Bagliori e incertezze
di Irina Sorokina
Torna Wagner all'Arena di Verona con Gustav Kuhn e Ricarda Merbeth. Nonostante alcune incertezze la serata conferma l'auspicio di una presenza più assidua del Tedesco nell'anfiteatro.
VERONA. 7 agosto 2020 - E’ un weekend speciale, questo il corso. Due grandi, anzi grandissime figure dell’Ottocento europeo si confrontano negli spazi infiniti areniani, quest’anno apparsi in una veste inedita, dovuta alla pandemia, col palco in centro e i posti col dovuto distanziamento sociale. Wagner e Verdi, un tedesco e un italiano con la i e la t maiuscole. Nati entrambi nel 1813, rappresentano mondi totalmente diversi. La loro grandezza artistica a distanza di quasi due secoli è capace di scuotere menti e coscienze.
Ma se Verdi in Arena è di casa, non è certo così per Wagner, le cui opere fecero la loro apparizione negli anni venti e trenta del secolo scorso, con la preferenza assoluta per Lohengrin con ben ventidue rappresentazioni tra il 1922 e il 1963, mentre Parsifal, I maestri cantori di Norimberga, Tannhäuser e La Walkiria hanno raggiunto da tre a sei recite tra 1924 e 1963. Poi nulla, ad eccezione di alcune serate con brani wagneriani in programma dal 1949 al 1988. L’ultima volta la musica di Wagner la sentimmo nel Gala Domingo-Harding nel 2013, poi il silenzio. Il racconto di un Lohengrin in Arena con la presenza di soli trecento spettatori sarà una legenda metropolitana, ma è una delle testimonianze che gli eroi leggendari germanici finora non trovarono casa negli enormi spazi areniani ideati dagli antichi romani.
E’ la difficile situazione creatasi a causa dl coronavirus che ha contribuito all’attuale ritorno della musica del grande tedesco in Arena, che ha optato per una serie di scelte musicali fuori dal comune tra cui una serata totalmente dedicata alla musica di Wagner con due protagonisti d’eccezione: il direttore austriaco Gustav Kuhn e il soprano tedesco Ricarda Merbeth, entrambi tra i più acclamati interpreti di questo repertorioo wagneriano.
Visto una specie di confronto tra i due geni dell’opera proposto in Arena nell’week end in corso, ci è sembrato opportuno ricordare qualche riga del celebre romanzo dello scrittore tedesco Franz Werfel Verdi. Nati nello stesso anno, Wagner e Verdi si incontrarono mai; l’unico luogo dove questo incontro avvenne sono le pagine iniziali del romanzo. Ed ecco quale pensiero fa venire Werfel a Verdi che arriva in incognito al Teatro La Fenice dove viene celebrato Richard Wagner: “Simile ad un vero usurpatore, il corso (Napoleone – I. S.), qui la personalità e le sue creazioni sono la stessa cosa. Lui immortala sé stesso in ogni ora e non esiste un uomo così misero da non essere segnato dal suo marchio del fuoco. La sua opera è legata a lui nel modo indissolubile, la sua gloria è lui stesso, e finché potrà portare l’ardore della sua vita attraverso il tempo sarà immortale”. Poche parole dello scrittore definiscono perfettamente la differenza tra il tedesco Wagner e l’italianissimo Verdi: la musica del primo celebra il proprio creatore, del secondo descrive la più vasta umanità e piange e ride insieme a essa.
Il programma della serata celebrativa dell’”usurpatore” Wagner ha incluso pochi brani famosi, quattro strumentali e due vocali: Ouverture di Der fliegende Höllander, Die Meistersinger von Nürnberg, Tannhäuser e Walkürenrit da Die Walküre, la ballata di Senta da Der fliegende Höllander e Isoldes Leibestod da Tristan und Isolde. Si andava sul sicuro, senza voler rischiare.
