L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Il lato oscuro del sogno americano

 di Luigi Raso

Il capolavoro di Bernstein torna a Firenze dopo quasi sessant'anni dalla prima e unica altra rappresentazione al Maggio Musicale. Successo meritato e travolgente.

Firenze, 15 dicembre 2018 (recita pomeridiana) - È il lato oscuro del sogno americano quello rappresentato nel musical (o opera?) West Side Story di Leonard Bernstein: uno spaccato di vita difficile, di emarginazione, amori, sogni delusi, degrado, risse, desideri di evasione, tutto condensato in quel microcosmo di nelle strade, non ancora riqualificate a metà anni ’50, dell’Upper West Side di New York, dove poi sorgerà il Lincoln Center.

West Side Story nasce nel 1957 - anteprima a Washington e poco dopo a Broadway, suo palcoscenico naturale - pochi anni dopo la fine del maccartismo che procurò qualche grattacapo anche a Jerome Robbins, ideatore dello spettacolo e sensibile, come Bernstein, alle tematiche di emarginazione sociale, immigrazione, integrazione. Un dibattito attuale, aperto, infinito.

A Firenze il musical approdò pochi anno dopo la prima, nel 1961, in occasione del Maggio Musicale; poi non più. Ritorna, dunque, nell’anno del centenario di Leonard Bernstein (1918 - 1990) in un allestimento interessante per più aspetti.

L’agenzia americana che detiene i diritti sul musical ha concesso l’uso della lingua italiana per i soli dialoghi; la produzione coniuga la tradizione delle coreografie originali di Jerome Robbins (riprese da Fabrizio Angelini) con la scenografia, elegante, sobria e snella nei cambi di scena, di Hella Mombrini e Silvia Silvestri, e con i costumi di Chiara Donato, i quali ci portano alla New York degli anni ’50.

Le scale antincendio che dominano il panorama urbano newyorkese sono un chiaro e immediato riferimento al balcone veronese di Giulietta, la cui vicenda è simmetrica, come suggerisce e indaga Michele Girardi nell’interessantissimo saggio del programma di sala There’s a place for us”: Giulietta e Romeo, da Verona nel West – side, a quella di Tony e Maria.

L’allestimento, le cui luci sono curate da Valerio Tiberi, è dominato dal colore rosso e fa della paura, declinata secondo la variegata psicologia dei protagonisti e delle bande rivali, la sua la chiave di lettura. Tutti hanno paura: di qualcuno, di una situazione, di una banda rivale, di uno stato d’animo. La paura, in West Side Story, erode l’ottimismo a stelle e strisce, quasi incrinando certezza del motto In God We Trust.

Gli arredi degli interni sono essenziali, vengono spostati velocemente a scena aperta: lo spettacolo è dinamico, curato in ogni aspetto, probabilmente a tratti un po’ imbolsito dai dialoghi in italiano, i quali, se da un lato agevolano la comprensione dello sviluppo della trama, dall’altro sembrano frenarla troppo per un eccessivo indugiare nella recitazione.

Le coreografie originali di Jerome Robbins, insieme alle musiche grondanti di joie de vivre, costituiscono il segreto più che cinquantennale del successo del musical. Una coreografia che traduce in elementi tersicorei le aspirazioni, le lotte, l’amore, il senso di emarginazione, la voglia di evasione del musical: un miracolo di fusione, quello tra la musica di Bernstein e le coreografie di Robbins, che costituisce un modello nel genere, raramente eguagliato.

L’aspetto musicale è affidato alle cure di Francesco Lanzillotta, giovane direttore d’orchestra il quale, spettacolo dopo spettacolo, dà conferma delle buone impressioni suscitate agli esordi: personalmente ricordo un frizzante Don Checco di Nicola De Giosi al Teatrino di Corte di Palazzo reale di Napoli, nel 2014 che lasciava ben sperare.

La sua è una direzione precisa, sempre pulita, travolgente pur senza mai immergersi completamente nelle ritmiche a tratti esasperate della composizione. Lanzillotta evidenzia l’aspetto lirico del dramma di Tony e Maria con sonorità leggere, che diventano diafane nel finale; la sua concertazione ha gioco facile perché l’orchestra del Maggio Musicale Fiorentino si rivela, anche in questo repertorio, quel luminoso, preciso, colorato e affidabilissimo strumento musicale che ben si conosce. Allo stesso livello della compagine orchestrale è il coro del Maggio diretto da Lorenzo Fratini.

Come in ogni musical che si rispetti, la parte vocale deve essere affidata a attori-cantanti-ballerini disinvolti, pronti a coniugare le esigenze della recitazione con quelle del canto e della danza.

La compagnia di canto è formata da giovani artisti, perfettamente integrati tra loro, vivaci e travolgenti e che rappresentano l’eccellenza del musical Made in Italy.

Molto intensa la Maria di Caterina Gabrieli, un po’ impreciso e calante nel registro acuto è il Tony di Luca Giacomelli Ferrarini; frizzante, sensuale e dalla spiccata simpatia scenica e vocale è la Anita di Simona Di Stefano; perfettamente calato nel suo ruolo di “cattivo” il Riff di Giuseppe Verzicco.

Di buon livello il resto del cast vocale e dei ballerini, così come Christian Ginepro che ha partecipato allo spettacolo dando voce alla parte di Schrank.

Alla fine il successo travolge, come la musica del grande Lenny, tutti: il pubblico adulto e quello di domani, quello delle disciplinate e attente scolaresche della recita pomeridiana.


 

 

 
 
 

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