L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

È bordò, non elisir

 di Antonino Trotta

È L’elisir d’amore il secondo titolo nel cartellone del Teatro Regio di Torino: alla regia defilata di Fabio Sparvoli fa da contrappeso un versante musicale più intrigante. Nella seconda compagnia di canto si impongono l’Adina di Lucrezia Drei e il dottor Dulcamara di Simón Orfila.

Leggi la recensione del cast alternativo (Bini, Berrugi, Kim, Orfila): Torino, L'elisir d'amore, 21/11/2018

Torino, 16 Novembre 2018 – A una manciata di giorni dall’inizio del festival Donizetti Opera anche il Teatro Regio di Torino decide di omaggiare il maestro bergamasco. Sarebbe questa la sortita perfetta dell’articolo che state leggendo se il titolo in questione non fosse il frutto del merchandising operistico verso il quale il nuovo asse direzionale ha deciso di dirottare il cammino del principale ente lirico piemontese. Scrivere del Regio, in questo particolare momento di dissesto economico, pone non pochi limiti alla spensieratezza di mani scalpitanti sulla tastiera, ma risulta difficile mettere a tacere i dubbi sull’argomentazione logica che motiva la presenza dell’Elisir d’amore – prodotto dal Teatro Regio nel 2013 – come secondo titolo in cartellone. Pochi mesi dopo la maratona mozartiana – ancora negli allestimenti del Teatro – e nel frangente in cui la nuova amministrazione dovrebbe edificare e consolidare una propria credibilità, anche artistica, riproporre un allestimento noto e fondamentalmente privo di guizzo non fa che confermare l’inesattezza di quella progettualità tutta algebrica secondo cui a titoli di repertorio corrisponde, in maniera diretta, un assicurato successo al botteghino. E la scarsa affluenza nella sala del Mollino, popolata da un pubblico insolitamente giovane e insolitamente rumoroso, attesta proprio la fragilità di siffatta equazione che modella un sistema ben più complesso senza tenere in conto di tutte le incertezze e di tutte le variabili del problema.

Si tratta, però, pur sempre di Elisir e sebbene venga meno un approfondito e interessante lavoro di regia, il risultato è nel complesso abbastanza godibile, come del resto diversamente non potrebbe essere con un’opera di tale freschezza e immediatezza. Fabio Sparvoli, trasponendo la vicenda nel dopoguerra italiano, firma un elaborato teatrale formato famiglia assai impegnato nella ricerca dell’elemento farsesco, risolto a mezzo di sketch e gag di vario tipo purtroppo afferenti a un linguaggio comico ormai in disuso. Decisamente più piatta appare invece la costruzione dei personaggi, troppo ingabbiati nei confini delle maschere della commedia: il giovane innamorato, il soldato fanfarone, il parassita. La scena fissa di Saverio Santoliquido e i costumi sgargianti di Alessandra Torella sposano la leggerezza del taglio registico mentre le luci di Andrea Anfossi si arrogano la responsabilità di sottolineare i passi più patetici e traslucidi dell’opera.

Michele Gamba (sostenuto al fortepiano dal maestro Luca Brancaleon) sembra a tratti fraintendere l’influenza rossiniana nella scrittura donizettiana trascurando la componente idillica e trasognante che distingue l’opera dalla produzione buffa del cigno pesarese: la severa tenuta del tessuto ritmico, infatti, lascia spesso poco respiro a una cantabilità sfacciatamente sentimentale e talora compromette il rapporto con il palcoscenico. Nella serrata articolazione agogica comunque Gamba non perde di vista l’intarsio strumentale e l’equilibrio tra le sezioni, principali punti di forza dell’intera concertazione. Eccellenti, al solito, le prove dell’Orchestra e del Coro del Teatro Regio (disinvolto anche nella prova attoriale) istruito da Andrea Secchi.

Buona la seconda compagnia di canto nella quale spicca l’Adina di Lucrezia Drei: voce timbrata e ben proiettata, acuto facile, colorature sicure, gusto nelle variazioni e malizia scenica ne fanno un’ottima interprete. Accanto a lei, parimenti apprezzato Simón Orfila nel ruolo di Dulcamara, baritono dalla voce voluminosa e ben disciplinata (il duetto tra Adina e Dulcamara è senza dubbio il momento più esaltante dell’intera serata) che nel fraseggio nitido e pregno di istrionesche accentazioni convoglia l’essenza dell’astuto imbonitore. Álvaro Zambrano, subentrato al posto di Santiago Ballerini e divenuto a tutti gli effetti il terzo Nemorino di questa produzione, è penalizzato invece da una voce contenuta nelle dimensioni ma canta con espressività e intenzione. Piace meno Enrico Marrucci a causa di qualche difficoltà nelle agilità della celebre sortita. Completano il cast la spumeggiante Giannetta di Ashley Milanese e il mimo Mario Brancaccio (assistente del dottor Dulcamara).

Tra glia applausi calorosi di una platea ricca di scolaresche si chiude uno spettacolo che purtroppo, per tutte le considerazioni fatte in apertura, lascia l’amaro in bocca. L’amaro di un vino, cattivo, spacciato come elisir.


 

 

 
 
 

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