L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

La danza che canta

 di Francesco Lora

Al Festival di Musica antica di Innsbruck, partiture di Clérambault, Rameau e Rebel sono alla base di uno spettacolo che vale da depurativa apoteosi del bello. Artefici ne sono la regista Parys, lo scenografo Fontaine e il costumista Blanchot, il corpo di ballo Les Cavatines nonché il sempre forbito Rousset alla testa dei suoi Talens Lyriques.

INNSBRUCK, 21 agosto 2017 – Il teatro musicale fatto di versi, di canto e di gesto. Ma anche di danza. Quello francese non sapeva farne a meno: la integrava in maniera idiomatica nel testo operistico e soprassedeva piuttosto sulla parallela scuola di canto, non paragonabile a quella italiana. Un’ideale prolusione al ruolo della danza nella civiltà teatrale parigina, e ai suoi rapporti con la poesia e la musica, è lo spettacolo creato lo scorso anno dal Festival di Musica di Potsdam-Sanssouci in coproduzione col Centro di Musica barocca di Versailles, testé ripreso al Festival di Musica antica di Innsbruck, nel Tiroler Landestheater, il 20 e 21 agosto scorsi. Lavori di generi, anni e autori differenti compongono il suo programma musicale, teatrale e coreografico. Esso sta in equilibrio proprio grazie alla studiata eterogeneità e compenetrazione delle parti: l’Ouverture che apre l’intero discorso proviene dalle Fêtes d’Hébé ou Les Talens lyriques, ibrido opéra-ballet di Jean-Philippe Rameau (1739); La Muse de l’Opéra ou Les Caractères lyriques è una grande cantata scenica a voce sola di Louis-Nicolas Clérambault (1716); Les Caractères de la Danse, di Jean-Féry Rebel, è una fantaisie strumentale consistente in suite di danze (1715); il Pygmalion, infine, basato sul mito dello scultore che ama una statua poi animata dalla divinità clemente, è un corposo acte de ballet dovuto anch’esso a Rameau (1748). I titoli stessi rinviano al dibattito accademico intorno ai caratteri delle arti performative; indi i lavori rivelano nel testo una natura anfibia, che eccede l’etichetta di genere loro apposta. Riunirli insieme va a costituire, in ultima istanza, una piccola enciclopedia della retorica dello spettacolo, garantita nientemeno che dall’Età dei Lumi.

A Innsbruck ciò ha significato soprattutto una depurativa apoteosi del bello, così di rado interpellato sulle scene austro-tedesche, dedite piuttosto al dissacrante, al grottesco, al provocatorio. Natalie van Parys, regista e coreografa, la sua collaboratrice Virginie Mirbeau, Hervé Gary come light designer, lo scenografo Antoine Fontaine e il costumista Alain Blanchot sono d’altra parte fini intenditori della poetica settecentesca, come per esempio dimostrato nell’Hyppolite et Aricie del 2009 per il Capitole di Tolosa. Sanno riprendere con zelo archeologico bozzetti e figurini antichi per strutturare in Clérambault un teatro delle meraviglie, fatto non altro che di fondali dipinti, trasparenze, increspature di tessuti; sanno ridurre tutto ad astrazione visiva in Rebel, dove il corpo di ballo Les Cavatines incanta passando dalla danza di tacco a un linguaggio tanto sciolto da eludere i riferimenti storici; sanno contaminare l’iconografia settecentesca con reminiscenze classiche e intrusioni contemporanee, scoprendo un lato ironico che tuttavia non rigetta l’eleganza, l’armonia, la sudditanza dell’invenzione alle ragioni del teatro e della musica.

La loro controparte sono Christophe Rousset e Les Talens Lyriques. Il primo si riconferma come il più forbito musicista-filologo oggi vantato dal vivaio francese: è sempre lucido, analitico, aristocratico, agile inseguitore del gesto sottile e pungente, maestro della grammatica d’ornamentazione, immune agli abusi testuali cui indulgono i colleghi. I secondi sono la sua orchestra con strumenti originali, capolavoro di equilibrata leggerezza, rarefazione, frivolezza à la Fragonard dove serve, compagine capace di contagiare in tutto questo bene le voci del coro Novo Canto. Di stilizzata eleganza più che di peculiare caratterizzazione la compagnia canora, nei soprani Chantal Santon-Jeffery (titolare in Clérambault, Céphise nel Pygmalion), Samantha Louis-Jean e Jodie Devos (la Statua e l’Amore, sempre in Rameau). Ad Anders J. Dahlin tocca la parte protagonistica nell’acte de ballet, con la sua acutissima tessitura da haute-contre e con l’agilissima aria «Règne, Amour, fais briller tes flammes», esemplata sullo stile italiano e troppo esigente in fatto di tecnica: da lui come forse – va detto – da tutti i cantanti attivi nella Francia di metà Settecento.

foto © Innsbrucker Festwochen / Rupert Larl


 

 

 
 
 

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