L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

La più divina delle poesie

 di Andrea R.G. Pedrotti

I complessi della Wiener Staatsoper esaltano il respiro poetico della Bohème nella produzione che segna anche il debutto come Mimì di Aida Garifullina. Il soprano russo va oltre le più rosee attese cesellando accenti e fraseggio con partecipazione e intensa dolcezza.

VIENNA, 29 settembre 2019 - Accade a Vienna, già pesantemente provati dallo struggente dramma del III quadro di La bohème, di ascoltare pochi istanti di intervento orchestrale prima che Mimì confessi, in una semplice frase, tutto l'amore per Rodolfo, dopo il suo sonno simulato alla ricerca d'un ultimo istante di intimità. Mi è capitato di assistere a decine e dicine di rappresentazioni di La Bohème in Europa e in Italia, dalle Fondazioni adicenti all'arco alpino, fino al Massimo di Palermo. Nessuna produzione prima e, soprattutto, nessun'altra orchestra era riuscita a trasmettere una tale apoteosi poetica, grazie alla sublime delicatezza di una soave policromia del suono che si amplia in un respiro orchestrale che pare il medesimo dell'affannato petto della giovane morente e che sospinge la commozione verso lo struggente pianissimo di “Sono andati? Fingeva di dormire...”. Questo istante avrebbe annebbiato la vista e inumidito le pupille del più arido fra gli animi.

È noto che Giacomo Puccini conservasse nella sua abitazione le partiture di Richard Strauss e Gustav Mahler, come ne è palese la consultazione, nonché l'ispirazione, in molte delle sue orchestrazioni (Turandot su tutte). L'orchestra di Vienna, anche per questo e nonostante sia organico d'area germanofona, è forse una delle migliori interpreti al mondo della prosodia pucciniana e anche in questa fresca serata d'epilogo settembrino è stata capace di dimostrarlo.

Alla Staatsoper non viene perso un solo dettaglio dello splendido IV quadro dell'opera, col ripetersi dei temi che richiamano la dolorosa rimembranza per il momento di romantica convivialità iconicamente rappresentato dalla semplicità di una cuffietta rosa. È lo struggente ricordo d'un effimero momento di onirica gaiezza, tanto illusoria quanto intensa. È così che la Staatsoper, con una dirompente esaltazione del linguaggio dell'anima, rende omaggio al compositore viareggino e rende quasi insostenibile l'assistere a uno spettacolo che si conclude con una violenza emotiva degna di essere evocata in novelle stesure di una Poetica platonica o aristotelica. È la rimembranza dell'aurora contenuta nella malinconia di un imbrunire doloroso e inesorabile.

Andando oltre le più rosee attese, al successo della serata contribuisce in massimo grado la protagonista, Aida Garifullina, che cesella accenti e fraseggio con partecipazione e intensa dolcezza, tanto da strappare un assai convinto applauso del pubblico dopo una struggente esecuzione di “Donde lieta uscì”. Commuove grazie all'infinita dolcezza nella pronunzia a fil di labbra di “sono andati, fingeva di dormire”, fino ad aprirsi nell'emotivamente (non vocalmente) affannato respiro di una frase che diventa dirompente grazie alla magnifica prova dell'orchestra della Wiener Staatsoper.

Meno efficace nel fraseggio il Rodolfo di Jinxu Xiahou (elemento del locale ensemble), il quale non appare ancora sufficientemente maturo per l'interpretazione di un ruolo tanto impegnativo. La voce è di straordinaria bellezza, ma il passaggio al registro acuto non appare sempre sicuro (approssimativo il do di “Che gelida manina” e insufficiente l'acuto conclusivo dell'opera) e l'accento risulta generico. Troppe risate (esagerata nel dire “Non son solo, siamo in due”) nei primi due atti e poca dolcezza in un canto che dovrebbe trasmettere tutta l'elegiaca morbidezza dell'innamoramento per la sfortunata ricamatrice parigina. Tuttavia egli si riprende nel III e IV, grazie alla bellezza di un timbro baciato dalla sorte, specialmente nel registro centrale. Sarebbe, probabilmente, consigliabile per il tenore cinese la partecipazione ai corsi di qualche Operastudio o Accademia, in modo da affinare l'indiscutibile dono della natura.

Bryony Dwyner è una Musetta corretta, forse non troppo trasgressiva e impertinente nei modi, ma vocalmente assai precisa e funzionale all'insieme.

Fra gli amici di Rodolfo si fa preferire lo Schaunard di Clemens Unterreiner (subentrato la mattina stessa), assai spigliato sia vocalmente, sia scenicamente. Assieme a lui convincono anche il Marcello di Adrian Eröd e, soprattutto, il Colline di Jongmin Park, cui si deve un'eccellente “Vecchia zimarra”.

Completavano il cast Marcus Pelz (Benoit\Alcindoro), Martin Müller (Parpignol) e Ion Tibrea (sergente dei doganieri).

Come sempre è tanto funzionale quanto sovraffollata la regia di Franco Zeffirelli, giunta alla sua quattrocentotrentottesima rappresentazione all'Opera di Vienna.

Bene la concertazione di Louis Langrée, piuttosto serrata nell'agogica del primo atto e che si lascia andare al dirompente sentimento del respiro emotivo pucciniano nei due quadri conclusivi.


 

 

 
 
 

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