Il crepuscolo della diva
di Giuseppe Guggino
Il recital di Waltraud Meier, magnificamente sostenuta al pianoforte da Joseph Breinl, chiude in chiave liederistica la piccola rassegna del Teatro Massimo dedicata alla musica vocale, con personalità di ieri e di oggi. La Meier, all’insegna della sobria eleganza, conferma la propria presenza magnetica, pur senza nascondere gli immancabili segni del tempo.
Palermo, 5 dicembre 2019 - In scena avrà supplicato innumerevoli volte Waltraute/Waltraud «was du vermagst» nel grande incontro con Brünnhilde che chiude il prim’atto della Götterdämmerung e, dopo lunga e onoratissima carriera spesa passando da Isolde a Kundry, la grande Waltraud Meier sembra idealmente rivolgere a sé stessa la stessa implorazione in questo recital palermitano. E allora non dovrà sorprendere qualche asprezza nel timbro (sempre poco accattivante, sin dai tempi d’oro), o la macchinosità del legato, o l’intonazione sovente perfettibile: tutti oggettivi limiti alle risorse espressive della diva, che l’inducono ad assecondare poco o punto le venature sferzanti della Predica ai pesci di Sant’Antonio, proposta a conclusione di una selezione di altri tre lieder dal Knaben Wunderhorn, se poi la successiva selezione dai Mörike-Lieder di Hugo Wolf sembra spingere la linea di canto su una realizzazione più ortodossamente compiuta.
Certo è che l’Isolde sopita sembra percepire il richiamo a partire da Im Treibhaus dai Wesendonck-lieder e allora le sciabolate di volume tornano a farsi tonanti, così come la magnetica presenza dell’interprete riprende a far capolino, fino a Träume e, con insuperabile assolutezza, nell’intonazione del dolore nel Lied della colomba dai Gurre-lieder schönberghiani.
Parimenti insuperabile, e sin da principio, il sostegno sensibile, discreto, illuminante di Joseph Breinl al piano, che accompagna la diva nei numerosi bis concessi, nonostante la fuga del non numeroso pubblico in sala. E allora, ecco l’espandersi a ritroso la parentesi cronologica del percorso liederistico con la mozartiana Als Luise, fino allo Schubert di Erlkönig (con i ribattuti da brivido di Breinl) e al congedo – a tempo di walzer – con Abschied ancora di Wolf. Abschied, Waltraud.
foto Franco Lannino