L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Prosecco e champagne

 di Roberta Pedrotti

Si inaugura a Venezia il Festival del Palazzetto Bru Zane dedicato a Jacques Offenbach e la Parigi della musica leggera con due incantevoli e intriganti appuntamenti con l'operetta francese, uno scrigno di tesori da riscoprire.

VENEZIA, 29 e 30 settembre 2018 - Venezia è una città molteplice, un labirinto non solo di calli ponti e campi in cui coesistono, nello stesso spazio e nello stesso istante, infiniti altri labirinti e opposti. Il silenzio assoluto e il caos della folla, il kitsch e il sublime, l'immenso e l'infinitesimale, la lacrima e il sorriso. Mille maschere dietro cui si cercherà invano un'unica verità.

Fra queste anime, un filo sottile e raffinatissimo collega direttamente Parigi alla Laguna, al sestiere San Polo, al palazzetto, o casino, Zane che oggi porta anche il nome della fondazione Bru, che ne ha promosso con il restauro la rinascita come centro culturale per la ricerca e la produzione della musica francese intorno al XIX secolo.

Il Palazzetto Bru Zane – centre de musique romantique française è molteplice come Venezia: intimo e cosmopolita, colto e raffinato quanto sorridente e amabile, vivo e proiettato al futuro nella sua ricerca storica. Dagli spazi affascinanti e raccolti del Palazzetto, produzioni e progetti viaggiano per il mondo, la ricerca storica si esprime in elegantissime produzioni discografiche ed editoriali, ma anche con tutti i mezzi dell'era digitale (val davvero la pena di esplorare i materiali messi a disposizione sul sito www.bru-zane.com).

Il Palazzetto Bru Zane

Ci avviamo a celebrare i dieci anni di attività del Palazzetto, inaugurato nel 2009, e la ricorrenza coincide, fortunatamente, con il bicentenario dalla nascita di Jacques Offenbach, nonché con il centenario dal Trattato di Versailles che ha suggellato gli esiti del primo conflitto mondiale. Entrambe ottime occasioni per intavolare percorsi musicali inconsueti e intriganti.

La stagione ha inizio, fra il 29 e il 28 ottobre, con un festival dedicato, appunto, al più celebre autore d'operetta parigina e al mondo più o meno sommerso che lo circondava e popolava la vita teatrale e musicale la di là dei massimi e opulenti palcoscenici dell'Opéra e dintorni. A pochi passi dal Palazzetto, nella Scuola Grande San Giovanni Evangelista – altro luogo da mozzare il fiato e in straniante contrasto, per la sua austerità, con il sorriso musicale che ci accingiamo a condividere – L'amore alla francese si celebra con un recital a quattro voci in cui l'illustre bicentenario fa appena capolino. Un quartetto da La romance de la rose, i couplets da La Créole e un duetto da La jolie parfumeuse onorano Offenbach senza isolarlo dal contesto ricchissimo in cui il suo genio operava, e che viene ben illustrato da una ventina di altri brani di Toulmouche, Serpette, Varney, Audran, Jonas, Hahn, Messager, Roger, Hervé, Lecocq. Vale a dire nomi sopravvissuti diversamente alle onde del tempo, qualcuno inghiottito dai flutti, qualche altro in balia di correnti alterne, altri ancora più saldi nella navigazione, nessuno in grado di competere con la permanenza nei repertori di Orphée aux enfers o La belle Hélène, della Périchole o della Grand Duchesse de Gérolstein.

La Scuola Grande San Giovanni Evangelista

Eppure, quanto varrebbe la pena di gettarsi a capofitto in questi titoli seminascosti lo rivela in tutta chiarezza questo gustosissimo programma, concatenato, per di più, con sapiente consequenzialità, in modo da costruire una drammaturgia lieve che non forzi i testi, ma catturi l'attenzione e stuzzichi lo spirito. La prima parte è dedicata al corteggiamento, a ripicche e strategie fra innamorati fortunati o respinti; la seconda al matrimonio, all'amore che sfiorisce in baruffe e rimpianti. La pianista Charlotte Bonneu le introduce improvvisando preludi che ammiccano prima a La vie en rose, poi alla marcia nuziale di Lohengrin: i capolavori della chanson novecentesca e la grandiosità del dramma wagneriano vanno a braccetto per introdurre l'intelligente ironia dell'operetta. Un'operetta che, ben volentieri, gioca anche a far la parodia dell'opera, come nell'irresistibile duetto da Le petit chaperon rouge di Gaston Serpette, che fa il verso all'aria dei gioielli dal Faust di Gounod (ma qui il soprano, su testo quasi identico, si bea di spille di strass e anelli placcati vantandosi allo specchio di sembrare una delle “dames que l'on voit à la Sous-préfecture”: altro che “la fille d'un Roi”!). Marie Perbost, voce morbida e luminosa, porgere deliziosamente malizioso, è un soprano ideale per questo repertorio e un'artista che si vorrebbe presto riascoltare, ma non rimane in ombra Ambroisine Bré, mezzosoprano dall'emissione limpida, chiara ed efficace nell'articolazione e nell'elegante musicalità. Divertite, si scambiano di volta in volta i ruoli di amiche e confidenti, di ingenue o intraprendenti, di complici, ritrose, tenere o crudeli. Gli uomini hanno poco scampo, inevitabilmente sedotti anche quando vorrebbero esser seduttori: affiatatissimi nell'intenzione quasi teatrale, ma sempre ironicamente conscia del contesto concertistico, e nella cura stilistica sono l'interessante baritono Jean-Christophe Lanièce, dal bel timbro nobile, e il tenore Camille Tresmontant, di buon gusto benché dai mezzi un po' più acerbi.

