L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Il passo oltre la notazione

 di Francesco Lora

Al Settembre dell’Accademia, Myung-Whun Chung con la Filarmonica della Scala ed Esa-Pekka Salonen con la Philharmonia Orchestra danno prova, l’uno con la forbitezza e l’altro col virtuosismo, di come il testo musicale ecceda il segno scritto.

VERONA, 17 e 22 settembre 2018 – L’Accademia Filarmonica di Verona compie quest’anno la bellezza quattro secoli e tre quarti; il suo Settembre concertistico nel Teatro Filarmonico è lì a celebrarli, con un cartellone che lascia di stucco per lusso d’interpreti ed esiti artistici. Non è peraltro una mera intercettazione di tournée in corso, alla maniera di numerose altre rassegne italiane: il 15 settembre, a Torino, e il 16, a Milano, la Filarmonica della Scala ha presentato un identico programma beethoveniano, formato dal Concerto per pianoforte n. 3 e dalla Sinfonia n. 7; soltanto per Verona esso è stato rimodulato, sostituendo al concerto la Sinfonia n. 6: si è così costituito un poderoso confronto tra due lavori d’ampio respiro, vicini nella cronologia ma ben distinti e complementari nell’orizzonte poetico. Attraverso di essi ci si inchina alla concertazione di Myung-Whun Chung. Il quale dirige a memoria e trasforma il rigore del segno scritto in un fraseggio che respira, si flette, attua un tempo sottilmente proprio per ciascuna esposizione tematica, sia inseguendo l’evocazione di amenità e impeto della natura, sia articolando il trascinante e mai meccanico palpito ritmico. Il quale, ancora, ha idee inesorabili ma secondo l’identità dell’orchestra: ecco quindi la cantabilità densa e tuttavia lieve degli archi, il calore dei suoi legni – senza i raddoppi di tradizione – e l’echeggio di ottoni che mai sconfinano in primo piano; ecco la forbitezza della fonetica italiana. Il bis è l’Ouverture del Guillaume Tell di Rossini, così impetuosa di gesti e così abbagliante di colori, diretta da Chung, da fare ombra persino alla precedente esegesi beethoveniana; limitata al galop conclusivo, però, rimane un assaggio di miracolo, lasciando a fantasticare su cos’avrebbe potuto essere il precedente dialogo cameristico tra violoncelli, il minaccioso avvicinarsi e il fragoroso scoppiare del temporale, il canto del corno inglese nella quiete del ranz des vaches: tutti rinvii, rimasti soltanto impliciti, alla Pastorale. L’imprevedibile scioltezza del passo come attuazione superiore del testo musicale, illustrata da Chung, è stata ancor più virtuosisticamente praticata da Esa-Pekka Salonen, il 22 settembre, alla testa della Philharmonia Orchestra di Londra. Ora scabro, ora lezioso, ora violento, ora minuzioso, ora enigmatico, il gesto del direttore finlandese palesa invariabilmente una lucidissima intenzione retorica, una ferrea competenza tecnica e la complice pretesa presso l’orchestra: sia nella scientifica messa a punto di Verklärte Nacht di Schönberg, sia soprattutto nei gorghi tardoromantici della Sinfonia n. 7 di Bruckner, frasi e tinte si estenuano le une nelle altre, con ottoni che rimbombano terribili e monumentali dietro archi tanto pieni e sfavillanti da tenerli sottomessi. Virtuosismo, si diceva: così fine a sé stesso da varcare i confini della notazione e restituire a nuova verità le partiture eseguite.

foto © Brenzoni

 


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