L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Bel suol pontevedrin

 di Andrea R. G. Pedrotti

Cresce il successo della Vedova allegra al Filarmonico di Verona nell'allestimento di Gino Landi: sul palco con l'Hanna di Mihaela Marcu, il Danilo di Enrico Maria Marabelli e il Njegus di Marisa Laurito, si fanno apprezzare la Valencienne di Lucrezia Drei e il Camille di Francesco Marsiglia.

Verona, La vedova allegra, 17/12/2017

VIDEO, La vedova allegra a Verona, 17/12/2017

VERONA, 23 dicembre 2017 - Cresce il successo per La vedova allegra al teatro Filarmonico di Verona e per lo splendido allestimento firmato da Gino Landi. È ancora una volta un trionfo per una regia che sa cogliere in pieno lo spirito onirico della capitale asburgica e della sua operetta, evidenziando ciò che la traduzione del libretto rende meno evidente, ossia la convenzione sociale che opprimeva l’alta borghesia viennese, una convenzione accettata a un punto tale da essere totalmente interiorizzata dall’èlite culturale cittadina (a cui l’operetta era destinata, e non alle classi meno istruite), che, tuttavia, faticava a contenere irrefrenabili pulsioni e desiderio d’evasione.

I personaggi dell’operetta soffrono, metafora del loro pubblico, d’infantilismo e brama per il gioco, anche erotico, ma affrontato con serietà, poiché nessuno può essere più serio di un adulto quando gioca e, come un bimbo, precipita in profonda tristezza quando il trastullo gli viene negato. Un’altra abilità di Gino Landi è quella di esprimere l’immoralità di tutti i personaggi, non solo di figure come Cascada o Saint Brioche, ma anche della stessa Hanna Glawari. Dopotutto, dopo la delusione del mancato sposalizio con Danilo Danilowitsch, non attende molto a unirsi in nozze con il ricchissimo, anziano e malato banchiere Glawari (deceduto il giorno delle nozze, prima di poter consumare). Difficile immaginare fosse un matrimonio d’amore. Landi è, inoltre, eccelso nell’ammantare di soave elegia, con gusto tipicamente viennese, talune espressioni che, anche nell’origine, vanno oltre il doppio senso, ma che vengono pronunziate con naturalezza tale da provocare un particolare senso di straniamento, esaltandole nel significato: pensiamo a Valencienne e alla sua naturalezza nel promuovere la candidatura di Camille a sposo di Hanna, affermando (davanti a tutti in un ricevimento all’ambasciata retta da suo marito) le qualità del giovane francese, affermando di averlo “testato” ella stessa più volte o il suo ricordare nel Grisetten-Lied l’abilità delle “donnine allegre” nel tener gli amici “allegri per un’ora o poco più”.

Tutti immorali, tutti colti e raffinati borghesi, tutti profondamente borghesi perversi: moralisti indefessi a parole, ma tutti promiscui, uomini e donne.

Il cast vocale si faceva forte, come in occasione della prima, della presenza di Mihaela Marcu quale Hanna Glawari: ancora una volta nettamente la migliore, il soprano romeno, eccellenza internazionale del genere, non conosce rivali a nessun livello nell’interpretazione dell’operetta viennese. Ella è ottima nel mantenersi omogenea nell’emissione e nei cambi di posizione fra canto e recitazione ed eccelle nel trasmettere, attraverso il fraseggio, gli stati d’animo dell’ereditiera pontevedrina: brio, impertinenza dolcezza, melanconia ed elegia. Elegante e raffinata nella figura si distingue, come sei giorni prima, per la precisione nei pianissimi e la gestione dei fiati nel Vilja-Lied. Lode maggiore all’artista va conferita, anche tenendo conto che solo due giorni prima era protagonista di La traviata sul palco della Fenice di Venezia.

Molto bene anche Enrico Maria Marabelli (Danilo Danilowitsch), disinvolto e spigliato in scena, partecipe alla recitazione e preciso vocalmente, canta il ruolo con sicurezza, senza esser mai messo in ambasce dall’ostica scrittura di Franz Lehár.

Merito della felice riuscita della rappresentazione va anche ai due elementi che mutavano, rispetto al 17 dicembre scorso. Lucrezia Drei affronta con piglio e disinvoltura il ruolo di Valencienne, specialmente nella scena del chiosco, per poi palesare notevoli doti atletiche (oltre a quelle vocali) in un Grisetten-Lied interpretato con il giusto piglio. Francesco Marsiglia si dimostra un buon Camille de Rossillon, amoroso e in balia del fascino di Valencienne come dovrebbe essere il suo personaggio. Non tutte le salite all’acuto vengono eseguite e il do del duetto “So kommen Sie!...Ich bin eine anständige Frau” (“Venite qui!...Io sono una donna onesta”) viene mutato di posizione, facendo venir meno il romanticismo (dagli indecenti sottintesi) del momento. Complessivamente la prova del tenore può dirsi positiva, anche considerando la difficoltà di un ruolo che fra i maggiori interpreti contemporanei annovera un grande artista internazionale come Piotr Beczala.

Nota di merito va al corpo di ballo, diretto da Gaetano Petrosino, soave nel coinvolgere con la poesia nei primi due atti, il gran walzer del primo e la Polonaise del secondo, oltre a esser irresistibile nello stimolare le endorfine nella Gaîté Parisienne di offenbachiana memoria.

Bene tutti i comprimari, a partire dall’ottimo Mirko Zeta di Giovanni Romeo, affiancato da Francesco Paolo Vultaggio (Visconte Cascada), Stefano Consolini (Raoul de St. Brioche), Daniele Piscopo (Bogdanowitsch), Serena Muscariello (Sylviane), Andrea Cortese (Kromow), Lara Rotili (Olga), Nicola Ebau (Pritschitsch) e Francesca Paola Geretto (Praškowia).

Come sempre travolgente e irresistibile è Marisa Laurito nella parte attoriale di un Njegus gustosamente al femminile.

Il concertatore, Sergio Alapont, conferma le perplessità destate alla prima: talune dinamiche sono fin troppo accelerate, manca Vienna nell’esecuzione dei tempi di danza e l’unità fra sezioni orchestrali non è sempre ineccepibile.

Corretta e partecipe la prestazione del coro della Fondazione Arena, diretto da Vito Lombardi.

Meravigliose come sempre le scene di Ivan Stefanutti e i costumi di William Orlandi.

Le foto della prima:

Lucrezia Drei e Francesco Marsiglia:

foto ENNEVI


 

 

 
 
 

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