Nel pomeriggio di domenica 30 settembre ci spostiamo nel Palazzetto vero e proprio, a stretto contatto con gli artisti in una sala affrescata che contiene a malapena un centinaio di persone. Uno spazio che si direbbe antiteatrale e invece funziona a meraviglia per un tipo di operetta fulminea, che nel tempo di una mezz'oretta consuma un'azione effervescente sviluppata – alla maniera dell'Intermezzo settecentesco - nel massimo dell'economia: due cantanti/attori, un organico strumentale scheletrico. Non c'è bisogno di scene e attrezzeria e quel poco che occorrerebbe si può immaginare grazie alla simpatia di Lara Neumann e Flannan Obé, coppia perfetta di attori in musica, soprano e tenore abilissimi nel far guizzare il canto nella parola e farlo diventare gesto irresistibile. Non c'è bisogno di altri strumenti all'infuori della fisarmonica nondimeno spiritosa di Pierre Cussac, che ha curato personalmente la trascrizione: le potenzialità di uno strumento complesso e popolare servono, anzi, a rievocare lo spirito leggero di queste operette, nate per intrattenere, per esser consumate rapidamente, in un'epoca difficile, a cavallo della disfatta di Sedan e della parentesi della Comune, prima dei tempi bui di Boulanger e dell'affaire Dreyfuss (Émile Jonas, le cui musiche si sono ascoltate nel concerto inaugurale, dopo il 1870 cercherà palcoscenici più inclini al sorriso e più sereni per un musicista ebreo prima a Londra e poi a Vienna).

Savons la caisse! di Charles Lecocq è del dicembre 1871, Faust et Marguerite di Frédéric Barbier del luglio 1869 ed entrambe trattano del mondo teatrale precario in cui nascono. Nella prima un'artista circense cerca di recuperare la grancassa sottrattale dal domestico Cruchinet, innamorato di lei e intenzionato a sedurla vestendo i panni del padrone, l'ungherese Tropouridchick. Ignora, però, che la giovane ha un conto aperto con il nobile straniero, reo di aver sabotato una sua esibizione per favorire una rivale, e intende vendicarsi a suon di frustate. Sciolto l'equivoco, la bella propone allo spasimante di seguirla unendosi alla compagnia ambulante (dove, si presume, non addolcirà certo il suo atteggiamento da dominatrice). Con Faust e Marguerite troviamo ancora una parodia dell'opera di Gounod, ma, questa volta, più come pretesto per gettare uno sguardo sarcastico su una coppia di cantanti di provincia – ciascuno, ovviamente, persuaso di valere molto più del o della consorte – alle prese con un tentativo di allestire un Grand-Opéra senza mezzi economici.

Ancora una volta, nella qualità della musica e nell'arguzia del testo, troviamo il gusto dell'onomatopea, del gioco fonico quasi surreale, ma anche della parodia del teatro e della società, nonché la raffigurazione spudoratamente, gioiosamente spietata dei rapporti fra i sessi, senza troppi filtri - se non quelli delle strategie messe in atto per amore o per vendetta - e con un pizzico di esuberante sadomasochismo (dal gioco erotico dei pizzicotti al "derrière" in Ô mon bel inconnu di Reynaldo Hahn, nel duetto proposto il 29 settembre, al piglio da amazzone della Fille de l'air nell'operetta di Lecocq eseguita il 30 il passo non è poi lungo). Nella sala del Palazzetto non si perde una parola e il divertimento è amplificato dalla condivisione in un clima quasi salottiero. Poi, giustamente, verranno tournée e incisioni per raggiungere un pubblico più ampio, ma il fascino di questo debutto intimo resta impagabile, un altro tassello nel gioco della molteplicità veneziana.

Alla fine si brinda, ma non a champagne. Siamo pur sempre a due passi dalla Marca trevigiana, e dunque sia il prosecco, fra i canali, a scorrere per l'operetta.

 

 

 


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