L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Tra racconto popolare e mitologia

 di Giulia Vannoni

Ariane et Barbe-Bleue di Dukas al Théâtre du Capitole di Tolosa in un nuovo allestimento firmato da Stefano Poda

TOULOUSE, 9 aprile 2018 – Dimenticare Perrault. Con Maurice Maeterlinck la crudele vicenda di Barbablù, e delle sue mogli misteriosamente scomparse, perde i contorni della favola per caricarsi di significati simbolici, estranei al racconto della punizione per aver ceduto a un’eccessiva curiosità. Nel 1901, il poeta belga sposta dunque l’attenzione sul latente masochismo che affliggeva tante figure femminili ottocentesche. Non è un caso che qui la sesta e ultima sposa si chiami Ariane: inequivocabile richiamo al personaggio mitologico che aiutò Teseo a sconfiggere il Minotauro.

La protagonista di Ariane et Barbe-Bleue è un’eroina che si adopera per restituire la libertà alle mogli che l’hanno preceduta, anche se queste – per la paura di affrontare il mondo – non ne vogliono sapere di uscire dal loro regno di tenebre, preferendo restare devote al culto del marito (alla fine, soltanto lei si allontanerà dal castello, seguita dalla nutrice). Le novità del libretto sono date da questa inedita sorellanza, che prelude a una visione ormai novecentesca di legami femminili, e dalla ribellione dei contadini verso il protagonista maschile, quasi anticipando i conflitti che caratterizzeranno il secolo a venire.

A trasformare, nel 1907, il libretto di Maeterlinck in ‘racconto lirico’ fu Paul Dukas: compositore il cui nome, per molti, è legato solo al poema sinfonico L’apprendista stregone che fa da colonna sonora a Topolino in un indimenticabile episodio del film Fantasia. L’unica opera di questo autore, che – vittima di un esasperato perfezionismo – distrusse buona parte della propria musica, non ha però mai raggiunto grande diffusione (nonostante l’interesse suscitato dalla lucida analisi che ne fece Starobinski in un suo celebre saggio), così ogni nuova produzione desta grande curiosità, come nel caso dello spettacolo appena andato in scena al Théâtre du Capitole di Tolosa.

Sul versante musicale poteva giovarsi della bacchetta solida, e al tempo stesso elegante e precisa, di Pascal Rophé, che – ben assecondato da un’orchestra evidentemente avvezza al repertorio sinfonico – ha valorizzato la splendida musica di Dukas. Il direttore è riuscito a sottolineare la tensione emotiva di una scrittura che, sulla scia degli insegnamenti wagneriani, è dotata di grande potenza narrativa: a cominciare dall’evocazione della luce (che costella ininterrottamente la partitura), veicolata da una timbrica ricercatissima, cui spetta il compito di descrivere quelle pietre preziose che si materializzano quando Ariane apre una delle porte.

L’allestimento di Stefano Poda – autore di regia, scene, costumi e luci – prevede una cornice astratta e un po’ raggelante: sul fondale una parete bianca dove, inserite in una sorta di bassorilievo formato da un intreccio di corpi, si trovano le porte, a diverse altezze. Quando le cinque spose sono uscite dalla stanza in cui erano imprigionate, viene calata una struttura labirintica: oltre al richiamo mitologico al Minotauro adombrato nel personaggio di Barbe-Bleu, visualizza il circuito mentale in cui errano le mogli, senza mai trovare la determinazione a uscirne. L’idea di annullamento femminile in un uomo – sostanzialmente un tiranno, che forse disprezza pure le sue remissive consorti – è poi reso dalla regia attraverso l’ininterrotta presenza di Barbe-Bleu, anche quando non dovrebbe essere in scena.

Una tale staticità esalta la dimensione quasi oratoriale dell’opera e ha il pregio di porre sempre in primo piano gli interpreti, che devono concentrarsi su una scrittura estremamente impegnativa. A cominciare dalla protagonista, il mezzosoprano Sophie Koch, che ha affrontato con molta convinzione e incisività espressiva un ruolo (viene da pensare all’Isolde wagneriana) che richiede notevole estensione vocale e capacità di tener testa allo spessore dell’orchestra. Peccato invece che il baritono Vincent Le Texier fosse un Barbe-Blue vocalmente pallido, facendo così venire meno il contrappeso maschile di un palcoscenico popolato da donne (se si eccettua il coro, ben preparato da Alfonso Caiani). Come nutrice, il contralto Janina Baechle ha evidenziato sostanziosi mezzi nel registro grave, mentre tendeva a perdere spessore in quello medio. Ben caratterizzate sul piano vocale le mogli – portano tutte i nomi di altrettante protagoniste dei drammi di Maeterlinck – nonostante il senso di sperdimento e impotenza che le caratterizza. È un mezzosoprano, Eva Zaïcik, a disegnare una dolorosa Sélysette; tre invece i soprani: Andreea Soare, interprete di Mélisande (sì, proprio la fanciulla dalla lunga chioma immortalata da Debussy), Marie-Laure Garnier, una Ygraine di voce lussureggiante, ed Erminie Blondel, eterea Bellangère. Personaggio muto è invece Alladine, ruolo qui interpretato da Dominique Sanda. Alla carismatica attrice viene assegnato anche un significativo primo piano durante l’ampia introduzione strumentale dell’opera, che ne fa uno dei momenti più magici dello spettacolo.

foto Cosimo Mirco Magliocca


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