L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Il Walhalla dei Basile

di Giuseppe Guggino

Alajmo, Savoia, La Barbera, Fatta, Fanigliulo, Tessitore

Il Teatro Massimo di Palermo

Teatro Massimo | 2013

ISBN 978-88-98389-16-2

Pagine 462

Lo scorso 16 maggio il Teatro Massimo di Palermo ha compiuto 117 anni da quella prima cittadina del Falstaffche ne inaugurò la storia; una storia gloriosa, per quanto travagliata sin dalla costruzione e nelle varie “ere” di gestione, costellata da successi luminosissimi forse troppo eclissati dalla vergognosa chiusura perdurata per ben ventitre anni, ossia da quelle tre recite di Nabucco in versione oratoriale del 1974 dove come Abigaille si alternavano Elena Suliotis e la giovane Ghena Dimitrova (in compagnia di Cornell MacNeil e Boris Christoff sotto la mano di Oliviero De Fabritiis) fino al doppio concerto con i complessi di casa diretti da Franco Mannino (nel pomeriggio) e i Berliner Philharmoniker con Claudio Abbado (nella serata) del 12 maggio 1997.

A quasi due decenni dalla ripresa delle regolari funzioni della “Casa” – come si direbbe alla tedesca – la Fondazione Teatro Massimo celebra la propria fabbrica con una pregevolissima monografia che, visto il prezzo estremamente contenuto di 10,00 € e il formato compatto 15x21 cm, si configura benissimo anche come guida turistica di lusso a disposizione davvero di tutti.

La pubblicazione, affidata a più mani tutte autorevoli, si apre con quattro paginette firmate dall’attuale sindaco di Palermo, già sindaco “della riapertura” e dall’attuale assessore alla Cultura, Sovrintendente in pectore della Fondazione. Sebbene in una pubblicazione di pretese internazionali (perseguite anche con la doppia lingua dei testi italiano e inglese), le ricostruzioni di storia politica locale – invero piuttosto libere, quando non proprio agiograficamente autoreferenziali – rischino di risultare terribilmente provinciali, i due politici locali non sembrano minimamente volersi sottrarre alla caduta di stile; allora, rischiando lo stesso provincialismo nel doverne riferire, senza per questo cadere nelle retoriche delle primavere e delle quattro stagioni, si segnala come l’ultimo restauro del Teatro fu certamente parziale se, a meno di venti anni, il Comune di Palermo si ritrova oggi a bandire una gara di quasi tre milioni di euro per il restauro delle due scale di accesso ai palchi (fortunatamente senza interruzione dell’attività artistica) con un progetto a base gara mancante del computo metrico nonostante il contratto sarà stipulato a misura (e giova ricordare come, secondo Codice dei Contratti, il margine per le varianti negli appalti di restauro sia doppio rispetto ai lavori edili ordinari!), con una individuazione discordante tra disciplinare e capitolato degli importi soggetti a ribasso e adoperando – con una forzatura – i fondi provenienti dalla Legge Regionale 25/93, destinati ad altre finalità (tutte criticità oggetto di un’apposita interrogazione consiliare). Esaurita la fastidiosa premessa resa indispensabile dal prurito che provoca la vacua retorica, parlare del resto del volume è davvero un piacere, tanto per la qualità di quel che si legge che per la cura del repertorio iconografico e l’attenzione grafica ed editoriale con cui il tutto è confezionato.

Roberto Alajmo si conferma affabulatore di vaglia per come racconta il suo primo ingresso nel Teatro ancora chiuso; letterariamente gustoso – sebbene ambientato al Politeama e non nella Sala dei Basile – è il ricordo della sua personale interpretazione del servo figurante di Konstanze nel Entfürung aus dem Serail del 1984, sebbene non è difficile far risalire il trionfo di quelle recite non tanto alla prova del figurante Alajmo, quanto invece al cimento ben più oneroso di Mariella Devia.

Salvatore Savoia svolge un’efficace galoppata nei decenni come inquadramento dei successivi contributi, a cominciare dal concorso internazionale di progettazione con la giuria presieduta da Gottfried Semper (già progettista del primo Teatro d’Opera di Dresden distrutto da in incendio e futuro progettista dell’attuale Semperoper Dresden, ricostruita in falso storico nel secondo dopoguerra esattamente com’era prima dei bombardamenti), volta ad indagare anche il rapporto della città, spesso animata da velleitarie pretese di primeggiamento, con il suo maggior Teatro.

Il compito di condurre il lettore-visitatore in un ideale percorso all’interno del monumento è affidato a Marina La Barbera, così particolarmente attenta alla descrizione alle decorazioni pittoriche che quasi spiace non poter vedere (neanche in foto) il sipario originale con “L’uscita di Ruggero I re di Sicilia dal Palazzo Reale” opera di Lo Sciuti, mentre la bellezza delle pitture della “Ruota centrale a undici petali apribili” attribuita allo scenografo del vecchio Teatro Carolino Rocco Lentini e al figlio Giovanni, così come quella dei putti del soffitto della Sala Pompeiana attribuiti a Giuseppe Enea, è ben evidenziata tanto nel testo quanto nell’apparato iconografico selezionato.

