Verismo in Irlanda
di Gina Guandalini
Nella simpatica atmosfera della cittadina irlandese, torna sulle scene l'opera di Franco Alfano in una produzione convincente sotto più punti di vista.
WEXFORD, 5 novembre 2017 - Si deve lasciare Dublino – il suo enorme fascino non sarà forse, almeno in parte, una geniale creazione di James Joyce? – e affrontare tre ore di autobus sprovvisto di toeletta. Ma raggiunta Wexford ci si ritrova ogni volta in una cittadina di mare simpaticissima, dove si respira un’aria di cristallina pulizia, dove si mangiano cibi squisiti al pub e al ristorante, dove la gente è cortesissima e chiaramente abituata a un pubblico internazionale. Dove si parla un inglese tipico ma elegante e chiaro, e dove infine sorge un moderno e raffinato teatrino dell’opera che nell’intervallo lascia a disposizione degli spettatori bottiglie di vino di tutti i tipi. Spettatori tutti in tenuta da gran sera, abiti lunghi e cravattino, anche per le diurne.
Quest’anno la scelta vincente del direttore artistico David Agler è caduta su Risurrezione di Franco Alfano. Nato a Posillipo (ma vissuto a Parigi e con monumento a Sanremo), Alfano è arcinoto per avere completato la Turandot, completamento oggi spesso ripresentato in teatro; per decenni ha sofferto dell’inevitabile onnipresenza di Puccini e degli altri maestri del verismo. Ha composto nove opere, fra cui Risurrezione (con la I, non con la E), presentata a Torino nel 1904. Gli procurò il primo vero successo della sua carriera. Il ruolo della protagonista Katiuscia Maslova, sedotta e abbandonata dal principe Dimitri Nekljudoff, divenuta prostituta per sopravvivere e infine ingiustamente incarcerata, fu nel repertorio della scozzese Mary Garden e della nostra Olivero.
Il romanzo di Tolstoj, uscito nel 1899, era una esposizione dei temi evangelici e civili del grande scrittore. La Russia dello Zar, basata sull’arretratezza, sul dispotismo, sulla repressione feroce dei devianti, era palesemente vicina al crollo e Voskriesienie (il titolo originale) questa situazione disastrosa della civiltà pensale russa la condanna e la profetizza. Trasformarlo in opera sembrerebbe come trarre un melodramma da Dei delitti e delle pene di Cesare Beccaria; ma nel 1903 a Parigi andò in scena una riduzione teatrale del romanzo ad opera del drammaturgo di successo Henri Bataille. In scena, l’interesse si focalizzava sulla storia di seduzione e poi di amore di Katiuscia e Nekljudov. Come nella trasposizione dal Faust di Goethe a quello di Gounod, la forte dimensione filosofica cede il posto ai sentimenti. Camillo Antona Traversi e Cesare Hanau, amici di Alfano, lavorarono a un libretto italiano in quattro atti e il musicista la compose in cinque mesi.
Nel trattamento della storia spariscono logicamente tutte le teorizzazioni di Tolstoj sul crimine, sulla sua prevenzione e punizione, sull’assenza del Vangelo da una società che si proclamava ossessivamente cristiana ortodossa. Ma spariscono anche momenti e fasi essenziali della storia di Natasha e Nekljudov. Forse la pagina più intensa è la scena della stazione, brevissima nel romanzo e basata sull’assoluta solitudine della povera ragazza; qui c’è un affollarsi di personaggi - la regia ne ha addirittura aggiunto un altro - e la trasformazione in dialogo con una pretesa “confidente”. Nella seconda parte non ci sono più svariate figure di prigionieri politici, alcuni dei quali sono donne.
E la musica? Non resisto all’idea di citare il giudizio del critico inglese Rupert Christiansen su questo spettacolo di Wexford, ma senza tradurlo: "the musical text of Risurrezione is unalloyed sludge: turgid and torpid, glutinous in texture and garishly overcoloured… No amount of talent or effort could make me warm to such coarse harmonies and dreary melody".
Ma in questa applauditissima opera il pubblico irlandese (pochi gli italiani in sala) ha trovato ciò che a ogni pubblico piace sempre: un’orchestra ricca e roboante, capace di piegarsi al lirismo e alla dolcezza; una teatralità sempre efficace; due parti protagonistiche che offrono agli interpreti la possibilità di lanciarsi nel grido e nello smorzare in zona acuta con bell’effetto. La “russità”, infine, è servita in maniera più che sufficiente nei cori e nell’uso delle campane. E già si è scritto che Risurrezione di Alfano è perfetta per la stagione estiva londinese di Holland Park.
Mancano le melodie che uno si porta a casa nell’orecchio e nel cuore; ma il giovane direttore torinese Francesco Cilluffo, alla guida della Wexford Orchestra ha fatto di tutto per rendere passionale l’esecuzione e ed evidenziarne la teatralità – come già due anni fa con il Guglielmo Ratcliff di Mascagni qui a Wexford [leggi la recensione del CD].
La messa in scena di Rosetta Cucchi è intelligentemente tradizionale ma con tocchi poco comprensibili. Il quadro del Demone seduto di Mikhail Vrubel, che anticipa Kokoschka, domina lo sfondo del primo atto – ma perché? Dobbiamo per forza assistere alla scena d’amore tra i due protagonisti (magistralmente accennata in Tolstoj) ed ecco che Katiuscia, timida e innocente, qui si rotola sul tappeto senza inibizioni. Anni dopo rivelerà a Nekljudoff di avere sofferto molto vedendolo alla stazione accanto a un’altra donna; ma il pubblico questa donna non ha avuto il tempo di scorgerla. Non del tutto chiara era poi l’ambientazione carceraria (qui c’è un laboratorio di cucito) e siberiana, vista anche la difficoltà di identificare i personaggi imbacuccati. Graziosa invece l’idea di far vagare per tutta l’opera una bambina con le treccine, simbolo evidente dell’innocenza perduta e poi ritrovata della protagonista; ben trovato il ricorso a un campo di grano folto e dorato che cala sulla scena alla fine, lungo il quale Katiuscia e il suo alter ego infantile corrono felici.
La francese Anne Sophie Duprels, di recente applaudita protagonista di Zazà di Leoncavallo proprio a Holland Park, porta al personaggio tolstojano di Katjuscia una voce di lirico spinto pastosa e resistente e si immerge nel ruolo con grande coinvolgimento. Recita poi con vera arte, e trascorre dalla fanciulla innocente alla prostituta e poi alla galeotta indurita con autentica efficacia. Il tenore australiano-austriaco Gerard Schneider è probabilmente più leggero degli interpreti vocali di un secolo fa, e la sua pronuncia italiana avrebbe bisogno di perfezionamento; ma risolve il difficile personaggio del principe penitente con buona tecnica e disinvoltura scenica. Fra i cointerpreti ci è piaciuto di più il mezzosoprano Romina Tomasoni, nei ruoli di Matriona Pavlovna e di Anna, del baritono Charles Rice, un Simonson ben realizzato fisicamente ma un po’ crudo vocalmente. La Tomasoni risulta essersi esibita a uno dei lunch concerts che durante il Festival si tengono nella chiesa di St. Iberius riportando un meritato trionfo. È chiaro che agli irlandesi non si offre mai abbastanza canto. E, magari utilizzando in tutto o in parte le stesse scene, a quando la riscoperta, se non di Siberia di Giordano (data a Wexford una ventina d'anni fa), magari, nel settore primo Ottocento, di Beniowski ou Les exilés de Camtchatka di Boïeldieu?
foto Clive Barda