L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Tiziana Fabbricini, La rivale

La ribalta delle antiche nemiche 

 di Alberto Spano

Un pubblico numeroso e divertito saluta festoso il debutto della Rivale, l'opera di Marco Taralli su libretto di Alberto Mattioli ispirata al racconto di Eric-Emmanuel Schmitt.

NOVARA, 1 dicembre 2016 – Nel 2007, a trent'anni dalla morte di Maria Callas, conobbe un certo successo La rivale, l'allora nuovo romanzo-racconto di Eric-Emmanuel Schmitt in cui il commediografo-star francese, autore del bestseller Monsieur Ibrahin e i fiori del Corano, si diverte a rievocare la leggenda della Divina attraverso la visuale di una delle sue “rivali” sopravvissute, tal Carmela Babaldi (ovvio il riferimento a Renata Tebaldi), una ex diva del palcoscenico che, dopo venticinque anni di auto esilio argentino, torna alla Scala per rivivere i suoi anni dorati. Schmitt è magistrale nel prendere alla berlina la povera Babaldi, tipica cantante in disarmo, e il racconto procede spedito con quel formidabile mix di candore e fantasia, ironia e rimpianto, verità e sogno, frivolezza e assurdità che tanto fanno amare la sua limpida prosa. Il tutto condito da una buona dose di gusto agrodolce, un quid particolare che aleggia fra terra e nuvole. Che è poi il vero segreto di Schmitt, al suo apice nell'indimenticabile personaggio di Odette Toulemonde del 2006.

Il lungo racconto callasiano sembra perfetto per costruirci sopra un'opera lirica che, giocoforza, diventa una specie di esercizio di stile, quasi un'opera sull'opera. Ecco arrivarci dopo nove anni il compositore aquilano Marco Taralli sul bel libretto firmato dal giornalista e critico musicale Alberto Mattioli. È il frutto di una commissione specifica del Teatro Coccia di Novara che da alcuni anni, meritoriamente, mette in scena un'opera lirica nuova. Debutto assoluto il primo dicembre scorso, con notevole (e non scontato) gradimento del pubblico. Non è cosa di tutti i giorni vedere un teatro pieno di gente festante e calorosa per un'opera d'oggi. Merito certamente del lavoro di preparazione alla produzione, con incontri di approfondimento nelle settimane precedenti: opera di straordinario valore quest'ultima, soprattutto in vista della formazione di un nuovo pubblico.

Ma merito certamente anche dell'ottima intesa fra librettista e musicista, anche questo dettaglio non scontato. Qualche consistente libertà rispetto al racconto originale non ha fatto rimpiangere l'idea schmittiana di totale innamoramento verso il personaggio della diva al tramonto, che qui si chiama Carmela Astolfi, e del tentacolare mondo ostile che le si muove attorno, in cui tutti, più o meno consapevolmente, le sbattono in faccia il rimpianto per Maria Callas, la divina, la più grande. Carmela ne è letteralmente travolta, vittima del genio incolpevole della grande “rivale”. È l'ennesima variazione sul tema del “perdente” (vedi Amadeus di Schaffer o il Soccombente di Bernhard), qui svolta con buffa cattiveria. L'ossessione dell'altra travolge a tal punto la povera Astolfi che finalmente incontrato un suo fervente ammiratore, anche da lui l'ex diva deve subire l'estremo oltraggio dell'impietoso confronto, fino al punto di soccomberne per davvero.

L'opera al primo ascolto risulta molto ben scritta, con notevoli finezze di orchestrazione e di scelte timbriche, laddove il racconto si fa più surreale o comico, come l'episodio della squinternata commessa del bookoffice della Scala dove ovviamente vanno a ruba i dischi della Callas e non quelli della rivale. Persino la rockettara svampita conosce solo la Callas. L'opera è dunque disseminata di gustose scenette in cui nessuno ricorda la protagonista ma tutti si prostrano per la divina Maria.

Il linguaggio di Taralli, improntato a un sano neo-novecentismo storico, si muove con agio fra deliziosi puccinismi ed echi britteniani con sapienti sottolineature parodistiche, come nell'aria del soprano di coloratura (l'ottima Giulia Perusi). Azzeccatissimo il personaggio del melomane Antonio (l'eccellente basso Daniele Cusari) che “adora le vecchie primedonne”, si emoziona nel trovarsi al cospetto dell'Astolfi, la adula per benino, la riempie di nozioni e luoghi comuni (“Io voglio la Traviata come la voleva Verdi” e lei ribatte felice “E il Barbiere come voleva Rossini”), ma anche lui al momento clou di un brindisi in suo onore se ne esce con “la Callas era la più grande”, fino al definitivo scempio di osare di invitarla a presiedere il Premio Maria Callas. Troppo per la poveretta, che stavolta ci resta secca. Segue funerale con bara (vera) in primo piano. E anche da morta l'estremo oltraggio, ossia il genio comico di Schmitt/Mattioli: sarà della Callas e non sua, la registrazione del Vissi d'arte ad accompagnare la cerimonia funebre, su esplicita richiesta dell'officiante.

Personaggi minori si aggirano nell'opera con interpreti tutti adeguati: Don Bartolo e Salvatore, vecchia fiamma di Carmela (il tenore Giulio Pelligra), una turista e la commessa anziana (il soprano Eleonora Boaretto), la badante Annina (il contralto Simona Di Capua) e una maschera della Scala (il baritono Daniele Piscopo).

Su tutto e tutti svetta però lei, Carmela Astolfi, alias il soprano Tiziana Fabbricini, qui in una delle prove sicuramente più mature e convincenti della sua carriera. Appare completa la sua identificazione nel personaggio, che le consente di delineare una rivale dolente e fiera, ma anche sconsolata e ridicola. Una perdente assoluta che, però, trasformatasi fantasma nell'ultima scena, non smette di pensare della rivale che “tanto non dura!..”, con relativo segno dell'ombrello finale.

Agile, garbata, funzionale la regia di Manu Lalli con la scena ideata da Daniele Leone. Ottimi i movimenti scenici con gli allievi attori della locale Scuola del Teatro Musicale, tutti assai ben istruiti e spigliati. Disciplinata ed efficace l'Orchestra Talenti Musicali sotto la puntuale bacchetta di Matteo Beltrami, che dona alla partitura più di un momento di brillantezza e splendore strumentale.

Opera e allestimento piacciono al primo ascolto, il pubblico si diverte e ride. È un piccolo miracolo contemporaneo che merita sicuramente la ripresa in altri teatri.

foto Mario Finotti


 

 

 
 
 

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