L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Ho da fare un dramma buffo

 di Andrea R. G. Pedrotti

La regia di Irina Brook pigia eccessivamente il pedale della comicità farsesca in un Don Pasquale che si fa, viceversa apprezzare, per le belle prove di Roberto De Candia, Irina Lungu e Dmitry Korchak.

VIENNA, 8 giugno 2019 - Ormai, in tempo di bilanci alla Wiener Staatsoper, non si può che constatare che se la gestione di Dominique Meyer è stata, senza dubbio, un successo a livello amministrativo, lo stesso non si può dire per le scelte artistiche, specialmente delle Premieren che si sono succedute nei suoi dieci anni.

Sei nuove produzioni l'anno (quattro opere e due balletti) sarebbero più che sufficienti come numero complessivo, ma la qualità delle produzioni, in particolare per quel che concerne le regie, sicuramente non ha saputo tenere il passo con i massimi teatri internazionali.

Non ha fatto eccezione la dozzinale messa in scena firmata da Irina Brook per Don Pasquale, che non presenta alcuna idea originale e, sovente, sovraccarica di gag alcuni momenti che si inquadrano in un'opera definita, sì, nel libretto come “dramma buffo”, ma permeata da una profonda vena malinconica, struggente, decadente, che così viene svilita.

L'unica idea originale è quella di immaginare Norina come una cantante (o un'attrice) di teatro, che interpreta la sua sortita in un camerino e, anche per questo, non trova difficoltà di sorta nell'impersonare la figura di Sofronia, sorella del dottor Malatesta.

Una gag, invece che ci ha lasciati alquanto perplessi è stato rinunciare all'elegia della serenata di Ernesto “Com'è gentil”, ponendolo in scena come un bianco Blues brothers, ad agitare un candido panama, accompagnato (chissà perché) da due chitarristi messicani. Il tutto condito da controscene non esaltanti per ironia, col solo effetto del perdere la poesia che conduce all'esecuzione del bel duetto “Tornami a dir che m'ami”.

Nella totalità dei tre atti la scena si svolge fra i tavoli di un piano bar anni '50, che funge da abitazione di Don Pasquale, con alcune istallazioni per creare il camerino di Norina o per rendere il terzo atto un ambiente degno di Cuba o del Costa Rica.

Decisamente migliori le impressioni giunte dalla compagnia di canto. Migliore assoluto risulta il protagonista, Roberto De Candia, che resta immutato nelle qualità vocali, rispetto a quando ebbi personale occasione da bimbo, d'ascoltare dal vivo il baritono pugliese, ventitre anni fa, in una Occasione fa il ladro al Rossini Opera Festival di Pesaro. La voce ben proiettata corre perfettamente negli spazi della Staatsoper, la tecnica è curata e i fiati sicuri. Piace soprattutto l'interpretazione estremamente raffinata, degna del maestro di De Candia, il grande Sesto Bruscantini.

Accanto a lui si conferma soprano di primo livello nel panorama lirico mondiale Irina Lungu (Norina), che, rispetto al debutto nel ruolo del 2013 al Filarmonico di Verona, risulta maturata verso una vocalità di lirico puro; sicura nelle agilità fin dalla cavatina, appare ancor più precisa in una convincente esecuzione del Rondò finale. Come sempre le variazioni della Lungu sono originali e di gran gusto musicale. Come attrice si dimostra, una volta di più, artista disinvolta e spiritosa.

Piace anche l'Ernesto di Dmitry Korchak, che, rispetto ad altre prestazioni, appare ben calato nel personaggio, tanto da tentare più volte smorzature e passaggi in pianissimo che non eravamo abituati ad ascoltare da parte del tenore russo.

Un gradino dietro i tre protagonisti sta il Malatesta di Orhan Yildiz, il quale si impegna assai scenicamente ed è musicalmente preciso, tuttavia paga un peso vocale e un'esperienza inferiori a quelli dei colleghi.

Il notaro era un vivace, ma non sempre intonato, Wolfram Igor Derntl.

Dal podio, Enrique Mazzola opta per dei tempi piuttosto serrati nei recitativi (molti dei quali riaperti, rispetto alla tradizione) e più rilassati nel cantabile. Il controllo dell'orchestra è più sicuro man mano che l'opera procede, consentendo al concertatore di portare a termine una buona prestazione.

Buona la prova del coro, diretto da Martin Schebesta.

Per la parte scenica, Irina Brook era coadiuvata da Nöelle Ginefri-Corbel (scene), Sylvie Martin-Hyszka (costumi), Arnaud Jung (luci) e Martin Buczko (coreografia).

foto Wiener Staatsoper / Michael Pöhn


 

 

 
 
 

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