Conosciamo bene Gustav Kuhn, un eccellente interprete della musica wagneriana come di tutto il repertorio tedesco dell’Ottocento; ha diretto più volte tutta l’opera wagneriana e vestito anche i panni del regista. E’ creatore del Tiroler Festspiele Erl in un posto magico ai piedi del maestoso Kaisergebirge ad un’ora di macchina da Innsbruck che negli ultimi due decenni è diventato una piccola Mecca per i wagneriani ardenti. Recentemente si è parlato di un triangolo di lusso formato nelle terre di Baviera, Salisburgo e Tirolo: l’Opera di Monaco, il Festival di Salisburgo e il Festival di Erl; e se un festival tra i monti tirolesi si considera oggi al pari di due realtà eccellenti come Monaco e Salisburgo, il merito va decisamente a Gustav Kuhn. Il Tiroler Festspiele che dal 2011 dispone di un teatro modernissimo dall’acustica senza paragoni (un cospicuo investimento del governo austriaco) e organizza due edizioni, estiva e invernale.
Da sempre una specie di demiurgo, direttore artistico, d’orchestra e regista contemporaneamente, Kuhn possiede un’energia tutta sua, spesso magnetica, e capacità di trasmetterla ai suoi musicisti, simile ad un liquido prezioso che da un recipiente viene travasato ad un altro. Le sue esibizioni al Tiroler Festspiele lo hanno sempre dimostrato, ma non è andata esattamente così con l’orchestra areniana, forse a causa di mancanza di prove sufficienti. Kuhn è apparso visibilmente affaticato e, probabilmente, non pieno dell’energia che da sempre ha segnato le performance con la “sua” orchestra; definiremmo il suo atteggiamento sul podio come “posato”, come la programmazione scelta in un certo senso “pop”.
Ed è stata una serata che, nonostante la cordialità dimostrata al direttore austriaco da parte del pubblico areniano e gli applausi generosi, non è riuscita pienamente a decollare. Ricordiamo l’ispirato “fare musica” a Erl, tipico di Kuhn, con la chiarezza estrema, tempi ideali, fraseggio sofisticatissimo, flessibilità delle linee melodiche, suono di tutti i gruppi d‘orchestra perfettamente bilanciato; un vero paradiso per le orecchie, insomma. L’esibizione veronese può essere definita, certo, dignitosa, ma con alcune imperfezioni notevoli, come i violini piuttosto deboli e alcune “pecche” nel gruppo dei legni. Stranamente le ouverture celeberrime sono risultate lunghe e poco compatte mentre si è salvato pienamente Walkurenritt (La Cavalcata delle valchirie).
Ricarda Merbeth, in possesso di uno strumento decisamente potente che copre senza fatica ogni spazio compreso quello areniano, era al debutto nel teatro all’aperto veronese. Se l’è cavata con onore, anche se abbiamo avuto l’impressione che, in mancanza d’esperienza areniana e senza conoscere l’acustica dell’anfiteatro, si sia sentita in dovere di forzare il suono, soprattutto nella lunga e micidiale Ballata di Senta cantata con passione e un’eccellente padronanza di stile. E’ andata meglio nell'Isoldes Liebestod dove la “valchiria” tedesca ha dosato saggiamente i colori e chiaroscuri e raggiunto l’apice dell’interpretazione nelle famose “onde” sulle parole “In dem wogenden Schwall, in dem tönenden Schall” esprimendo perfettamente l’estasi del personaggio e creando in sala una specie di catarsi.
Una certa delusione è stata provocata dai due bis, che altro non sono stati che la ripetizione dei più popolari pezzi wagneriani, cioè l’Isoldes LIebestod e Walkürenritt; fatto dovuto, probabilmente, sempre alla mancanza delle prove sufficienti.
Alla fine gli applausi cordiali a Kuhn, la Merbeth e l’orchestra areniana. Nonostante la mancanza del successo pieno, abbiamo la conferma che eseguire la musica di musica wagneriana in Arena sia fattibile.