movimenti registici c’è ben poco e restiamo dell’opinione che sarebbe opportuno un riadattamento della produzione a un gusto decisamente più consono alla modernità. Questo tenendo ben presente l’impossibilità di mettere in cantiere una nuova produzione, viste le difficoltà economiche in cui versa la fondazione Arena.

Protagonista femminile era, ancora una volta, il soprano cinese Hui He: la sua prestazione è senz’ombra di dubbio migliore rispetto alla prima, anche se permangono numerose problematiche, si spera dovute alla stanchezza. I fiati sono ancora molto corti, ma meglio controllati e possiamo annoverare solo una palese rottura del suono nella zona di passaggio durante la cavatina “Tacea la notte placida”. Il soprano migliora nel corso della serata, interpretando un buon finale del secondo atto. L’aria del quarto, “D'amor sull'ali rosee”, è eseguita con gran prudenza, alcune colorature non vengono onorate e il direttore viene in soccorso alla cantante in ogni sospiro. Purtroppo questo non le risparmia diffuse contestazioni, completamente sopite nelle uscite finali.

In occasione del suo debutto areniano, Simone Piazzola viene salutato con grande entusiasmo dal pubblico della sua città. Rispetto a precedenti prestazioni la sua voce appare meno squillante e sonora e dal volume piuttosto esile. L’aria “Il balen del suo sorriso” è eseguita con grandissimo gusto, bello stile e appropriata gestione dei fiati. In quest’occasione l’orchestra ha mantenuto un volume particolarmente discreto, per non minare l’equilibrio fra buca e palcoscenico, con il baritono posto in proscenio. Piazzola, invece, è risultato meno incisivo nel duetto del quarto atto “Mira, di acerbe lagrime”. Il veronese si è dimostrato attore egregio, abile nello sfruttare gli spazi a sua disposizione, anche considerando che questa era l’unica recita che lo vedeva impegnato.

Manrico era affidato al tenore Murat Karahan, che dimostra una buona sicurezza nell’affrontare un ruolo ormai totemico come quello del menestrello spagnolo. Inizialmente appare poco disinvolto (ricordiamoci che era al debutto in Arena), ma dalla Pira in poi ha acquisito notevole scioltezza. Talvolta l’emissione risulta acerba, ma lo squillo è sicuro e il do finale della cabaletta di “Ah! sì, ben mio, coll'essere”, è ben tenuto su tutta la parola “All'armi”, scatenando un fragoroso applauso e numerose richieste di bis, non accolte.

Migliore in assoluto è stata l’Azucena di un’eccellente Violeta Urmana, ottima per fraseggio e intelligente partecipazione nella canzone “Stride la vampa!” e nel successivo racconto “Condotta ell'era in ceppi”. Grande eleganza anche nel finale, per un’artista che si conferma come una delle migliori interpreti del ruolo. Merito che le viene, giustamente, riconosciuto dal pubblico presente.

Non convince ancora appieno il Ferrando di Sergey Artamonov, discreto nel racconto “Di due figli vivea padre beato”, meno sicuro nella successiva stretta.

Completavano il cast: Elena Borin (Ines), Antonello Ceron (Ruiz), Victor Garcia Sierra (Un vecchio zingaro) e Cristiano Olivieri (Un messo).

Bene il corpo di ballo nell’esecuzione delle danze riaperte per questa edizione ed eseguite con gran professionalità dalla compagine areniana. Prima ballerina era la brava Annalisa Bardo.

Eccellente, ancora una volta la concertazione di Daniel Oren, che sembra trasformare coro e orchestra rispetto a quanto avevamo ascoltato solo ventiquattro ore prima [leggi]. Misurato, preciso e deciso nel gesto, si conferma autentica sicurezza per l’Arena di Verona e principale artefice della buona riuscita della serata. Grazie alla direzione di Oren, anche il coro (in questa stagione dal rendimento alterno), torna ai fasti di un tempo, palesando un colore rotondo e eccellente intensità espressiva.

La coreografia era di El Camborio (al secolo Elvezio Brancaleoni Cavallaro) e ripresa da Lucia Real, i costumi (brutti ed eccessivamente caricati) di Raimonda Gaetani, il maestro d’armi Renzo Musumeci Greco, il maestro del coro Vito Lombardi e il coordinatore del corpo di ballo Gaetano Petrosino.

foto Ennevi


 

 

 
 
 

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