Il contributo di maggior peso della pubblicazione è dovuto al prof. Giovanni Fatta, docente di architettura tecnica della Scuola Politecnica dell’Università di Palermo e conoscitore millimetrico della fabbrica del teatro che delizia il lettore con l’illustrazione delle varie tipologie di pietra (di Villa Niscemi, d’Aspra, di Denisinni, Santa Flavia, Cinisi) o le varie pezzature di mattoni di laterizio impiegate (di Pisa, di Livorno o Santo Stefano di Camastra) nella costruzione differenziando in relazione alle caratteristiche meccaniche intrinseche al fine di ottimizzare i costi in perenne lievitazione, cosa che provocò una ridda di polemiche tali da costituire un dispiacere per Giovan Battista Filippo Basile, scomparso a 65 anni - tra l’altro - durante la costruzione, portata a termine dal figlio Ernesto dopo la nomina dell’ottantasettenne Antonelli (l’architetto della Mole di Torino) che mai assunse l’incarico se non solo formalmente senza mai recarsi a Palermo. Straordinariamente affascinanti sono le considerazioni, tra le altre, sugli orizzontamenti misti studiati secondo trattati dell’epoca da Rondelet a Eck (conosciuti con un viaggio di Basile all’Esposizione Universale di Parigi del 1867), sugli studi stereotomici per ottenere un’ottimale disposizione dei conci negli architravi senza interporre zanche o armature metalliche per l’assorbimento delle trazioni, fino alle tecnologie di strutture reticolari in ferro forgiato (progettato anche grazie a prove in laboratorio di Giovanni Salemi-Pace) impiegate per la copertura circolare della sala e per quella della torre scenica.

Dei pesi, delle misure e del cimento delle strutture”, dietro al nome un poco ancien régime, altro non celerebbe che una relazione sui risultati delle verifiche di deformabilità affidate allo Studio dell’ing. Fanigliulo di Cosenza sui “cieli forati” ossia sui livelli di orizzontamenti di appensione delle scenografie alloggiati nella torre scenica; sono forniti gli output in forma grafica del modello agli elementi finiti (F.E.M.) costruito per la verifica delle frecce sotto carichi variabili nel rispetto delle Nuove Norme Tecniche di cui al D.M. 14 gennaio 2008; si tratta dell’aspetto più settoriale e forse un po’ fuori luogo nella pubblicazione, se non altro perché riguarda soltanto una parte specifica della struttura e non la sua interezza, studiata solamente con riferimento allo stato limite di esercizio (SLE) delle deformazioni, che oltretutto pone innumerevoli problemi di cura editoriale nei vari pedici di tensioni e coefficienti parziali di sicurezza, nella relazione tra moduli di elasticità tangenziale e normale (palesemente sbagliata anche dimensionalmente), financo in una traduzione in lingua inglese un po’ troppo letterale che farà sorridere qualche eventuale turista-ingegnere anglofono all’imbattersi in “exercise state limits (ELS)” anziché “serviceability limit state (SLS)” come si suole chiamare il concetto in letteratura scientifica internazionale.

Infine la curatrice editoriale del volume nonché responsabile stampa-editoria del Teatro ormai da diversi anni, la preziosa e insostituibile Floriana Tessitore, in “Tutte le feste al Tempio” passa in rassegna le varie epoche di gestione dell’attività artistica segnalando con acume per ognuna di esse le tappe veramente storiche e le figure cruciali quali Gino Marinuzzi, Ottavio Ziino, Filippo Ernesto Raccuglia, Aldo Mirabella Vassallo, le regie di Zeffirelli per I puritani e Lucia di Lammermoor con Joan Sutherland e Gianni Raimondi, i grandi maestri come Gui, Schippers e Gavazzeni e le solide bacchette di Serafin, Capuana, Molinari Pradelli, De Fabritiis e Votto e poi ancora Pietro Diliberto e Ilva Ligabue, la prima assoluta del Cappello di paglia di Firenze, un tassello importante della Rossini renaissance con il repêchage dell’Elisabetta regina d’inghilterra (omettendo bonariamente che le recite slittarono di un anno per uno sciopero: antichi vizi!) e le altre opere con Leyla Gencer fino ai recenti successi valsi diversi premi Abbiati; in questa carrellata che sembra rifuggire volutamente la sterile sindrome compilatoria in favore di un percorso ragionato, traspare quell’impagabile passione e quell’affezione che dovrebbe contraddistinguere tutte le professionalità operanti in teatro; e, sotto questo aspetto, la Tessitore può ritenersi quasi una settima colonna metaforica del prònao del Basile.

Un volume assolutamente raccomandabile a chi si trovasse a Palermo per vedere un’opera o anche solo per una visita guidata in teatro, per riporre in libreria un pezzo di storia, un gioiello di sintesi tra formalismo architettonico e ardire ingegneristico piuttosto unico nel suo genere.

 

 


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